Il 24 settembre 1991 usciva Nevermind dei Nirvana. Il mondo del rock non sarebbe stato più lo stesso. Per la verità non soltanto il mondo del rock, ma l’intero universo giovanile stava cambiando. Il 9 novembre 1989 la caduta del muro di Berlino aveva dato il via a una sorta di primavera dei popoli, sostenuta da una nuova prospettiva nelle masse giovanili non più disposte a ragionare in termini di contrapposizione tra Est e Ovest. Le anguste barriere ideologiche che avevano fino ad allora determinato l’equilibrio internazionale dei due blocchi durante la Guerra Fredda si erano rivelate inadatte a reggere le sfide della nuova era. All’alba dell’epoca clintoniana, dopo quasi 12 anni di governo repubblicano alla Casa Bianca, negli Stati Uniti gli antichi recinti di classe, razza, religione e genere iniziarono a saltare grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie che avevano determinato il passaggio da una struttura sociale gerarchica a un’altra più improntata alla democrazia dal basso e all’orizzontalità. Il processo interessava per lo più l’organizzazione delle nascenti compagnie informatiche della Silicon Valley, ma anche una nuova coscienza trasversale fiorente all’interno delle tribù giovanili. Quella che venne definita come Generazione X, ossia i ragazzi nati nel decennio 1960-1970 che all’epoca avevano poco più di 20 anni, non riusciva più a ritrovarsi nei vecchi schemi bianco-nero, ricco-povero, maschio-femmina, né nelle strutture rigide di organizzazione, anche perché nei sobborghi delle grandi megalopoli la gente di colore incominciava ad abitare a fianco della classe media bianca depauperata dal crollo del vecchio modello industriale. I valori reaganiani improntati su una sorta di darwinismo sociale e i tagli al welfare avevano fatto crescere nei giovani un bisogno di nuova “umanizzazione” e solidarietà, producendo un comune intimo sentire lontano dalla visione ideologica.
Durante gli anni 80 nell’underground la scena dell’hardcore (che traslava il nichilismo del punk inglese in una forma dissenziente di senso più compiuto e meno distruttiva) si era sviluppata secondo l’etica del “do it yourself”, e aveva instillato nelle band la fiducia di poter fare musica senza dover essere dei virtuosi di uno strumento (cosa impossibile ad esempio nel progressive) e senza dover vendere la propria integrità artistica alle multinazionali. Un crescente numero di etichette indipendenti sparse come cellule autonome nel grosso corpo degli Stati Uniti stava promuovendo il nuovo verbo sonoro, lontano sia dai nuovi fenomeni commerciali (tra tutti Madonna e Michael Jackson il cui album del 1991 Dangerous venne sorprendentemente sorpassato nelle classifiche da Nevermind), che dagli eccessi sempre più circensi del metal dell’epoca. In quei giovani esisteva un nuovo bisogno di integrità e di onestà, di riduzione dei dictat imperanti dell’edonismo e dello yuppismo a una percezione più aderente alla realtà di chi non si riconosceva in quel sistema semantico. Nella letteratura quella tendenza venne codificata come neo minimalismo, ben espressa dal senso di smarrimento intrinseco al romanzo simbolo dell’epoca, Generazione X di Douglas Coupland. In musica, quell’attitudine che era nata come reazione spontanea a una serie di dogmi canalizzava un malessere non più espresso in termini di slogan ideologici, ma di un lirismo dissenziente sempre molto personale in cui i coetanei potevano riconoscersi. Se non fosse stato così Smells Like Teen Spirit, scritta da un semisconosciuto cantante biondo e disadattato di Aberdeen, non sarebbe potuto diventare un inno generazionale.
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