Sid Griffin continua il suo viaggio intorno all’universo Dylan. Iniziato con Billion Dollar Bash nel 2008, uno splendido volume verità sui giorni dei Basement Tapes, continua ora con Shelter From The Storm, il libro dedicato alla breve e intensa stagione della Rolling Thunder Revue. È un esperimento che negli ultimi anni è tornato alla luce per mille differenti motivi che lo stesso Sid ci spiega in questa intervista esclusiva, che tocca anche altri aspetti apparentemente minori tra cui il film Renaldo & Clara. Aspetti di una personalità cangiante, ma pragmatica anche nelle scelte più rischiose o apparentemente naif. L’intervista con Sid – scrittore e rocker, leader dei Long Ryders e dei Coal Porters – ruota intorno alla stagione ’75-76. A partire dal ritrovato desiderio di Dylan di esibirsi e documentarsi che portò la Rolling Thunder su disco, in tv e sul grande schermo.
Come mai Bob Dylan negli anni 70 registrò tre album dal vivo nel giro di poco tempo?
«Non saprei. Certamente Hard Rain era il tipico album dal vivo: c’era bisogno di documentare la Rolling Thunder Revue, così furono registrate le date di Fort Worth e Fort Collins (quest’ultimo concerto è quello dello speciale televisivo Hard Rain). Come ho scritto in Shelter From The Storm, furono il tecnico del suono Don Meehan e il produttore Don DeVito a mettere assieme Hard Rain, che entrò nella Top 20 americana. Il successivo disco dal vivo fu il Live At Budokan il quale, come del resto il tour stesso, fu pubblicato da Dylan per incassare denaro fresco, visto che il film Renaldo & Clara gli era costato parecchio. Dovette in sostanza fare il tour con quella grande formazione perché aveva bisogno dei soldi per pagare le bollette. È una cosa documentata da parecchi scrittori che hanno parlato di Dylan, non me lo invento io. Come sai, ho fatto parecchie ricerche. Ho incontrato il suo manager, suoi amici come T-Bone Burnett, Roger McGuinn e Bob Neuwirth, ma Dylan no, né mi sono mai aspettato che accadesse».
Il concerto al Budokan fu un evento inaspettato o seguiva una precisa logica produttiva?
«Il Budokan era già deciso. Furono fatti molti concerti migliori che sarebbero potuti essere registrati, ma niente da fare: registrarono il Budokan anche se non fu un granché. D’altronde quel periodo fu l’inizio della perdita d’ispirazione per Dylan, della sua poetica e del suo percorso».
Hai descritto la Rolling Thunder Revue come un circo. Qualche anno prima Ronnie Lane viaggiò attraverso l’Inghilterra con un vero circo con tanto di tendone. C’è qualche legame diretto e indiretto?
«No, non penso ci sia alcun legame diretto e dubito che Dylan fosse a conoscenza del Passing Show Circus».
In quel periodo è molto presente il lato cinematografico di Dylan. Come descriveresti questa sua attitudine?
«Dylan vide molti film quando era un bambino in Minnesota. Aveva tre zii e uno di essi gestiva quattro sale cinematografiche, così poteva vedere molti film gratuitamente. Penso che il cinema gli scorra nelle vene. So che molti suoi testi sono basati su un immaginario cinematografico e sul modo di raccontare del cinema. Canzoni come Brownsville Girl o molte liriche di Empire Burlesque sono imbevute di scrittura cinematografica. Ecco una cosa interessante… Dopo che nel 1965 Bob incontrò D.A. Pennebaker si convinse a voler girare suoi film, e così da Eat The Document il cinema è tutto ciò che ha fatto oltre alla musica. Se si fosse concentrato maggiormente sul far cinema anziché sulla musica, e se fosse stato un miglior montatore, beh, credo che i suoi film sarebbero stati accolti meglio. Furono i montaggi a penalizzare le prime pellicole di Dylan».
Esiste una connessione fra Renaldo & Clara e Masked & Anonymous?
«Sì, penso che ci sia una linea diretta fra i due film. Nel primo Dylan appare con una maschera cosicché ci si concentra di più sulle liriche e meno sulla sua personalità. Ripensando al suo modo di fare cinema allora, era come quando faceva musica nella metà degli anni 60, molto impressionistico e persino “cubista” come Picasso. Sono cose che fanno impazzire lo spettatore medio di Hollywood cresciuto coi film di Tom Hanks e con Scemo e più scemo. Come per la sua musica e il suo stile canoro, il suo modo di fare cinema è difficile da seguire».
Nella seconda fase della Rolling Thunder Revue tutto sembrò sfuggire al controllo. Colpa di Dylan o di altri partecipanti? Oppure andò male per via dell’assenza di Ramblin’ Jack Elliott, che hai definito come un’ancora per Dylan?
«Gli eventi, le personalità, i soldi, tutto sfuggì al controllo nella seconda parte del tour. Anche il matrimonio di Bob non era perfetto. Ma qualunque siano le ragioni, e l’assenza di Ramblin’ Jack Elliott fu sicuramente una di esse, è certo che le personalità dei singoli divennero troppo grandi e così nessuno, davvero nessuno, riuscì a divertirsi come in occasione del primo tour. E lasciami ricordare che Bob spese parecchi soldi durante la fase autunnale della tournée, suonando in piccoli posti e filmando molti di quegli show. Così, per incassare, dovette suonare in grandi location».
Che cos’ha lasciato a Dylan la Revue?
«Gli ha dato due cose. Intanto era la realizzazione di un suo sogno. Da tempo voleva fare un tour del genere, ne aveva parlato con Robbie Robertson e Rick Danko per diverso tempo durante i concerti del 1974 con The Band. E poi, con il film Renaldo & Clara perse molti soldi, quindi dal 1976 in poi non fece più piccoli show per diversi anni. Si spostò in arene, stadi da baseball e pallacanestro. Credo che la Rolling Thunder Revue sia stato l’ultimo esempio di concerti concepiti con l’idealismo degli anni 60. Poi vennero la disco, il punk, e McGuinn o la Baez non erano più delle star leggendarie. Gli ultimi echi di quell’idealismo si videro e si sentirono nella Rolling Thunder. Una cosa del genere non si è più verificata e la colpa è del music business».
Hai detto che una Rolling Thunder Revue non potrebbe accadere oggi. Ma qualcosa di simile che riguardi Dylan? Un altro anniversario in tv? Una grande festa per i suoi 70 anni?
«Oggi, in America, i promoter e in generale chi gestisce i concerti dal vivo pretende assicurazioni sugli artisti ed è diffidente nei confronti di chi usa alcol e droghe. Sappiamo per esempio che i Rolling Stones hanno difficoltà a organizzare i loro tour e che nessuna compagnia assicurativa vuole stipulare polizze su uno come Ron Wood, così malridotto per via delle droghe. Per non parlare dei soldi che oggi chiedono per i biglietti… Tornando indietro nel 1975, Bob disse a Louis Kemp, suo amico d’infanzia che organizzava i suoi tour: “Fallo e basta. Sai come funzionano gli affari, ma cerca di non perdere soldi. Non abbiamo bisogno di fare soldi, ma vedi comunque di non perderne”. Riusciresti a immaginare oggi Springsteen o Madonna o gli Eagles dire a un promoter: “Non abbiamo bisogno di fare soldi”? No, non credo sia possibile. Quei giorni sono finiti e non torneranno più. Che Dio ti benedica, Bob».
Considerando che Dylan non è un artista che guarda spesso al passato, e considerando le sue capacità strategiche, credi sarà difficile per lui pianificare il suo futuro artistico?
«Ha avuto un enorme successo dopo Time Out Of Mind. Penso che la gente si guarderà indietro e dirà che il periodo dopo il 1997 è stato uno dei suoi migliori. Ha fatto quattro grandi album in studio, cinque se conti quello di Natale che non ho ascoltato. Ma è tardi per un’altra rinascita artistica».
Quale sarà secondo te la sua prossima mossa?
«È diventato come un vecchio bluesman. Fa 100 concerti all’anno e non sembra voler rallentare. È ammirevole. Se solamente facesse un album di bluegrass, morirei felice».
09/12/2010
ROLLING THUNDER REVUE
IL CARROZZONE DI DYLAN SPIEGATO DA SID GRIFFIN