09/12/2010

SOPRAVVISSUTO ALLA MALEDIZIONE – BILLY COX

È sempre uguale: faccione rassicurante, pizzetto da intellettuale, fisico massiccio ma asciutto. E, ciò che più conta, un basso ancora grondante di soul. Il prossimo 18 ottobre William “Billy” Cox taglierà il traguardo delle 69 primavere ma, dalla sua casa di Nashville (dove vive da tempo) non sembra proprio farci caso. «Il rock mi mantiene giovane», dice sorridendo, anche se a ben vedere suona piuttosto di rado e solo quando gli va.
Billy è l’ultimo sopravvissuto dei partner artistici di Jimi Hendrix. È anche il suo più vecchio amico: si erano conosciuti nell’inverno del ‘61 durante il servizio militare a Fort Campbell, al confine tra Kentucky e Tennessee. «Quel giorno me lo ricordo benissimo», racconta. «1° novembre 1961, pioveva a dirotto. Ho sentito il suono di una chitarra provenire dall’interno del Service Club No. 1: era uno stile diverso, originale, un mix tra Beethoven e John Lee Hooker… Un amico mi ha presentato quel giovane chitarrista: gli ho chiesto subito se voleva che lo accompagnassi al basso. Poco dopo è iniziata una lunghissima jam. Ci siamo trovati così bene che abbiamo deciso di formare una band. Il nostro primo concerto è stato, neanche un mese dopo, al Pink Poodle Club di Clarksville, Tennessee», ricorda Billy, «ci hanno pagato 30 dollari a testa. Per l’epoca, un sacco di soldi!».
Il gruppo si fa chiamare The King Kasuals e suona R&B con discreto successo. «Nell’ottobre del 1962, io e Jimi vivevamo a Nashville. Dividevamo una stanza sopra un salone di bellezza chiamato Joyce’s House Of Glamour, in Jefferson Street, non distante da club come Del Morocco dove spesso ci esibivamo. Passavamo il tempo a suonare e a corteggiare ragazze. A volte svegliavo Jimi e lo trovavo vestito come la sera prima: si era addormentato con la chitarra in braccio perché si era esercitato tutta notte…».
Poi, le strade artistiche dei due si separano. Jimi Hendrix suona, tra gli altri, anche con Little Richard prima di incontrare Chas Chandler (il bassista degli Animals) che decide di metterlo sotto contratto e di portarlo a Londra. «Ricordo che mi ha chiamato» dice Billy Cox «e mi ha raccontato dell’incontro con Chandler. “Gli ho parlato di te”, mi ha detto, “perché non vieni a Londra anche tu?”. “Sono messo male”, gli ho risposto, “ti farei fare una brutta figura”. “Ok”, ha concluso, “vado io, faccio successo e ti richiamo”. È andata proprio così: due anni e mezzo dopo, Jimi ha mantenuto la promessa». Così, Bily Cox si unisce a Hendrix sul palco di Woodstock, poi forma la Band Of Gypsys insieme a Buddy Miles e rimane nella Experience con Mitch Mitchell sino agli ultimi giorni di vita di JH. «Abbiamo vissuto un paio di mesi a Woodstock, prima del festival. Eravamo una specie di comune hippy. Ero sempre il primo ad alzarmi. Un mattino, stavo cazzeggiando sul basso, facevo le note del Big Ben… Jimi, appena sveglio e ancora in mutande mi dice: “Billy, non smettere”, è andato a prendere la chitarra e ha iniziato una variazione sulle note che facevo io: è nata Dolly Dagger… Hendrix non è stato soltanto il più grande chitarrista della storia», chiosa Cox, «era un bandleader carismatico, un compositore raffinato, un arrangiatore geniale, un cantante sopraffino. L’eccellenza in musica per lui era uno standard».
Dopo la morte di Jimi, anche per Billy Cox è scattata la “maledizione” dell’Experience. Nonostante la pubblicazione di un album solista (Nitro Function, 1971) e l’aver accompagnato saltuariamente qualche celebre rockstar (da Charlie Daniels a Stevie Ray Vaughan), il nome di Billy Cox, così come quello degli altri membri della band (Noel Redding e Mitch Mitchell), è rimasto indissolubilmente legato al mito hendrixiano. Di fatto, Billy si è accontentato di gestire un piccolo banco dei pegni a Nolensville Road, a Nashville, di suonare nei principali tributi alla musica di Jimi Hendrix o aver la soddisfazione di comparire nell’ennesima edizione discografica, il fortunato Valleys Of Neptune. Il 12 ottobre del 2009, allo Schermerhorn Symphony Center, Billy Cox ha ricevuto un premio alla carriera da parte della Musician’s Hall Of Fame di Nashville. Il suo breve discorso di ringraziamento è stato in linea con il personaggio: caldo, semplice, onesto. Ovviamente ha menzionato il nome di Jimi Hendrix e dei suoi partner artistici, vittime come lui della suddetta “maledizione” della Experience. A partire da Chas Chandler e Noel Redding, infatti, coloro che sono stati artisticamente vicini al grande Jimi non hanno saputo trovare una loro strada personale.  Neppure un talento originale come Mitch Mitchell, dopo quello sfortunato 18 settembre del 1970, ha saputo uscire dal cono di luce hendrixiano così come chi, per un breve periodo lo ha sostituito sullo sgabello dietro piatti e tamburi, quel Buddy Miles che (ai tempi) faceva “battaglie di rullate” contro Ginger Baker per lo scettro di miglior batterista del mondo. A differenza di costoro, che nel giro di 12 anni (1996 Chas Chandler, 2003 Noel Redding, 2008 Mitch Mitchell e Buddy Miles) hanno raggiunto Jimi nel paradiso del rock, Billy Cox è qui a lottare contro i fantasmi della sua gioventù. Ma lo fa con la consueta serenità. «Sto scrivendo un libro che rimetterà le cose a posto», annuncia, «in cui spiegherò come Jimi scriveva i suoi pezzi, quanto studio c’era dietro, e quanti giorni di prove… altroché improvvisazione».
Quando parla così, sembra davvero l’incarnazione dell’ultimo dei moicani: non a caso, svela che il suo prossimo album si chiamerà Last Man Standing.

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