La ragazza al volante canta a squarciagola American Girl, la storia della giovane che vorrebbe afferrare un pezzo più grande di vita. Canta spensierata e non immagina, la donna in auto, che va incontro a un terribile destino. È una scena del Silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, la canzone è un classico di fine anni 70 di Tom Petty & The Heartbreakers usata da Hillary Clinton nelle primarie del 2008 e scopiazzata dagli Strokes in Last Nite. Quando nel 1977 Roger McGuinn dei Byrds la sentì, chiese: «Quand’è che l’ho scritta, questa?». Gli spiegarono che non era sua, ma di un esordiente: decise che se non l’aveva composta poteva perlomeno inciderla. Come dire che la musica del rocker della Florida è parte profonda della cultura pop d’oltreoceano, un fatto che noi europei non potremo mai comprendere fino a fondo. In Italia, poi, Petty e la sua strepitosa ghenga di musicisti li si è visti di striscio, come supporter a Bob Dylan una ventina d’anni fa. Ben vengano allora i quattro dischi di questa Live Anthology che raccolgono alcuni fra i momenti migliori di trent’anni di intensa attività concertistica. Il quadruplo sta agli Heartbreakers come Live 1975/85 stava alla E Street Band: un’epopea. Le esecuzioni sono state selezionate da Petty col suo chitarrista e braccio destro Mike Campbell e col fonico Ryan Ulyate da un archivio di 170 concerti, per un totale di oltre 3500 esecuzioni del periodo 1980-2006: un lavoro immenso durato due anni. I tre produttori assicurano che non è stata effettuata alcuna sovraincisione: le 47 canzoni sono esattamente come le ascoltarono i pubblici dell’epoca. Tratte da una ventina di differenti esibizioni e messe in fila secondo un criterio non cronologico ma «emotivo», sono una meravigliosa cavalcata nel repertorio live di uno dei migliori gruppi della generazione schiacciata tra il rock classico e quello alternativo, un gruppo che nel corso degli anni ha cambiato più volte formazione senza perdere smalto. È interessante notare come convivano senza stacchi drammatici pezzi anni 80 e recenti: anche se nei primi è percepibile un pizzico di foga giovanile in più, i timbri (ad esempio le tastiere di Here Comes My Girl, 1980) tradiscono solo in parte l’epoca in cui furono registrate, segno del buon lavoro di mix e masterizzazione, ma anche della continuità del gruppo e del carattere senza tempo del sound di una formazione che sembra incarnare il concetto di “classicità” nel rock americano. Gli Heartbreakers potrebbero accompagnare Bruce Springsteen, Bob Dylan (ovviamente l’hanno fatto), John Fogerty o Eddie Vedder con eguale pertinenza. Alcune canzoni dal vivo si espandono, non solo il classico su-e-giù di Breakdown, qui in una versione al Forum di Los Angeles dell’81. È il caso di It’s Good To Be King (2006) che arriva a durare una dozzina di minuti grazie al lungo, fluido assolo di chitarra di Mike Campbell che sembra vagare nell’aria senza forma – un “momento Neil Young”, se volete. Le esecuzioni di Wildflower (1995) o Angel Dream (2003) mostrano la capacità del gruppo di imbastire anche arrangiamenti (semi) acustici con sensibilità e talento, mentre Louisiana Rain (1992), con quella melodia alla Creedence Clearwater Revival e il violino di Bobby Valentino, dice quanta America ci sia dentro questa band. Stupisce la bontà delle parti vocali: Petty ha un’estensione limitata e queste canzoni non richiedono un talento canoro immenso, ma tanta espressività sì, e anche un controllo di sfumature che spesso dal vivo si perdono. Un altro motivo d’interesse è rappresentato dalle cover. Ce ne sono una quindicina e sono significative sia dell’ampio spettro di influenze del gruppo, sia della capacità di confrontarsi con stili differenti. Non tutte brillano allo stesso modo: per una meravigliosa Friend Of The Devil che neanche Dylan & The Band (Fillmore, 1997) e un’infuocata Oh Well dei Fleetwood Mac (Bonnaroo, 2006) ci sono Goldfinger e Green Onions che suonano come brevi momenti di disimpegno. Ma se ci sono musicisti che riescono a mettere assieme Zombies e Bo Diddley, Thunderclap Newman e James Brown, John Barry e Van Morrison senza suonare sfilacciati, quelli sono gli Heartbreakers. Specie nel terzo cd non mancano piccole curiosità, brani che finalmente trovano una casa come Driving Down To Georgia e Lost Without You, pezzi poco noti tra cui Surrender, Melinda, Square One e The Wild One, Forever oppure eseguiti raramente come Nightwatchman. O ancora, chicche come I Won’t Back Down in versione acustica al Museo di Storia Naturale di New York. Forse i fanatici del repertorio di Petty non troveranno un numero sufficiente di rarità. Forse la scelta di piluccare da vari show elimina il “clima” da concerto. Forse i collezionisti diranno che ci sono troppi pezzi presi da pochi show. Forse qualcuno lamenterà l’esclusione di brani amati, anche celebri. E personalmente avrei preferito ascoltare altri momenti come il blues supersonico I’m A Man di Bo Diddley dove il gruppo sembra davvero “affamato”. Ma questo è comunque un must per chi ama gli Heartbreakers e non ha famigliarità coi dvd dal vivo realizzati sinora. Il doppio 33 giri di metà anni 80 Pack Up The Plantation, fino ad oggi l’unico vero disco dal vivo del gruppo, impallidisce al confronto. Per il carattere retrospettivo e “definitivo” , l’operazione Live Anthology fa il paio col film di Peter Bodganovich Runnin’ Down A Dream, da cui peraltro sono tratte 5 di queste performance. Resta da dire dell’esistenza della versione su sette ellepi in vinile e di una strepitosa edizione deluxe che ai quattro cd della versione standard affianca altri materiali: un quinto dischetto con altri 14 pezzi live; un vinile con la versione rimasterizzata di Official Live ‘Leg del ’76; un dvd col documentario 400 Days girato da Martyn Atkins durante il tour del 1995; un dvd col concerto inedito dell’ultimo dell’anno del 1978 a Santa Monica; un Blu-ray con tutte le tracce audio in altissima qualità; un libretto con note di copertina dello stesso Petty e di vari giornalisti; un poster della serie di concerti al Fillmore del 1997; memorabilia e la riproduzione di una litografia. Quest’ultima e la grafica del box set sono opera di Shepard Fairey, autore del celebre poster rosso-blu di Obama. Ovviamente American Girl c’è, in una versione dell’83 al Cow Palace di San Francisco. Stava per essere esclusa: perfezionisti come sono, Petty e Campbell non trovavano in quei 170 concerti una versione che li convincesse.
25/11/2009
TOM PETTY & THE HEARTBREAKERS
THE LIVE ANTHOLOGY (UNIVERSAL)