04/06/2010

SULLA STRADA SBAGLIATA CON ZAPPA

La storia di “200 Motels”

È uno dei più sconvolgenti e provocatori esercizi di follia collettiva esercitato dal rock. Quando ancora non si sentiva parlare di arte interdisciplinare o di docufiction, Zappa e il regista Tony Palmer misero in piedi una specie di truffa del rock’n’roll ante litteram con la complicità non richiesta di una grande compagnia cinematografica, di un manager innovativo (Herb Cohen), di uno stuolo di accoliti incapaci di capire fino in fondo il piano di Zappa che, come mi disse nel 1988, non aveva piani. In altre parole, 200 Motels era nell’aria, andava solo realizzato. La produzione costò a Frank credibilità, l’inimicizia di Palmer, l’essere bandito dalla London Philarmonic Orchestra e, poco ci sarebbe mancato, la pelle. Questa è però un’altra storia. Per raccontare quella di 200 Motels ci aiutano alcuni passi del bel libro di Neil Slaven Frank Zappa. Il cavaliere elettrico (Odoya) e una rivelatrice intervista in esclusiva a Tony Palmer realizzata proprio per questa occasione.
Partiamo.

Lunedì 11 gennaio 1971 i giornalisti si diedero appuntamento alla Nash House su Carlton House Terrace, a Londra, per la presentazione di 200 Motels. «Stiamo lavorando su un copione base di 180 pagine» disse Zappa. «In linea di massima l’improvvisazione sarà molto limitata, perché tutto il materiale musicale e i dialoghi dovranno essere provati in anticipo, in modo tale che quando le telecamere saranno puntate sugli artisti, loro si comporteranno come se si trattasse di un concerto». Il budget era di 630 mila dollari. Il film sarebbe stato girato e montato in video prima di essere trasferito su pellicola a 35mm. Un evento unico e innovativo per l’epoca con un solo precedente, la produzione di Hollywood Party di Blake Edwards. «Nel film» spiegò Frank ai presenti «c’è una sequenza nella quale una giovanissima giornalista vestita col tipico abbigliamento da reporter sale sul palco, si siede su una seggiola e comincia a pormi una serie di domande molto banali. A un certo punto io mi alzo, prendo da dietro un amplificatore un manichino di gomma e lo piazzo sulla sedia al posto mio: senza neanche alzare lo sguardo, la giornalista continua a intervistare il manichino». Era l’antipasto delle riprese che si svolsero nella prima settimana di febbraio in un’atmosfera caotica. Nessuno sapeva di che cosa parlasse 200 Motels. Slaven: «Bisognava essere stati on the road assieme a una rock band per rispondere in modo adeguato alla follia della realtà della strada o alle fantasie che Zappa intendeva descrivere: ovviamente Ringo Starr (nei panni di Larry il nano/Frank Zappa) e Keith Moon (nei panni di una suora groupie) non avevano di questi problemi».
Come aiuto regista fu ingaggiato Tony Palmer. Ma l’acclamato documentarista della Bbc, e primo uomo ad aver portato il rock in tv in Gran Bretagna, non aveva nessuna intenzione di essere aiuto di «un pazzo musicista folle e di talento ma in pratica fuori come un balcone per il quale nessuna droga poteva competere con la sua adrenalina e il suo infantilismo». Palmer si sentiva un semidio ma forse cambiò rotta in una riunione nel corso della quale Frank chiese all’art director Leo Austin «un allevamento di tritoni completo di tritoni, una boutique scalcagnata, un motel schifoso, una banca, un night club finto, un ristorante per bigotti reazionari, una stanza di groupie teatrali, un negozio di liquori, quattro case, Main Street, un campo di concentramento, uno Spitfire fracassato, il Ku Klux Klan, un Jumbo della Pan Am e qualcosa chiamata “Tinsel Cock Car”». Ascoltata la colonna sonora di Zappa, Palmer disse a qualcuno nei corridoi della Bbc che «parte di essa è fin troppo elaborata e sovrabbondante, ma ha dei bei motivi. Di tanto in tanto i musicisti rock imitano quelli classici, anche se da un punto di vista musicale sono degli analfabeti».

Il primo bubbone fra Zappa e Tony scoppiò quando il regista scopri che Frank intendeva dirigere i propri attori da solo. Palmer disse che se ne sarebbe andato, ma venne persuaso dal produttore Jerry Good a rimanere per occuparsi degli aspetti tecnici. Slaven racconta il rapporto dei due rammentando una conversazione con Frank in anni successivi: «Ricordo che in quel periodo aveva un sacco di problemi: stava per divorziare, aveva l’influenza e sembrava essere un individuo piuttosto irascibile anche quando era in buona giornata. Non voglio essere scortese nei suoi confronti, ma a livello di produzione fece due cose che non dimenticherò mai. Uno: una volta completata la fotografia principale, chiese, o meglio, pretese dal produttore che il suo nome non apparisse nei crediti perché aveva paura che questo potesse nuocere alla sua carriera; quindi, una volta iniziato il montaggio della pellicola, ci ripensò e decise che voleva che il proprio nome apparisse. Due: in una specie di bizza a metà della produzione, minacciò di cancellare tutti i master del film se le cose non fossero state fatte in maniera soddisfacente; peccato per lui che Gail passò di là proprio in quel momento e lo senti dire questa cosa! Come vedi, non fu facile lavorare con lui». Per tutta risposta, ecco quello che Palmer ha dichiarato a questo giornalista: «Ho letto un sacco di porcherie su 200 Motels. Buona parte di queste furono originate da Zappa in persona. Contrariamente a quanto hanno scritto tanti biografi di FZ, quando lo incontrai la prima volta esistevano solo un sacco di scartoffie senza ordine che contenevano “scene dalla vita di FZ”. Lui mi disse: “Desidero che tu riesca dare un senso compiuto a tutto ciò con uno script coerente”. A dire il vero – nonostante le fandonie di Frank, fandonie di cui aveva forse il primato universale – non c’era musicalmente molto: un po’ di musica, un po’ di musica meno buona, un po’ di musica scadente, un po’ di musica assolutamente geniale. Niente orchestra, niente coro, nessun solista. Il mio secondo lavoro era quindi organizzare tutto ciò velocemente. Di solito – tenetene conto per favore – quando all’epoca dovevi chiamare un’orchestra lo dovevi fare con un anno di anticipo. Bene, io avevo solo tre settimane. Inoltre, a complicare le cose, il film era un’idea di Frank e la Metro-Goldwyn-Mayer/United Artists non aveva nessuna intenzione di spendere soldi su un progetto così oscuro anche se il costo stimato era di soli 500 mila dollari (alla fine ne costò 679 mila). Se avessero dato retta a Zappa il costo sarebbe quadruplicato vista la quantità incredibile di pellicola da girare secondo la sua “visione”. Lì entro in scena io: ho suggerito di girare in videotape, un sistema che stavo sperimentando alla Bbc. Rimasi al mio posto fino alla fine senza mai lasciare il film, Wilfred Brambell venne fatto fuori perché chiamò Zappa col suo vero nome, “egomaniaco”, nessun nastro venne mai trafugato. Se però non ci fossero stati il coraggio di Zappa, il suo talento, il suo senso del rischio e della curiosità, e le capacità di Cohen, 200 Motels non sarebbe mai esistito. E per quanto folle può ancora oggi sembrare è un documentario crudele sulla vita on the road dell’epoca, portato alla massima potenza espressiva. Non è un caso che dopo 40 anni e più ci sia ancora così tanto interesse sull’opera da richiederne una nuova stampa su dvd».
Uno dei punti più delicati è l’ingaggio degli attori per le parti. Zappa ha così ricordato quegli eventi: «In origine c’era una storia che, in linea di massima, parlava di cosa voglia dire andare in giro a suonare e di come la cosa possa farvi diventare pazzi, ma non ci fu modo di raccontarla con un minimo di coesione, perché troppi furono gli inconvenienti. Jeff Simmons sparì prima che cominciassero le riprese; la sua fidanzata l’aveva convinto che era troppo importante per far parte di un gruppo come il nostro: così, la sera in cui facemmo la seconda lettura del copione, annunciò che avrebbe lasciato la band. Prima di rimpiazzarlo passammo attraverso le peggiori stronzate, e alla fine ci ritrovammo con Martin Lickert, l’autista di Ringo Starr». Secondo Howard Kaylan (membro delle Mothers, dei Turtles e di Flo & Eddie, nda), «ci ritrovammo ad avere bisogno di un bassista che non solo doveva imparare della roba davvero complicata, ma che doveva anche saper recitare; il giorno dopo Frank si presentò ai Pinewood Studios con Wilfrid Brambell. Sembrava la soluzione giusta e noi avremmo dovuto solamente sovraincidere il basso in un secondo tempo… lui provò con noi e passammo persino un po’ di tempo insieme. Alla fine, l’ultimo giorno di prove, impazzì e si mise a correre lungo i corridoi dei Pinewood Studios urlando: “Aaargh… è una pazzia!”. Le riprese cominciarono il giorno dopo e noi ci lasciammo prendere dal panico. Frank disse: “Il prossimo che entra dalla porta se la becca in faccia, e che cazzo!”. Toccò all’autista di Ringo». La parte della reporter fu affidata alla groupie Pamela Miller. Anche Keith Moon degli Who fu chiamato all’ultimo momento. «Ero allo Speakeasy insieme a Pete Townshend» ha detto il batterista «e Frank era proprio al tavolo accanto. Disse: “Che ne direste di prendere parte a un film?”. Noi dicemmo: “Ok, Frank” e lui ci dette appuntamento al Kensington Palace Hotel per le 7 del mattino seguente. Ci andai solo io, perché Pete in quel periodo stava componendo; fu così che mi venne assegnata la parte che avrebbe dovuto interpretare Mick Jagger – quella di una suora. Mick non volle farla».
Palmer chiude il cerchio: «Spesso si legge che Frank e io non parlammo mai più. Falso. Solo due anni dopo, quando Zappa fece causa alla Royal Albert Hall per aver cancellato uno show in cui avrebbe voluto suonare le musiche di 200 Motels, venni chiamato a testimoniare. Non sarebbe accaduto se non fossimo stati ancora amici. A quarant’anni di distanza sono ancora orgoglioso di 200 Motels». Robert Hilburn lo definì sul Los Angeles Times sbalorditivo: «Getta uno sguardo sul modo in cui il tempo, lo spazio e la salute mentale si confondono durante un lungo tour rock». Il New York Times disse che il film non era poi tanto male, ma in definitiva soporifero, con «idee potenzialmente divertenti che non venivano mai elaborate». Zappa disse a Roy Carr del New Musical Express che «il film è stato concepito per gente che sapeva già qualcosa della leggenda e del folclore dei Mothers Of Inventions. I fan più sfegatati ci capiranno probabilmente di più di quanto ci possa capire la gente a cui il gruppo non piace e di cui non sa nulla».

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!