27/04/2010

THE DEAD WEATHER

SEA OF COWARDS (THIRD MAN / WARNER)

L’estro di Jack White è troppo straripante per un solo abito. Il rosso, bianco e nero della sacra trinità dei White Stripes non possono bastare a descrivere le innumerevoli sfumature della prolifica creatività di uno dei grandi talenti della sua generazione. Così come non possono bastare il rock-blues basilare e sgangherato giocato intorno a pochi accordi e, anche, il rock corpulento dei Raconteurs a rendere esaustive le mille correnti che si muovono inquiete nel personale delta creativo di Jack. Non sono più sufficienti neppure i cieli plumbei di Detroit, e quelli cangianti della scozzese terra madre per dare aria al suo infinito spazio compositivo. Ci vuole Nashville, culla della tradizione musicale americana per eccellenza, dove la passione per il vintage non appare mai così rétro da essere inadeguata, per canalizzare definitivamente un impulso così complesso da disperdersi altrimenti in infiniti rivoli non comunicanti. Oltre a tutto questo, necessitano anche una moglie (bella, rossa come la passione e con la velleità da cantautrice, vedi pagina 90), due pargoli e una nuova tribù disposta a esplorare se possibile nuovi territori sonori, per sentirsi un uomo realizzato. E infine, ci vuole una nuova band. Se la categoria del nuovo rock’n’roll dove i White Stripes erano stati inseriti era esistita davvero, la voce femminile che meglio poteva rappresentarla era quella di Alison Mosshart dei Kills, stessa passione per i suoni grezzi e artigianali sporcati di blues essenziale e per un rock talmente sghembo da far sembrare diritta una spirale psichedelica. Si aggiungono Dean Fertita dei Queens Of The Stone Age e Jack Lawrence dei Raconteurs, e i Dead Weather sono belli e pronti. Nel 2009 era appena uscito Horehound (e il lavoro del gruppo veniva ripreso nel film documentario Full Flash Blank girato da White in persona) che già i Dead Weather stavano abbozzando nuovi pezzi, posseduti da una bulimia creativa incontenibile. «È questione di alchimia» dichiarava White. «Il prossimo disco dei Dead Weather sarà ancora più pesante e blues» aveva annunciato qualche mese fa. Ed ecco ora uscire questo stupefacente Sea Of Cowards, non innovativo a livello sonoro (perché di innovativo nel rock non esiste quasi più nulla), ma di ottima concezione. È un po’ come assaggiare una ricetta della tradizione e scoprire che non essendo nuova, nell’impossibilità dunque di variare gli ingredienti, il valore aggiunto lo determina in assoluto la qualità dello chef. I Dead Weather sono ottimi chef. Rimasticano il blues come se fossero stati battezzati con le acque del Mississippi. Siccome però il quartiere generale della Third Man Records è a Nashville, non potevano non abbeverarsi alla fonte del rock della tradizione. Il risultato di tale commistione è una musica spessa, sudata, primitiva. I Can’t Hear You è un rock’n’roll primordiale dalle basi ritmiche funk e appiccicose, come uno Sticky Fingers affondato in umori elettrici, mentre Blue Blood Blues è un rock-blues sanguigno con la dinamica dei White Stripes più unta e meno scarna. The Difference Between Us e I’m Mad sono invece venate di loop tecnologici che sfociano in una convulsione di lapilli caotici, mentre Hustle And Cass modula stratificazioni vocali parallele che si intersecano su accordi obliqui e tastiere Sixties. Muddy Waters starà sorridendo nella tomba, perché i Dead Weather sono come i White Stripes più fangosi e meno minimali, e non c’è sbiancante che tenga per smacchiare la loro sonorità da quella sensualità nera, madida, che a tratti esplode incendiaria (Gasoline), o diventa stridente e irriverente come il sorriso di un satanasso (Die By The Drop). Mr. White pare sempre estrarre dalla giacca una coda a forma di punta, perché anche nella compulsiva Looking At The Invisibile Man sembra evocare a una dimensione altra, popolata da strani ed ectoplasmici figuri. La presenza femminea della Mosshart non basta ad addolcire il calice bastardo di whisky del Tennessee che infiamma Old Mary e Jawbreaker.
Non è soltanto un fiume in piena straripante che trascina con sé ogni relitto sonoro, questo Sea Of Cowards, ma un mare in piena tempesta dove gli scheletri del blues riemergono dagli abissi e dove le zattere del rock più robusto vengono poste come salvezza all’affondamento. Solo i codardi continuano a naufragare, perché tra Nashville e New Orleans ogni essere umano deve compiere la propria quotidiana battaglia per poter sopravvivere. E questo Jack White, il più giovani di dieci fratelli nati in una famiglia umile, posseduto dal demone dell’inquietudine e salvato dalla musica, lo sa bene.

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