10/05/2007

KINGS OF LEON

Single Malt Rock

Caleb Followill è un ragazzo di poche parole. E non è di conforto per chi si appresta a intervistarlo il ricordo della conferenza stampa di due anni e mezzo fa, quando i fratelli Followill rispondevano con svogliati mugugni monosillabici alle domande dei giornalisti sulla loro adolescenza errante, sul presunto revival del southern rock e sul loro look 70’s. L’unico modo per tranquillizzare Caleb e ottenere un’intervista decente è, quindi, garantirgli che non ci interessa che siano svelati nuovi retroscena sulla vita nomade da figlio di un pastore evangelico, tanto meno sapere quale sia il negozio di vestiti usati da cui si sono riforniti i Kings Of Leon negli ultimi anni; ci incuriosisce invece sapere qualcosa in più di Because Of The Times, il nuovo e per certi versi sorprendente lavoro dei ragazzi di Nashville, Tennessee. Caleb sembra gradire. “Sono lieto di sentirtelo dire” esordisce. “La nostra speranza è proprio quella di aver realizzato un disco per cui finalmente i giornali e i media smettano di parlare del nostro passato, o del nostro look, e si concentrino solo sulla nostra musica. Siamo consci che la nostra storia abbia esercitato un certo fascino sui media e abbia attirato l’attenzione su di noi, ma non capisco nemmeno perché ci sia voluto così tanto tempo perché ci si accorgesse che, dopo tutto, non siamo un gruppo così malvagio…”.
In effetti, già il precedente Aha Shake Heartbreak del 2005, nei suoi momenti migliori, aveva instillato il dubbio negli ascoltatori più attenti che i Kings Of Leon non fossero così legati all’etichetta che era stata loro affibbiata, quella di nuovi Lynyrd Skynrd o, nel peggiore dei casi, di Strokes del profondo Sud statunitense. Con Because Of The Times i quattro hanno compiuto un ulteriore passo in avanti, realizzando un disco rock ruvido, eclettico e soprattutto libero da certi riferimenti troppo letterali; libertà creativa è la chiave con cui il cantante spiega la genesi dell’album. “Di solito in passato registravamo tutto di getto e per lo più dal vivo, ma questa volta ci siamo resi conto che le canzoni avrebbero meritato un trattamento migliore. Intendiamoci, ancora una volta abbiamo adottato un approccio live all’incisione, ma non ci siamo voluti porre alcuna preclusione di sorta; anche dal punto di vista tecnico, per la prima volta abbiamo provato a servirci dell’effettistica a pedale per le chitarre e abbiamo saggiato anche qualche effetto particolare per le voci (come nel primo singolo On Call, nda). In generale abbiamo voluto cogliere l’occasione di capire quanto lontano avremmo potuto spingerci nella sperimentazione, per scoprire nuovi luoghi musicali che ancora non avevamo esplorato”. A questo risultato la band è giunta attraverso una dinamica collettiva in fase di composizione: “Questa volta tutti erano molto più coinvolti in prima persona nell’ispirare e dar forma alle canzoni. A volte lo spunto di partenza è arrivato da una linea di basso, altre volte da una frase di chitarra appena abbozzata o persino da un pattern di batteria. Il tutto poi è stato rielaborato all’interno di lunghe jam session, in cui sono emerse le influenze personali di ognuno. Non c’era nessuna formula prestabilita, volevamo solo realizzare un buon disco e quindi eravamo molto più aperti e disponibili alle idee di ciascuno di noi”.
Che in casa Followill si respiri aria nuova, lo si può cogliere facilmente già dalla prima traccia di Because Of The Times: Knocked Up, con il suo lento e avvolgente arpeggio di chitarra, mentre armonici sparsi si dissolvono in lontananza e il lamento angosciato del cantante si protrae per sette minuti, risulterà quanto meno spiazzante per i più. “Porre una canzone così lunga all’inizio del disco ha rappresentato un piacevole rischio, specialmente perché sappiamo che il pubblico si aspetterebbe invece pezzi molto concitati, di due minuti o poco più, che rispettino l’immagine di garage band che si è fatta di noi; quindi non si tratta solo di mettere alla prova noi stessi, ma anche chi ci ascolta e crede di conoscerci. Questa canzone in particolare poteva essere posta solo all’inizio o in coda all’album e, visto che sapevamo che qualsiasi altra band l’avrebbe messa alla fine, abbiamo scelto di posizionarla in apertura, quasi si trattasse di un invito all’ascoltatore: sei disposto a seguirci in questo nostro nuovo viaggio?”. La stessa Knocked Up, fin dai versi iniziali (“Non mi interessa quello che dicono tutti / Noi avremo questo bambino”) conferma l’originale vena narrativa che continua ad animare le liriche di Caleb Followill; in questo caso è la storia di una giovane coppia: lei resta incinta, e decide di tenere il bambino nonostante la ferma opposizione dei genitori. I personaggi sono “vivi”, dato di per sé già degno di nota ma ancor più interessante se si presta attenzione alla qualità della scrittura di Followill: una narrazione cruda, asciutta ed essenziale, lontana da modelli letterari e che necessita solo di pochi versi per delineare il quadro emotivo e psicologico dei protagonisti. “Amo osservare la gente” spiega Caleb. “Mi piace soffermarmi sulle persone colte nella loro apparente normalità, e sono affascinato dai loro comportamenti e dalle loro reazioni di fronte alle difficoltà quotidiane. Affinché la narrazione sia fresca e non stereotipata, provo sempre a immedesimarmi nel personaggio, qualunque esso sia, che si tratti di una situazione tutto sommato normale come una gravidanza inattesa, sia che la voce narrante appartenga a un travestito emarginato (il protagonista di Trani, uno dei pezzi forti dell’esordio Youth And Young Manhood, nda). Nel primo disco molti testi erano orientati allo storytelling, mentre nel secondo erano frutto di impressioni e umori personali, spesso anche a sfondo autobiografico. Per quest’album desideravo crescere come autore di testi e ancora una volta mettermi alla prova, fondendo i due aspetti: l’obbiettivo era scrivere storie immaginarie che però facessero più riferimento anche alle nostre esperienze personali”. In questo senso, potrà risultare utile la lettura del testo di Fans, divertente resoconto della “calda” accoglienza riservata alla band dal pubblico femminile inglese. Negli ultimi anni, la vita on the road in giro per il mondo a suonare ha riservato anche altre soddisfazioni ai Kings Of Leon; in cima alla lista c’è senza dubbio il tour di supporto a Bob Dylan. “Ovviamente eravamo molto eccitati all’idea di aprire i concerti per lui, ma per tutta la durata del tour ci eravamo tenuti un po’ in disparte per via del timore reverenziale che nutrivamo nei suoi confronti. Avevamo scambiato un paio di battute ma non avevamo mai tenuto una conversazione vera e propria. L’ultima sera è entrato nei nostri camerini e ci ha detto che gli dispiaceva che quella fosse la nostra ultima data, e che la nostra band gli era piaciuta davvero. E mentre eravamo ancora a bocca aperta per lo stupore, ci ha chiesto (imita a perfezione la voce di Dylan, nda): ‘A proposito, come si chiama l’ultima canzone che avete suonato stasera?’. E noi: ‘Trani’. ‘Che diavolo di canzone, ragazzi!’. Ancora non riesco a farmene una ragione, come lui possa pensare che qualcun altro ha scritto una buona canzone…”.
Caleb Followill è un ragazzo di poche parole, ma col tempo ha imparato ad usarle con cura. Confessa anche di aver imparato a mettere le cose in prospettiva, e di essere grato ogni giorno per quanto di buono gli è successo finora, anche se ammette candidamente di continuare a far casino e tirar tardi la notte. Ecco perché ci lasciamo su una nota alcolica: “Qualche tempo fa Nathan (il batterista, nda) aveva detto che il nostro primo disco era come il whisky, mentre il secondo era più come il vino. Non vorrei accostare Because Of The Times a qualcosa di troppo raffinato, come lo champagne. Direi piuttosto che ha un sapore molto simile allo scotch, per identificare qualcosa che è cresciuto e maturato dentro di noi dopo una lunga elaborazione: qualcosa per cui ci si debba sedere, da sorseggiare e gustare in ogni sua sfumatura”.

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