C’era una canzone che diceva: «In Penny Lane there is a fireman with an hourglass and in his pocket is a portrait of the Queen». Non sappiamo se il Fireman nelle sue tasche abbia ancora un ritratto della Regina. Di certo, la storia di Paul McCartney lo sperimentatore, quello che ogni tanto ama indossare i panni del “Pompiere”, ha inizio più di quarant’anni fa dalle parti di Penny Lane. Non è nella lussuosa villa scozzese che risiede il ricercatore di suoni, rumori, visioni musicali strapazzate, quello che per comporre il testo di una canzone prende versi di poesie di Allen Ginsberg e altri poeti della Beat Generation, li mescola e ne tira fuori una cosa nuova. Là piuttosto ci abita il sempre sorridente e pacioso Paulie, come lo chiamano i fan, Sir Paul McCartney per tutti gli altri. Anche se a onor del vero negli ultimi anni qualche scappatella da lui il Fireman deve averla fatta, vedi ad esempio il disco Driving Rain del 2001.
C’è una sorta di separazione delle identità, in questo musicista, che lo ha sempre portato, come una sorta di Dr. Jekyll e Mr. Hyde, ad apparire sereno e rassicurante con brani tipo Ob-la-di, Ob-la-da e pochi minuti dopo terrorizzante e apocalittico con Helter Skelter. «Non mi sento al sicuro, non lo sono mai stato. Adoro prendermi dei rischi» aveva detto qualche anno fa McCartney in un’intervista. Rischi che ha contemplato bene anche questa volta. Dice che in studio, mentre stavano registrando il nuovo album a nome Fireman, Electric Arguments, ha avvertito i presenti: «Questo potrebbe essere il momento più imbarazzante della mia carriera. Potrebbe rovinarmela del tutto». Crediamo, vista la bontà del lavoro finito, sia piuttosto un geniale colpo di reni per un artista che si avvicina, come quelli della sua generazione, pericolosamente ai 70 anni.
Sebbene l’ex Beatle sia stato spesso accusato di essere il più commerciale dei quattro, quello più zuccheroso e meno impegnato (e lui talvolta ci ha messo parecchio del suo per avvalorare la tesi) forse solo i fan più accaniti sanno ad esempio che già negli anni 60 era invece lui quello più spericolato: «In quel periodo (le session di Revolver, 1966, nda) Paul era probabilmente più all’avanguardia degli altri» ricorda il produttore dei Beatles, George Martin. «Pensiamo sempre che John sia quello all’avanguardia, con Yoko Ono e via dicendo, ma in quel periodo Paul era molto appassionato di Stockhausen e di John Cage e di tutti gli artisti d’avanguardia, mentre John viveva una vita molto tranquilla e provinciale a Weybridge».
Tomorrow Never Knows
Erano da poco finite le tormentate tournée del quartetto, con quell’ultimo concerto a San Francisco nell’agosto 1966 e così Paul ricorda quel periodo: «Eravamo in un’altra fase della nostra carriera ed eravamo felici. Avevamo chiuso con tutte le tournée ed era meraviglioso, ma ora eravamo tutti presi dall’essere artisti. Non dovevamo esibirci ogni sera, così potevamo scrivere o chiacchierare tra noi o visitare una mostra. Avere del tempo libero ci ha dato grande libertà di escogitare cose pazze. Ho passato parecchio tempo ad ascoltare artisti d’avanguardia e andando in posti come Wingmore Hall dove ho visto il compositore Luciano Berio. Ricordo di averlo incontrato, un tipo molto schivo. George era preso dalla musica indiana. Tutti stavamo aprendo le menti a esperienze diverse e poi ci trovavamo insieme per dividerle con gli altri. È stato eccitante, perché si è trattato di fecondazione incrociata».
Una fecondazione che dà vita al primo grande esperimento del Fireman, che evidentemente, arrivato dritto da Penny Lane il cui omonimo brano verrà inciso poco dopo, è pronto per le sue pazze alchimie. Tomorrow Never Knows, pezzo che conclude Revolver, è universalmente riconosciuto come il primo grande passo dei Beatles fuori dal mondo della canzonetta pop (anche se già Rubber Soul, ma anche pezzi come Ticket To Ride o Yesterday, avevano affermato in modo formidabile queste nuove capacità di Paul e John). Basata su un solo accordo, quello di do, contraddice tutte le regole della comune canzone. «Mi chiedevo come l’avrebbe presa George Martin» ricorda McCartney «perché era uno stacco radicale, avevamo sempre avuto almeno tre accordi e forse una variazione per l’ottava dominante. Improvvisamente John prendeva a cantare molto seriosamente in do e le parole erano molto profonde e significative. Certamente non era Thank You Girl». Ma non era tutto lì: «Avevamo bisogno di un assolo e in quel periodo sperimentavo gli effetti della distorsione. Avevo due registratori Brennell e potevo creare delle distorsioni. Così ne portai in studio circa venti, prendemmo i registratori da tutti gli altri studi e con le matite e l’aiuto di bicchieri mettemmo a punto le distorsioni. Credo avessimo dodici registratori quando normalmente ne utilizzavamo uno solo per fare un disco». George Martin: «Fu Paul a fare esperimenti con il registratore a casa, togliendo la testina di cancellazione e mettendo su le distorsioni, saturando il nastro di suoni strani. Spiegò agli altri come l’aveva fatto e John, Ringo e George facevano lo stesso e mi portavano diverse distorsioni di suoni, io le ascoltavo a velocità diverse e ne selezionavo alcune (…). Per quanto ne so, in quel periodo nessuno faceva dischi in quel modo».
Mica male per l’uomo che avrebbe scritto robe irritanti come Silly Love Songs… Il Fireman era partito per il suo trip cosmico.
La banda del Sergente Pepper
È probabilmente il fatto che McCartney non abbia mai avuto il coraggio di inserire le sue sperimentazioni (vedi al proposito anche l’intervista qui a fianco) in un disco dei Beatles, cosa che invece Lennon non ha avuto paura di fare con Revolution # 9, ha lasciato ai posteri l’impressione che fosse John e non Paul il genio alternativo dei Fab Four. Di fatto, il primo pezzo di musica “avant garde” di un membro dei Beatles è a firma McCartney. Si tratta di Carnival Of Light (mai pubblicata su disco; molti speravano venisse inclusa nella Beatles Anthology, ma così non è stato), registrata nel gennaio 1967 subito dopo gli overdubbing vocali di Penny Lane: The Fireman in azione! Era un brano composto su commissione per una delle prime feste psichedeliche della Swinging London, il Million Volt Light And Sound Rave, che si sarebbe tenuto alla Roundhouse il 28 gennaio e il 4 febbraio di quell’anno.
Ovviamente, Paul è anche l’ideatore dell’intero concetto dietro al disco Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, considerato l’album che ha cambiato il corso della musica pop moderna: «Sgt. Pepper è Paul» disse Lennon «dopo un viaggio in America». McCartney: «Visto che stiamo cercando di scappare da noi stessi e dalle tournée verso qualcosa di più surreale, che ne dite se diventassimo un gruppo alter ego, qualcosa tipo Sgt. Pepper Lonely Hearts? Ho una canzoncina che suona bene con questo nome». Che il Fireman volasse bene in alto lo dice anche una sua obiezione all’idea di tornare a fare concerti: «Per ora non abbiamo uno spettacolo adatto. Se riuscissimo a pensare a un modo per far atterrare quattro dischi volanti sul tetto della Albert Hall, sarebbe possibile». Altro che Pink Floyd e maiali volanti…
A John Lennon, poi, il Fireman non piaceva proprio. Aperture musicali troppo spinte, a lui non andavano a genio. Ad esempio un brano come You Mother Should Know non era tra i suoi favoriti. A proposito di Maxwell’s Silver Hammer arrivò a dire che quella era «un altro esempio di musica per le nonnine di Paul» e si rifiutò di partecipare alla sua incisione. Abbey Road, l’ultimo disco dei Beatles (e anche uno dei migliori del quartetto) è ancora una volta frutto della sua genialità, specialmente la suite che compare sul secondo lato. Manco a dirlo, a Lennon non piaceva.
Ma intanto l’avventura dei Beatles era giunta alla fine. Presa ognuno la propria strada, il Fireman avrebbe continuato ad abitare i sogni e gli incubi di Paul, magari prendendosi delle pause anche piuttosto lunghe.
Here, there and everywhere
Ed è proprio per il suo esordio solista che il Fireman decide di aiutare Paul. McCartney, pubblicato nell’aprile 1970, è la testimonianza di un artista e di un uomo in crisi, sulla soglia della disperazione: «Non avevo più un lavoro né un motivo per alzarmi la mattina» dirà in seguito il musicista. «Lo scioglimento dei Beatles per me fu uno shock che mi fece andar di volta il cervello. Mi chiedevo se sarei stato ancora utile a qualcuno. Mi sentii come in pensione ed ebbi problemi seri quando iniziai a bere, non mi radevo più e non mi importava più di nulla».
Trent’anni e più prima che cominci la moda, McCartney pubblica un disco low-fi, quasi una raccolta di demo sfilacciati e buttati lì, senza cura e senza produzione. Ben cinque brani sono degli strumentali, gli altri sono abbozzi di canzoni incomplete o lasciate a metà e lui suona tutti gli strumenti. Per i fan dei Beatles è uno shock: più sperimentale di così, McCartney/Fireman non poteva cominciare…
Se quella dello pseudonimo per dischi come Strawberries Oceans Ships Forest, Rushes ed Electric Arguments diventerà la regola, per il suo terzo disco McCartney non scrive nemmeno un nome, vero o finto che sia, in copertina. Naturalmente c’è la sua foto, ma non è da solo: sono nati gli Wings, anche se nessuno lo sa ancora. Sarà un modo per riaffermare il suo bisogno intrinseco di fare parte di una band, ma naturalmente non sarà come i Beatles: i Wings saranno sempre un gruppo-non-gruppo, un ensemble dentro al quale nessuno dei musicisti ha sufficiente capacità per avvertire Paul sulla qualità delle sue nuove canzoni, oltre a non aver diritto di contribuire in alcun modo al materiale che verrà registrato. Di fatto, il vero motivo della nascita di una band dentro alla quale nascondersi in modo fittizio è la necessità avvertita da lui in modo impellente di tornare a fare concerti. E anche il Fireman viene allontanato in malo modo: sarà ora, per lui e per parecchi anni, di tornare a Penny Lane a riposarsi. È difficile però metterlo a tacere: nel 1977, in piena esplosione della Wingsmania (ogni disco del gruppo, a prescindere dalla qualità artistica, spesso piuttosto bassa, vola in cima alle classifiche e nel 1976 sono reduci da un tour mondiale di enorme successo in cui per la prima volta Paul riprende a eseguire alcuni brani dei Fab Four) si prende una piccola rivincita.
Pubblicato il 29 aprile 1977, l’album Thrillington contiene materiale registrato nel giugno 1971. Esce accreditato a Percy “Thrills” Thrillington ed è, di fatto, il primo progetto alternativo del musicista. Che però nel disco praticamente non appare: si tratta infatti della versione orchestrale dei brani del disco Ram arrangiati e diretti da Richard Hewson. Come dice Riccardo Russino nel suo libro Paul McCartney: 1970-2003, dischi e misteri dopo i Beatles, «Thrillington è un lavoro da consigliare esclusivamente a chi desidera ascoltare ogni album di McCartney (o collegato a McCartney, vista la natura del disco in questione). Il disco varia dalla muzak più bieca ad atmosfere persino gradevoli. Le canzoni sono arrangiate nello stile delle vecchie orchestre tipo Black Dyke Mills Band (da sempre un pallino di Paul che con loro collaborò nel 1968)».
Con la fine dei 70s, anche la storia dei Wings è giunta al termine: il Fireman ne può approfittare per riprendere il controllo dell’azione. O almeno tentarci. McCartney II idealmente si collega al McCartney di dieci anni prima. Esce a maggio 1980 e sulla carta avrebbe potuto essere uno dei suoi lavori più coraggiosi e bizzarri di sempre. Ma evidentemente, in studio, il Dottor McCartney ha la meglio sul Signor Fireman. Eppure inizialmente c’era voglia di sperimentare: «Ogni giorno arrivavo in studio» racconta «e iniziavo con la base di batteria. Poi costruivo i brani pezzo per pezzo, senza alcuna idea di come sarebbe risultata la canzone (lo stesso metodo usato per Electric Arguments, vedi intervista a pagina 32, nda)». Non è solamente il fatto che l’intero disco sia suonato completamente da solo, o che le canzoni siano nate in questo modo anarchico: Paul torna a divertirsi con i registratori e anche ad avvicinarsi all’elettronica. Per il brano Coming Up monta delle sovraincisioni lasciando scorrere il nastro base lentamente mentre nuove parti vengono registrate a velocità normale. «McCartney II» aggiunge il musicista «sono io che sperimento e che mi lancio sui sintetizzatori per vedere cosa so fare. In definitiva, si tratta di un esperimento e basta». Esperimento che con grande gioia del Fireman era giunto a produrre un doppio lp, 18 brani e più di 80 minuti di bizzarrie. Purtroppo per lui però la casa discografica non ne vuole sentire parlare e così vengono lasciati nei cassetti sette pezzi tra quelli più sperimentali (ad esempio i 9 minuti di Check My Machine – che sarà pubblicato, in formato ridotto, come 45 giri – un pezzo dal groove ipnotico in cui McCartney si limita a ripetere in modo gelido e asettico le parole «check my machine»; per alcuni, si tratta di una geniale anticipazione delle sonorità della dance elettronica di fine anni 90, primi 2000) e pubblicato un album singolo: «Non sono un artista d’avanguardia e devo ancora accogliere certe decisioni non necessariamente mie» commenta laconico l’ex Beatle. Pare che il Fireman si sia incazzato non poco.
L’ora del Fireman
Come già successo nella decade precedente, anche per tutti gli anni 80 l’amico Pompiere viene rispedito nella sua casetta di Penny Lane a farsi i fatti suoi. Tra alti (pochi, e tutti a fine decennio) e bassi (molti) Paul pubblica diversi dischi e soprattutto torna a fare concerti. Ancora una volta è l’inizio di un nuovo decennio che lo porta a scartare di lato: «Ho flirtato con la musica classica per anni» dice «già ai tempi di Eleanor Rigby e Yesterday, canzoni nelle quali ho usato dei quartetti d’archi. Nella mia mente era appollaiata da tempo l’idea che se mai avessi avuto una valida offerta di realizzare qualcosa nel campo della musica classica, l’avrei afferrata al volo. Così è successo, e nel 1989 mi hanno chiamato da Liverpool e mi hanno chiesto di fare qualcosa per i 150 anni della Royal Philharmonic Society».
E così nel giugno 1991 esce Liverpool Oratorio, un disco di musica classica in otto movimenti scritto da McCartney insieme al compositore americano Carl Davis. Registrato nella cattedrale anglicana di Liverpool in due serate nel giugno di quell’anno, è eseguito dalla Royal Philharmonic Orchestra, il Royal Liverpool Choir e il coro degli scolari della cattedrale. Ma ben più sostanziosa notizia sta per far capolino. Non sappiamo i particolari, se cioè il Fireman, stufo di tanto anonimato si sia scatenato chiudendo a chiave Paul in cantina o che altro, ma il 15 novembre 1993 un disco misterioso, dalla copertina tutta rossa e con un parolina tagliata in alto a destra («Strawber») fa capolino nei negozi di dischi. È una raccolta di brani strumentali di musica house e techno, quindi non c’è nessuna voce che permetta di identificare il protagonista del disco. Ma noi, che abbiamo seguito questa storia sin dall’inizio, non abbiamo avuto problemi quando abbiamo visto quel nome fare capolino fra le liner notes del cd: The Fireman. Il titolo completo del disco poi contiene più di un suggerimento: Strawberries Oceans Ships Forest. E, a un ascolto attento, abbiamo anche capito che si trattava di versioni remixate e manipolate dei brani del disco Off The Ground di Paul McCartney.
Il coraggioso progetto nasce grazie all’inaspettato successo nei club underground londinesi del remix in chiave dance del pezzo Hope Of Deliverance. Un entusiasta McCartney contatta l’ex bassista dei Killing Joke adesso diventato deejay e produttore, Martin Glover in arte Youth, e con lui si mette al lavoro per fare una serie di campionamenti delle canzoni di Off The Ground e quindi sfornare nuovi missaggi. A tutto ciò Paul aggiunge nuovi interventi strumentali (di basso, banjo, flauto, ma anche urla e sussurri vari). Quello che viene fuori è praticamente un’unica composizione divisa in nove momenti che si dilunga per circa 70 minuti tra accelerazioni dance e pause soporifere. «La dance» dirà Paul «è come il rap una forma di musica vibrante che cerca di sfondare le barriere, proprio come hanno fatto i Beatles anni fa. Non è giusto sostenere che si tratta solo di rumore». Chissà cosa avrebbe commentato John Lennon… E a proposito dell’entrata sulle scene del Fireman (anche se noi sappiamo che lui era in giro già da molti, molti anni): «Il pompiere è il mestiere che faceva mio padre durante la guerra».
Non è a dirla tutta un gran disco: meglio andrà cinque anni dopo quando esce Rushes, che vede la coppia Fireman e Youth ancora in azione. Otto canzoni, che vanno in direzione di certa ambient music onirica, rilassante e con inserti di melodie vere e proprie e parti strumentali di chitarre, sitar, tastiere. Curiosità: la ragazza con intorno disegni zodiacali che appare nell’immagine all’interno del disco è la modella Julie Lewis in una foto che risale al 1973. Giudicando dall’ansimare femminile che si ascolta nel brano Fluid, forse il Fireman sta suggerendo che questo disco è l’ideale ascolto per momenti di sesso sfrenato…
Per la cronaca, un anno prima di Rushes, a dimostrazione di che momento intenso è questo, era uscito Standing Stone, secondo episodio dedicato alla musica classica. Questa volta è la sua vecchia casa discografica, la Emi, a commissionargli un’opera per festeggiare i 100 anni di attività. L’idea che ispira il lavoro è la morte dell’amico Ivan Vaughan, quello che lo aveva presentato a John Lennon tanti anni prima: l’opera, ispirata alla storia di un celtico, è dedicata ai grandi interrogativi sulla vita e sulla morte. Opera che è seguita a ruota, nel 1999, da Working Classical, una rilettura di alcune canzoni del suo repertorio solista più alcuni inediti da parte di un quartetto d’archi.
Ritorno a Penny Lane
Se il Dottor McCartney ha continuato negli anni a sfornare i suoi dischi, più o meno belli, e a fare concerti (sempre belli, e molto), il Signor Fireman ha adesso finalmente trovato un suo spazio riconosciuto, una possibilità di svolgere la sua attività di sperimentatore senza nascondersi nell’anonimato, tanto che ormai non è più chiaro chi sia chi. Il Fireman non ha più bisogno di nascondersi a Penny Lane. O viceversa, è Paul che è tornato a stabilirsi nel vicolo della sua infanzia?
Nel 2000 McCartney pubblica a suo nome l’ambizioso Liverpool Sound Collage. Opera che per alcuni potrebbe addirittura suonare blasfema e sacrilega, in quanto utilizza le voci (dialoghi per la maggior parte provenienti dalle session di Think For Yourself) e le musiche dei Beatles (Mr. Moonlight, Maggie Mae e Magical Mystery Tour) per un azzardato collage appunto di sonorità estreme, una dance elettronica incalzante. In realtà il disco nasce come colonna sonora di una esposizione, quella di Peter Blake (About Collage), l’artista noto anche per aver firmato la copertina di Sgt. Pepper. Ma anche il successivo Driving Rain, pubblicato nel novembre 2001, seppur disco di canzoni, dimostra una attitudine discretamente sperimentale, almeno per quanto si è abituati a sentire nei dischi di Paulie. Un disco nato di getto, alla vecchia maniera, come dice il produttore David Kahne: «Ha portato le canzoni e le abbiamo provate. Voleva lavorare allo stesso modo dei Beatles». Un disco significativo, in cui il musicista “purifica” le sue canzoni dalla tentazione commerciale che sempre lo ha caratterizzato per affidarsi a sonorità molto rock, in alcuni casi vicine all’ambiente alternative americano. Risultato: non venderà granché, almeno per le cifre alle quali l’ex Beatle è abituato, ma ci restituisce un artista che ormai se ne frega delle aspettative e sfida solo se stesso. Electric Arguments (vedi recensione a pagina 78) è solo il passo successivo. E definitivo, perché per la prima volta nei dischi del pompiere ci sono sì le sperimentazioni, ma anche canzoni vere e proprie. Quel ragazzo che nel lontano 1966 si divertiva a smanettare con i registratori negli studi di Abbey Road scoprendo di avere dentro un’anima curiosa, insoddisfatta, ambiziosa, è oggi un attempato signore che si avvicina pericolosamente ai 70. Dice che il suo prossimo tour potrebbe essere l’ultimo.
Ma di smettere di sperimentare con la musica, non se ne parla nemmeno. Forse alla fine ha vinto il Signor Fireman.
(È stata di fondamentale aiuto la consultazione del libro Paul McCartney, 1970-2003: dischi e misteri dopo i Beatles, Editori Riuniti, 2003, di Riccardo Russino, Luca Guffanti e Vincenzo Oliva. Si ringraziano gli autori)