25/09/2008

VITA MORTE AMORE E LIBERTA’

Intervista a John Mellencamp

Life Death Love And Freedom è nato in modo molto semplice. Inizialmente volevo registrare le canzoni solo voce e chitarra. Così ho chiamato T-Bone Burnett e gli ho detto che mi sarebbe piaciuto incidere il disco in non più di una settimana». Dall’altra parte del telefono c’è la voce sicura che difficilmente ammette repliche dell’ex Coguaro, John Mellencamp. «T-Bone è venuto in Indiana, nei miei studi, Abbiamo cominciato ad arricchire i brani, aggiungendo strumenti e colori in modo molto rilassato e sereno: chitarre acustiche, percussioni e altro ancora. Ci siamo arrivati un po’ alla volta senza fretta, era fondamentale catturare l’autenticità delle melodie, volevamo rifarci alle grandi canzoni dell’infinito songbook americano, a quelle folk song che parlano appunto dei grandi temi dell’esistenza come l’amore, la libertà, la morte, la vita stessa». Un bisogno di autenticità che diviene ancora più evidente quando Mellencamp comincia a ragionare su alcune delle canzoni chiave del disco: «Longest Days è il mio punto di vista sul mio paese. Su quello che è diventato. L’America ha avuto alti e bassi, ma in questo momento temo abbia toccato il fondo. Il senso del brano è tutto qui. Credo che questo percorso che sale e poi scende appartenga alla storia di ogni Stato. C’è però quel bisogno di non sprecare il presente che è tutto nel ritornello del brano. Ho usato le parole che mia nonna mi disse prima di morire a cent’anni: “Buddie”, mi chiamava così, “ricorda anche durante i giorni più lunghi che la vita è breve. Perciò cerca di goderla fino in fondo”. Nella canzone If I Die Sudden affronto i temi della morte e della religione che sono in qualche modo caratteristici del Midwest nel senso che ricorrono spesso nelle discussioni e in quell’indottrinamento che ha in parte caratterizzato la mia infanzia, quando andavo in chiesa e imparavo tantissimo a proposito di paradiso, inferno e vita ultraterrena».
Il disco ha un suono molto caldo e vintage, come se fosse stato inciso in analogico. In realtà il segreto sta per buona parte nella tecnica di registrazione usata da T-Bone Burnett che ha messo a punto una tecnologia chiamata CODE che permette di creare file audio ad alta definizione, tanto da essere sostanzialmente indistinguibili dal master originale: «CODE riesce ad avvicinare il digitale all’analogico in termini di qualità, mantenendo intatte quelle caratteristiche di calore, pienezza e rotondità di suono che fino ad ora solo l’analogico è in grado di garantire». La versione CODE di Life Death Love And Freedom è un bonus dvd audio allegato all’edizione limitata del cd tradizionale ed è suonabile su qualunque lettore dvd, compresi quelli in dotazione nei computer. In più, le tracce CODE possono essere copiate nei comuni computer music software (compreso iTunes) e quindi scaricate nei lettori portatili come iPod.
Dopo questa parentesi dedicata alla parte tecnica del disco, cerchiamo di portare John su territori a lui cari, cominciando a parlare di small towns e Farm Aid: «Sono cresciuto in una small town nei primi anni 70 e ascoltavo tutto quello che poteva andare, in un’ideale linea musicale, da Bob Dylan a Iggy Pop. Naturalmente c’era anche la musica country di Hank Williams e Johnny Cash e i miei genitori avevano tutti i dischi di Woody Guthrie. Sono state queste quindi le mie influenze musicali. In famiglia mia madre è sempre stata impegnata in battaglie politiche durante gli anni 40 e 50 e per questo sono diventato una persona piuttosto sensibile a certi temi. Ad esempio, ai tempi di Scarecrow c’era una canzone, che si intitolava Small Town, che raccontava quanto amassi le piccole città. In una di quelle io ci vivo ancora. Purtroppo le small towns oggi quasi non esistono più: la loro sopravvivenza è indissolubilmente legata all’agricoltura e quando il presidente degli Stati Uniti ha emanato un provvedimento che, senza tanti giri di parole, ha imposto alle piccole città di crescere o di scomparire, l’unica cosa che puoi fare, come artista, è creare una grande manifestazione di beneficenza per cercare di aiutare le famiglie contadine: è il caso del Farm Aid che quest’anno arriva a ventitré edizioni e che io, Willie Nelson e Neil Young abbiamo promosso nel 1985. La cosa è cresciuta al punto che la nostra è diventata l’organizzazione benefica più longeva degli Stati Uniti. Nel corso degli anni siamo riusciti a raccogliere quasi 30 milioni di dollari. Continueremo a combattere e quest’anno il Farm Aid si terrà a Boston».
La visione di John Mellencamp non si limita a questo, sembra piuttosto contemplare con disincanto e amarezza le ceneri del sogno americano: «Quando penso che le persone della mia età dicono “abbiamo fatto…” mi viene da ridere perché, in verità, noi non abbiamo fatto assolutamente nulla. I nostri genitori e i nostri nonni prima di loro hanno fatto qualcosa, ma noi siamo stati egoisti, noi siamo quelli che credono nelle cose sbagliate, la mia è la generazione peggiore perché ci siamo preoccupati soltanto di ammassare denaro. Quando in A Brand New Song dico che le idee finiscono nelle fogne non lo dico con riferimento alla mia vita personale ma al mio paese. Perché abbiamo perduto la passione, i posti di lavoro, i sogni, questo è davvero il peggio dell’America. Mi piacerebbe essere ottimista e credere che Barack Obama possa cambiare qualcosa, ma la verità è che il popolo americano è profondamente diviso e ogni parte politica è convinta di avere ragione e l’unica cosa che fa è parlare senza stancarsi mai di farlo. Penso a George Bush e a quando disse che avrebbe unito la nazione per davvero e invece proprio lui ha diviso questo paese più di quanto non fosse mai accaduto. I politici dicono qualsiasi cosa pur di essere eletti. Questa, purtroppo, è stata la vera rivoluzione. Per poter avere fiducia in Barack Obama o in John McCain o in qualsiasi altro politico credo che dovremmo essere almeno un po’ folli, oggi. Le persone devono farsi carico delle proprie responsabilità, attivarsi, affrontare i problemi prendendoli finalmente nelle proprie mani e combattendo attraverso le proteste, le manifestazioni. Se non fai questo allora stai zitto e lascia stare, ecco questa è la situazione negli Stati Uniti. Troppe persone parlano e nessuno vuole realmente fare qualcosa per risolvere i problemi».
A vedere le tante iniziative che vedono protagonista Mellencamp c’è da rimanere sinceramente colpiti. L’essere stato introdotto nella Rock’n’Roll Hall Of Fame e aver ricevuto il Champion Award da parte della ASCAP Foundation non gli hanno però cambiato la vita: «Non è mia abitudine guardarmi indietro. Non mi piace star troppo a crogiolarmi su quello che ho fatto, piuttosto cerco di guardare bene avanti e di pensare ai prossimi traguardi».
Riguardo all’ambizioso progetto di un musical scritto con Stephen King conferma le voci di una posticipazione: «Il progetto che sto portando avanti con Stephen King, il musical Ghost Brothers Of Darkland County, è in piedi da sette anni e in teoria eravamo pronti per debuttare ad Atlanta questo autunno. Ci siamo incontrati con il regista in Florida qualche tempo fa e dopo aver chiacchierato per circa 10 minuti, Stephen ha detto che non era soddisfatto del secondo atto e che voleva riscriverlo perché aveva un’idea migliore. Io e il regista abbiamo detto ok e quindi attualmente il debutto all’Alliance Theater di Atlanta è stato rimandato».
Ci lasciamo chiacchierando sull’importanza di due figure storiche per la sua formazione di musicista: «Negli ultimi anni sono stato in tour con Donovan e John Fogerty, di cui sono da sempre un grande fan. Donovan è uno di quei talenti musicali che non è ancora stato capito dal pubblico, non è nella Rock’n’Roll Hall Of Fame eppure ha scritto canzoni straordinarie e sono a dir poco onorato di aver calcato i palchi con lui, suona e canta ancora in modo meraviglioso. John Fogerty è in forma smagliante, ha 63 anni ed è ancora in tour, sono senza parole. Fisicamente, e non solo, potrebbe mangiare a colazione sia me sia tanti altri autori più giovani di lui».

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