È uno dei casi più misteriosi dello show biz internazionale. Già, perché se il suo nome è rimbalzato sulla bocca degli appassionati almeno dai primi anni 90, la sua musica e la sua indescrivibile bravura rimangono, ancora oggi, un privilegio per pochi. Lei si chiama Rachelle Ferrell, ha 47 anni (ma ne dimostra dieci in meno), viene da Berwin, nei dintorni di Philadelphia, ed è un prodigio assoluto della vocalità moderna. Trovare un paragone adeguato per descriverne le gesta non è impresa semplice. Forse bisognerebbe addirittura scomodare il nome di Sua Maestà Bobby McFerrin, ugola aliena e geniale inventore di nuovi modi di fare musica con il solo utilizzo della voce. Come il leggendario McFerrin, infatti, l’incantevole Ferrell ha un’estensione vocale ai confini della realtà di ben 6 ottave (quasi pari a quella di un pianoforte) in grado di raggiungere persino il famoso whistle register, il suono più acuto che può emettere la voce umana, detto “registro fischiato” proprio perché il suo timbro ricorda quello di un fischietto. A differenza di Bobby, però, Rachelle non si dedica a performance per sola voce. Ed è un peccato, perché sarebbe (ne siamo certi) un successo garantito. Piuttosto, si fa assecondare da bravissimi session men, che la lanciano in infuocate improvvisazioni jazz senza disdegnare escursioni in ambito R&B e soul. E, credetemi: accompagnatori, repertorio e stile sono sempre e comunque di contorno all’inimitabile funambolismo di questa giovane signora in grado di sbalordire anche l’ascoltatore più distratto o meno preparato.
Talento precoce, Rachelle studia violino all’età di 6 anni e a 13 è già in grado di esibirsi in concerto per voce e pianoforte. Non ancora ventenne, si diploma al Berklee College Of Music di Boston, la scuola di musica più famosa del mondo. Qui i suoi compagni di classe si chiamano Branford Marsalis, Kevin Eubanks e Donald Harrison. Di lì a poco, insegna allo State Council Of The Arts del New Jersey a fianco di Dizzy Gillespie. Proprio il monumento del be bop la vuole accanto a sé come vocalist, così come fanno, negli anni 80, maestri del calibro di George Benson, George Duke o Quincy Jones. Rachelle pubblica il suo primo album in Giappone: ad accompagnarla, tra gli altri, ci sono Stanley Clarke, Terence Blanchard, Michel Petrucciani, Wayne Shorter. Nuovamente, però, a colpire la fantasia degli appassionati del Sol Levante sono i guizzi vocali della ragazza di Berwin, la sua debordante personalità artistica, il suo modo unico di interpretare brani originali o grandi classici.
Molto parca nelle produzioni discografiche (solo una manciata di album in 18 anni di carriera, dei quali il debutto americano – Rachelle Ferrell del 1992 – è quello da consigliare), la Ferrell è un portento quando si esibisce dal vivo. Lo scorso mese di luglio ho avuto modo di ammirarla nella serata che ha concluso la 30esima edizione di Estival Jazz, storica rassegna organizzata nel Canton Ticino da Andreas Wyden in collaborazione con Radio e Televisione della Svizzera Italiana. A Lugano, nella suggestiva Piazza della Riforma, di fronte a una platea attenta e partecipe, Rachelle sale sul palco alle 21 e 15. L’ha appena annunciata con malcelato orgoglio Jacky Marti, mente artistica di Estival nonché direttore della radio: «Ho scoperto Rachelle Ferrell quando ancora faceva la corista» racconta di fronte alle telecamere «e ne ho subito colto il talento. Finalmente, dopo tanti anni, siamo riusciti ad averla con noi». Vestitino di voile a pois, dreadlock raccolti in modo volutamente disordinato, occhialini rettangolari da intellettuale, Rachelle Ferrell risulta subito simpatica. Anche nel modo di porgersi, con quella sua maniera buffa di parlare poche parole in italiano e di sorridere agli spettatori. Appena inizia a cantare, però, è subito magia: il viso dai lineamenti delicati e la bella, sensuale bocca subiscono una vera e propria trasformazione. Sembrano, d’un tratto, diventare di gomma, modellandosi in maniera quasi innaturale sulle note (spesso impossibili) che Rachelle riesce a raggiungere. Da bassi cavernosi ad acuti sibilanti, la gamma di suoni che la Ferrell riesce a distribuire è davvero impressionante e va di pari passo con le indescrivibili espressioni del viso, elemento visivo complementare a ritmi e suoni. Allo stesso tempo, risulta straordinariamente emozionante la sua espressività artistica. Rachelle, davvero, può contare su una tavolozza di colori incredibile che le consente di giungere sempre e comunque al cuore dell’ascoltatore senza trascurarne le orecchie e gli occhi. Il pubblico, completamente rapito, non ne vuole sapere di accettare la fine del set. Sono (siamo) tutti in piedi ad applaudire e a urlare di entusiasmo. Questa ovazione calorosa e, in qualche modo, inaspettatamente clamorosa mette persino in imbarazzo l’impeccabile organizzazione svizzera che non prevede bis. La serata, infatti, è lunga e dopo la Ferrell, in cartellone, c’è il grande Buddy Guy. E dopo di lui, largo alle danze con la band malgascia di Tarika Bé e lo spumeggiante salsa di Issac Delgado. Eppure, non c’è programma che tenga di fronte al sottile ma seducente e implacabile fascino di Rachelle. Quando ritorna on stage, saluta con garbo, calore ed eleganza e promette che ritornerà.
Noi ci saremo.