New Orleans, lo scorso autunno. Nel più classico stile della città americana un gruppo di musicisti, la cosiddetta second line parade così chiamata perché gli strumentisti si pongono dietro la prima linea composta dai parenti stretti del defunto, sta accompagnando con musica vivace un funerale. Siamo nel quartiere di Tremé, uno dei pochi non devastati dall’uragano Katrina che a fine agosto 2005 colpì la città. Qui, da allora, si sono spostati molti abitanti in cerca di una situazione di vita più accogliente che in altre zone dove, oltre alle case distrutte e ancora da ricostruire, si assiste a un tasso di criminalità altissimo, uno dei più elevati degli States. Nell’ultimo anno ci sono stati a New Orleans più di 200 omicidi, un tragico conteggio che dopo l’uragano è diventato sempre più alto. Durante il funerale scoppiano degli incidenti: qualcuno spara in aria e una persona rimane colpita. Interviene la polizia, disperde il funerale e porta in galera i musicisti. Le differenze etniche che hanno reso New Orleans una città così speciale sono anche il suo problema più grosso: l’integrazione è molto difficile.
L’episodio ispira a Malcolm John Rebennack Jr, in arte Dr. John, una leggenda musicale di New Orleans e non solo, la canzone My People Need A Second Line, che è anche la più bella del suo nuovo disco, l’incazzatissimo City That Care Forgot (vedi recensione a pagina 80): “Dopo questo fatto” dice il musicista durante una nostra conversazione telefonica “le autorità hanno deciso che chi suona a un funerale deve pagare una apposita tassa. In più, vogliono che sia presente la polizia e che decidano loro quando e come si debbano tenere i funerali. Non esiste. Questa è una cosa spirituale, non si mettono le cose spirituali nelle mani dei politici”.
Dr. John ha fatto la storia musicale della New Orleans più recente, prendendo in mano l’eredità di personaggi come Professor Longhair e ancor prima quelle che sin dalla fine dell’Ottocento hanno dato vita a quell’incredibile mix di formule musicali che ha reso la città la music city d’America per eccellenza. Una vita spericolata. Giovanissimo, negli anni 50, è costretto a rifugiarsi a Los Angeles perché coinvolto in storie alquanto sordide: in una rissa gli sparano e perde un dito, costringendolo ad abbandonare la chitarra per concentrarsi al pianoforte. Si era già fatto un nome come session man suonando per gente come il leggendario Cosimo Matassa. È nel 1968 che dà il via a una carriera solista eccezionale, con il formidabile disco Gris Gris.
Oggi, a quasi 68 anni, parlare con lui non è una delle imprese più semplici. Quando lo chiamo sul suo cellulare, mi chiede di richiamarlo perché sta cercando di scendere le scale dal primo piano della sua abitazione (ha problemi di deambulazione da parecchi anni). Dovrò richiamarlo ben tre volte, perché per fare questa semplice operazione ci mette quasi un quarto d’ora. Con una dipendenza dall’eroina di ventennale durata, è un miracolo che sia ancora vivo: “Questa estate dovrò stare fermo senza fare concerti per ben tre mesi” mi dice. “È la più lunga pausa dalla musica che abbia fatto in vita mia. E io senza musica non riesco a stare, ma in fondo è meglio darsi una riguardata, ogni tanto”. La sua voce stentorea lascia immaginare ogni tanto una qualche forma di sorriso. Ghigno, sarebbe meglio, come quello che gli abbiamo visto sfoderare tante volte in concerto.
Parlare con lui però, oltre che un onore, è un piacere. Di cose da raccontare ne ha tante: “Vedi” dice tornando senza freni sul tema che evidentemente gli sta parecchio a cuore, quello delle second line “questi funerali sono una cosa di alto contenuto spirituale per onorare i nostri defunti. È una tradizione che abbiamo ripreso dall’Italia, lo sapevi? Anche da voi si accompagnavano i defunti al suono di una banda. A New Orleans arrivarono tantissimi italiani, soprattutto dalla Sicilia, e agli inizi di questa tradizione le bande delle second line erano composte quasi interamente da italiani. Adesso il governo ci vuole mettere il naso, è una cosa che mi fa incazzare. Le nostre bande sono una opportunità formidabile per i ragazzi di New Orleans per uscire fuori dai giri di spaccio di droga, dove altrimenti finiscono quasi tutti. E cosa fa il governo? Viene ad arrestare i musicisti delle second line e li sbatte in galera! La polizia americana dovrebbe occuparsi dei veri delinquenti, non dei ragazzi che suonano per strada”.
My People Need A Second Line è uno spettacolare pezzo di musica che comincia in modo dolente, a raffigurare il dolore di chi ha perso qualcuno, per poi aprirsi improvvisamente al classico stile gioioso derivante dal Dixieland: “A New Orleans si va con la banda fin dentro il cimitero, per alleviare lo spirito di chi ha perso una persona cara. Questa canzone è il mio modo per cercare di alleviare lo spirito di New Orleans”.
“Non avrei potuto convivere con me stesso se non avessi fatto questo disco” dice Dr. John del lavoro che fa impallidire, per la rabbia e gli attacchi politici, anche Living With War di Neil Young. “Credo che non abbiate mai sentito così tante parolacce in un mio disco prima di questo” dice.
Che New Orleans sia per lui un posto speciale, lo si capisce dal modo in cui ne parla: il suo tono di voce altrimenti fantasioso e scherzoso si spezza quasi in pianto. “Certo, ho ancora membri della mia famiglia a New Orleans (da anni vive a Long Island, nda), i miei nipoti. Come tutti, hanno perso qualche cosa durante l’uragano. Il marito di mia figlia ha perso anche il lavoro. Quei disgraziati di Cheney (vicepresidente degli Usa, nda) e quelli che dirigono la Halliburton (la famosa multinazionale di cui Cheney era a capo e che è accusata di manovre poche pulite in combutta con l’amministrazione Bush, nda), con la loro maledetta politica stanno portando tutto il lavoro fuori del Paese. Lo portano in Messico, in Centro America, dove la manodopera costa poco, e la gente a New Orleans perde i posti di lavoro”.
Spiega che gran parte delle canzoni del disco sono prese da articoli di cronaca letti sul quotidiano di New Orleans, il Times-Picayune. Ma non c’è solo New Orleans: c’è la guerra in Iraq in un brano come Black Gold, l’oro nero che è ovviamente il petrolio. E c’è quella che è già stata definita la What’s Going On della YouTube generation. In Time For A Change l’anziano musicista alza forte la richiesta di un cambiamento politico nel suo Paese: “Se trovi qualcuno che vuole bene al mondo e alla gente, votalo per mandarlo alla presidenza. Basta con i soldi fatti a prezzo delle vite umane, se capisci quel che dico, allora è tempo per un cambiamento” dice il brano. Non ha dubbi su chi sostenere alle presidenziali del 2008, anche se con un certo rammarico: “Voto Obama, senza dubbio. Ha un buon gruppo di collaboratori intorno che possono fare la differenza. Ma penso che sia davvero una cosa triste che in America ancora non ci siano chance per un candidato indipendente. Perciò Obama rimane la sola buona scelta possibile”.
City That Care Forgot è stato scritto e inciso con la collaborazione di un’altra grande leggenda, quel Bobby Charles che molti ricordano per un solo hit, See You Later Alligator, ma che di fatto ha scritto e prodotto grandi pagine musicali della Crescent City. Ma non solo. È della partita anche il vecchio amico Eric Clapton, che collaborò con Dr. John nel lontano 1971 per il suo album The Sun, Moon & Herbs: “Abbiamo fatto altre cose insieme nel corso degli anni oltre a quell’album” dice Dr. John. “Altri dischi di cui sinceramente oggi non ricordo il titolo. Lavorare con lui è sempre un piacere. È il musicista più disponibile, collaborativo e easy con cui abbia mai lavorato”.
Poi c’è Ani Di Franco, alla voce nella title track: “Conosco Ani da diversi anni. Ha inciso diversi dischi a New Orleans. È un personaggio assolutamente brillante. È stata la prima a proporsi per partecipare a questo disco ancor prima che cominciassimo a registrarlo”.
Willie Nelson fa la sua comparsata in Promises Promises, un suo pezzo composto anni fa insieme a Bobby Charles “ma che purtroppo” precisa MacRebennack “ha un testo ancora attuale”, e cioè: “La strada verso la Casa Bianca è pavimentata di menzogne”.
Dr. John ci tiene a spendere due parole per Troy “Trombone Shorty” Andrews e suo fratello James “12”, due piccole leggende locali: “Quando ti parlavo dell’importanza delle second line band, loro sono un buon esempio. Pensa che Troy Trombone era già un band leader all’età di 6 anni! Ecco cosa vuol dire la musica per la gente di New Orleans. Avrebbe potuto diventare un delinquente di strada, invece adesso va in giro a suonare con le rock star” (nel 2005 il musicista fece parte degli accompagnatori di Lenny Kravitz nel suo tour mondiale e nel 2006 ha inciso con gli U2 e i Green Day per il brano The Saints Are Coming).
Viene spontaneo, ascoltando quest’album così immerso nella musica di New Orleans, pensare al suo disco d’esordio, quel Gris Gris uscito nel lontano 1968: “Ho fatto solo due dischi dedicati a New Orleans” dice “Gris Gris e questo qua. Come Gris Gris voleva essere una preghiera perché non si perdessero lo spirito musicale della città e le sue tradizioni, questo nuovo lavoro è stato fatto per la gente della mia città. Se ascolti un brano come Dream Warrior troverai parecchie cose che ricordano proprio le atmosfere di Gris Gris. Molti miei pezzi hanno un mood che li accomuna, è lo spirito voodoo di New Orleans che scorre in sottofondo e su cui costruisco le mie canzoni”.
La sua carriera quarantennale è ricca di momenti storici, come quando si esibì al concerto di addio di The Band immortalato nel film L’ultimo valzer, di cui mi racconta un paio di episodi inediti: “Una bellissima serata, mi divertii moltissimo con i miei amici Eric Clapton e Bobby Charles. Ho un solo rammarico, qualcuno mi rubò il cappello che indossavo quella sera. E un altro: Robbie Robertson, qualche mese dopo, mi fece andare in studio con loro per incidere dei pezzi che avrebbe voluto inserire nel disco che celebrava quella sera. Portai le mie coriste appositamente. Poi invece nel disco preferì metterci una registrazione con gli Staples Singers ed Emmylou Harris. Ma è così che vanno le cose a volte, ognuno ha il suo punto di vista sulle cose da fare” aggiunge con filosofia. “Ho rivisto Robbie recentemente, durante una incisione per un disco in tributo a B.B. King e sento spesso Levon Helm per telefono. Sono stato anche a suonare a uno dei suoi concerti casalinghi qualche tempo fa” (le Levon’s Ramblings, house concert tenuti dall’ex batterista di The Band con ospiti speciali).
Nell’autobiografia uscita nel 1994, Under A Hoodoo Moon, Dr. John scrive che il leggendario “Professor Longhair era l’angelo custode delle radici della musica di New Orleans”.
È di lui, dunque, che dobbiamo ricordarci quando pensiamo alla incredibile tradizione musicale di questa città? “Ci sono sempre tante persone che rappresentano l’autentico spirito di New Orleans” dice. “Perché la musica di New Orleans è fatta da tante persone e da tantissime influenze musicali diverse, non è uno solo che tira la baracca. Professor Longhair ebbe l’abilità e l’intuizione di sviluppare e custodire la musica per le band, conservandone la tradizione, ma poi penso a Jelly Roll Morton che sviluppò una diversa attitudine musicale e il discorso potrebbe andare avanti a lungo. È lo spirito di New Orleans che conta, quello che ci spinge a continuare”.