28/01/2008

La voce di Levon

I was lost, I was gone, listening to Levon” canta Marc Cohn nell’incantevole brano d’apertura del suo recente album Join The Parade. Nella canzone, Marc racconta di quel giorno della sua gioventù in cui la bellissima ragazza che aveva corteggiato per mesi sembra finalmente sul punto di cedere. Per rendere il tutto ancor più memorabile, Marc prende a prestito dal padre una fantastica Plymouth Valiant convertibile, blu elettrico, e al volante della macchina si reca a casa della sua bella. Sulla lussuosa fuoriserie, con il vento tra i capelli e l’avvenente compagna al suo fianco, il giovane Cohn decide di aggiungere un “final touch”: accende la radio sul cruscotto. Di colpo, dagli altoparlanti esce la musica di The Band e quella voce… Perso, distratto, immerso nell’imprevedibile magia sonica, Marc si dimentica tutto: del “giorno dei giorni”, della magnifica spider e della sua ancora più (magni)fica occupante… just listening to Levon. Mio padre non ha mai posseduto una Valiant blu e io (forse) non ho mai avuto una fidanzata così sexy come quella descritta da Marc Cohn. Eppure, ve lo garantisco, anch’io sono stato sedotto da quella voce irresistibile. Ricordo benissimo il giorno in cui, per la prima volta, ho ascoltato The Weight e sono stato folgorato dal suo attacco: “I pulled into Nazareth, was feelin’ about half past dead / I just need some place where I can lay my head / ‘Hey, mister, can you tell me where a man might find a bed?’ / He just grinned and shook my hand, ‘No!’, was all he said”. Solo a ricopiare quei versi, mi viene la pelle d’oca. Potrei ascoltare (ma l’ho già fatto) mille volte quella strofa e, sempre, sarei certo di riuscire a scoprirne un dettaglio nascosto: perso, distratto, immerso nella voce di Levon Helm. Quella voce dal fascino irresistibile, tonica e ribelle come lo spirito del rock. Aspra come l’America rurale da cui proveniva e che sapeva tratteggiare in modo mirabile; scura, roca ma piena di profonda dolcezza e debordante espressività. Quella stessa voce, che qualcuno (giustamente) ha proposto venisse custodita in uno dei musei della Smithsonian Institution proprio come i più importanti tesori culturali degli Stati Uniti, ha rischiato di scomparire.
“Dieci anni fa” ricorda Mr. Helm “ho cominciato ad avere problemi alla gola: una costante raucedine, dolorosi fastidi, difficoltà a cantare. Nessuna terapia sembrava funzionare”. Levon, che per anni ha fumato 3 pacchetti di sigarette al giorno, non ne vuole sapere di prendere la cosa seriamente. È sua figlia Amy a convincerlo a sottoporsi alla visita di uno specialista. “La diagnosi è stata crudele: cancro alle corde vocali” spiega. “All’inizio, papà ha reagito malissimo” racconta Amy “ma poi, pian piano, sono riuscita a infondergli coraggio”. E, nonostante la voce di Levon a un certo punto sia completamente sparita, la figlia lo convince a recarsi nel vicino Sloan Kettering Center dove, dopo un’operazione chirurgica, viene sottoposto a 28 sedute di radioterapia. La cura ha funzionato e oggi, a 67 anni, Levon Helm è guarito ed è tornato a cantare. “Sono al 75% delle mie capacità vocali” dice “ma forse è sufficiente”. A giudicare dai risultati che si ascoltano nel recente Dirt Farmer (primo album solista in 25 anni, uscito lo scorso 30 ottobre) sembrerebbe proprio di sì. “Viviamo in un’epoca di miracoli” ha scritto nelle note di copertina  di Dirt Farmer.

Ma non solo di miracoli scientifici: Levon Helm è un autentico miracolo di longevità artistica. Dopo 50 anni di carriera (ha iniziato nel 1957 al fianco di Ronnie Hawkins), il leggendario batterista/cantante ha, da un paio di anni, messo in piedi  nella sua casa/fattoria di Woodstock (“Sono uno di quelli che si era recato a Woodstock per il Festival e poi c’è rimasto…” scherza) i Midnight Rambles, sorta di “concerti privati” con cui intrattiene pochi fortunati spettatori. “Abbiamo iniziato nel 2005” ci spiega. “Di fianco alla mia abitazione c’è un vecchio granaio che ho trasformato in studio di registrazione. Ho pensato fosse il luogo ideale dove potermi riprendere e ricominciare a cantare e suonare batteria e mandolino dal vivo: non avevo voglia di andare in giro e volevo canalizzare tutte le mie energie psicofisiche al recupero della mia voce. Nello studio abbiamo un palco attrezzato e, più o meno, 250 sedie. Tutte le volte che facciamo un Midnight Ramble prevediamo due o tre set: cominciamo verso le 8 di sera e non sappiamo a che ora si finisce…”.
Fissa al suo fianco, la Levon Helm Band con spesso Larry Campbell (chitarre e violini) e sempre la figlia Amy ai cori. “Ma, a sorpresa, alcuni amici famosi ci possono raggiungere” spiega Levon, tanto che, se siete fortunati, ai Rambles ci potete trovare Dr. John o Elvis Costello, Emmylou Harris e Rickie Lee Jones, Donald Fagen e Joan Osborne, Leon Russell o Nick Lowe. E molti altri ancora: un mese fa, ci hanno giusto jammato Medeski, Martin & Wood. Per la cronaca, i biglietti (vedi www.levonhelm.com) non sono proprio a buon mercato: si viaggia a una media di 150 dollari a testa. Ma l’esperienza merita, e a giudicare dal successo (il sold out è una regola) la formula pare funzionare alla grande.
E poi, diciamola tutta: chi fra voi lettori (ne avesse la possibilità) non farebbe un salto a Woodstock per ascoltare, anche solo una volta, il racconto di Virgil Kane e “della notte in cui hanno affossato il vecchio Dixie”? Persi, distratti, immersi… just listening to Levon…

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