26/11/2007

Marc Cohn

Join The Parade – Decca

Denver, Colorado.
5 agosto 2005.
Ai Botanic Gardens della Mile High City è appena terminato il suo concerto, insieme a Suzanne Vega. A bordo di un van, guidato dal tour manager Thomas Dube, il cantautore Marc Cohn (vincitore di un Grammy nel 1991) raggiunge la sua automobile in un parcheggio nei pressi della zona pedonale di 16th street. Appena giunti sul posto, i due scorgono un ladro che sta cercando di scassinare la vettura di Marc. Il tizio, una volta scoperto, esplode due colpi di pistola: il primo infrange il parabrezza, il secondo centra in piena testa il cantautore di Cleveland. Ricoverato d’urgenza al Denver Health’s Medical Center, Cohn entra subito in sala operatoria. Il proiettile viene estratto senza fatica: non  ha provocato danno alcuno al cervello.
Un miracolo.
Neanche due giorni dopo, Marc viene dimesso e fa ritorno a casa a New York insieme alla moglie Elizabeth Vargas, nota conduttrice televisiva di Abc News. Tre settimane dopo, Cohn (ancora in convalescenza) viene informato, come tutti nel mondo, delle disastrose conseguenze dell’uragano Katrina. “Erano anni che avevo in mano quattro o cinque buone canzoni” racconta “ma non riuscivo a trovare altro materiale all’altezza per dare vita a un vero album. A seguito di quegli eventi è come se mi fossi sbloccato. Melodie, testi, riff, ritornelli, storie, idee hanno cominciato a sgorgare in modo fluido e inarrestabile. Ho capito che quello era il momento buono”.
Artista sensibile, autore ispirato, cantante dal timbro particolare, Marc Cohn con il suo omonimo album d’esordio del 1991 ha stupito il mondo e convinto anche il critico più scettico: Walking In Memphis (ripresa, in seguito, con enorme successo da Cher) è solo la chicca di un album delizioso in cui compaiono dieci canzoni, una più bella dell’altra. Dopo quel successo, bisogna aspettare 7 anni per Burning The Daze e, poi, altri 5 per The Rainy Season: entrambi episodi di indubbio valore, amati dai fan più calorosi ma snobbati dal pubblico. “So di essere stato dimenticato dai più” confessa candidamente “e molti credono che l’unica canzone che ho scritto sia Walking In Memphis. Sono contento che gli ammiratori mi consentano di lavorare con soddisfazione”.
I suoi fan, ma non solo quelli, godranno per questo Join The Parade, lavoro che ci fa riascoltare e riapprezzare il miglior Marc Cohn, quello capace di sintetizzare in modo esemplare la suadente eleganza del songwriting californiano con la rudezza del blues, la intrigante poetica del cantautorato folk con la raffinatezza del miglior pop d’autore. Il brano d’apertura, Listening To Levon, vale da solo il prezzo del cd. Dedicato a Levon Helm (batterista e voce più riconoscibile di The Band), il pezzo è una ballata coinvolgente, dinamica, varia e imprevedibile. Con un testo ironico che racconta di come lo stesso autore, in macchina con una bella donna, rimanga rapito dalle note di una canzone di The Band. E dimentichi l’avvenente bellezza al suo fianco salvo poi chiederle scusa, a posteriori e proprio attraverso i versi dello stesso brano perché “anche tu in questo momento ti sarai persa ascoltando Levon”. Oltre a far piacere per la dedica al vecchio musicista dell’Arkansas (anche Elton John, mi comunica Paolo Vites, a inizio carriera aveva dedicato una canzone a Levon Helm), il disco conferma la curiosa attitudine di Cohn a impreziosire i suoi testi con citazioni di personaggio luoghi o fatti che hanno fatto grande la storia della american music. Non a caso, il brano che segue The Calling ha come sottotitolo The Ghost Of Charlie Christian.
Se Listening To Levon è il brano-manifesto del disco, la title-track è il momento melodicamente più classico e riuscito: un pezzo che ti si pianta in testa e non ne vuol sapere di uscirne. “Le parate dei funerali per i morti di Katrina sono stati di  grande ispirazione. A New Orleans il funerale è una tradizione importante, un momento catartico ma anche un modo positivo di affrontare l’al di là” spiega Marc.
Il ruvido talking blues Dance Back From The Grave si contrappone alle delicate atmosfere di Let Me Be Your Witness, il tempo sexy, sincopatissimo (quasi da second line) che introduce la folgorante My Sanctuary contrasta con la deliziosa ballad acustica Life Goes On che chiude emblematicamente il lavoro; a suggellare il tutto, il magnifico duetto con Shelby Lynne (che dà un tocco charmante ai cori di tutto il disco) in Giving Up the Ghost, autentica pennellata di classe che fa ulteriormente alzare il giudizio sull’intero album.
Prodotto da Charlie Sexton, Join The Parade si avvale della perizia strumentale di Jim Keltner, Benmont Tench, Danny Kortchmar e The Holmes. Non c’è bisogno di aggiungere altro: consigliato a tutti i lettori.

Listening To Levon
The Calling
Dance Back From the Grave
If I Were An Angel
Let Me Be Your Witness
Live Out the String
Giving Up The Ghost
Join The Parade
My Sanctuary
Life Goes On

Prodotto da Charlie Sexton

On demand

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