02/10/2007

JOHN DENVER

L’ULTIMO VOLO DEL COWBOY BUONO

12 ottobre 1997
Salinas, California
È una domenica di quiete nella baia di Monterey, come sempre affollata di velisti appassionati, surfer prestanti ma anche di semplici vacanzieri speranzosi di portarsi a casa una bella abbronzatura. All’improvviso (sono le 5:28) un botto scuote la pacifica atmosfera di quel giorno di festa. Mentre sta sorvolando a bassa quota le fredde acque dell’Oceano Pacifico, a una cinquantina di metri dalla costa, un piccolo aeroplano in fibra di vetro è, di colpo, precipitato in mare. Nel giro di pochi secondi, la parte principale del velivolo, semidistrutta dall’impatto, scompare sotto le onde. Passano alcuni minuti e stormi di gabbiani affamati cominciano a planare in modo circolare sull’area dell’incidente, pronti a una cena anticipata con i resti del pilota. Quando, intorno alle 18, giungono i primi soccorsi c’è ormai poco da soccorrere: ciò che rimane del corpo (senza il braccio sinistro, con un polmone in meno, un quarto di torace mangiucchiato e con solo il 25% del cranio integro), serve solo a stabilire che si tratta di un maschio di razza bianca. Purtroppo, il cappellino da baseball con la scritta “Yuma Rod And Gun Club”, i pantaloni Haggar verdi, la felpa colorata e gli stivali da cowboy lasciano pochi dubbi sull’identità dello sfortunato soggetto. In serata, l’ufficio del coroner della contea di Monterey, dopo un’accurata analisi delle impronte digitali, dà la conferma definitiva: si tratta di Henry John Deutschendorf, conosciuto dai più con il nome d’arte di John Denver.
Professione: musicista e cantante.

Così, dopo un volo di pochi minuti su un aeroplanino comprato soltanto il giorno prima, termina l’epopea dell’autore di Country Roads, Rocky Mountain High, Thank God I’m A Country Boy e di decine di altre hit che hanno invaso le radio d’America e del mondo con quel country-pop (mescolato alla canzone d’autore e pieno di buoni sentimenti) che è stato il trademark del songwriter nato nella notte di capodanno del 1943 a Roswell, New Mexico. Seguendo gli spostamenti del padre, un ufficiale dell’aviazione americana, John cresce in varie zone del Southwest ma s’innamora talmente tanto delle Montagne Rocciose del Colorado da cambiarsi il cognome (prendendo a prestito quello della capitale dello Stato, Denver, la Mile High City) e scegliersi come residenza la sciccosissima Aspen. La vita del giovane John ha una svolta quando a 12 anni, come regalo di compleanno, riceve dalla nonna una magnifica Gibson semiacustica del 1910. Impara quasi subito a suonarla e, durante gli anni del college, comincia a esibirsi nei music club di Texas, New Mexico e Arizona. Trasferitosi in California nei primi anni 60, si unisce al Mitchell Trio e fa della musica una professione. Alla fine del decennio, inizia una carriera solista che diventa ben presto un caso di successo. Grazie all’album Poems, Prayers And Promises del 1970 raggiunge il primo posto delle classifiche e Country Roads entra nel songbook americano di tutti i tempi.

Il suo look da bravo ragazzo, le sue maniere gentili, i suoi testi poetici e pre ecologisti, la sua musica delicata e rassicurante centrano il bersaglio. John Denver è un fenomeno pop anomalo ma assolutamente travolgente. Il suo attivismo in campo umanitario va di pari passo con il successo commerciale: John è testimonial Unicef e gira il mondo per sostenere progetti a favore dei bambini poveri e malati dei paesi in via di sviluppo. Supporta esplicitamente il partito democratico e critica severamente l’amministrazione Reagan. Ma è il suo impegno ecologista a dargli maggiore lustro. In particolare, i suoi sforzi si concentrano sul fronte del risparmio energetico. Qualcuno sostiene che John abbia sotterrato in giardino due barili di benzina, per ogni evenienza. La notizia diventa quasi beffarda nel momento in cui, il giorno dopo la tragedia aerea, si scopre che il piccolo aereo Long EZ aveva esaurito il carburante: John si era dimenticato di controllare il livello del serbatoio.
Personaggio impeccabile sul versante pubblico, John Denver ha avuto una vita privata con parecchie ombre. Il suo alcolismo (solo in parte recuperato), le sue vicissitudini famigliari (due matrimoni falliti alle spalle, due figli adottati e uno naturale), le numerose conversioni religiose non sono mai sembrati quagliare con la sua immagine immacolata da all american boy. Ma tant’è. Come per i grandi sportivi, anche per le leggende del rock, la vita privata è, alla fine, affare loro: a noi appassionati interessano le opere. E così, a dieci anni di distanza dalla morte, di John Denver ci restano i suoi brani amati da più generazioni. Ma non solo.
Anne Kate, la prima moglie alla quale aveva dedicato la romantica Annie’s Song e con cui si era riappacificato dopo il divorzio dall’attrice/cantante australiana Cassandra Delaney, qualche anno fa ha contribuito alla realizzazione del John Denver Sanctuary a Aspen, Colorado: una suggestiva serie di dolmen (eretti nel parco cittadino) sui quali sono scolpiti i testi delle sue più belle canzoni. Un bel modo per ricordare il marito e per preservare la memoria di un artista che ha saputo cantare l’America in modo originale e diverso. Riposi in pace.

Riposi in pace.

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