27/06/2007

Quando ‘Jammare’ è una fede

Ne abbiamo parlato spesso. Anche in modo approfondito (vedi Jam 39), perché il fenomeno ci piace e non potrebbe essere altrimenti, considerato il nome che abbiamo scelto per questo giornale. E poi perchè quello delle JAM BANDS è un movimento ormai consolidato e non solo una moda passeggera.

Paradossalmente anzi, il fatto che il festival H.O.R.D.E. (il carrozzone itinerante inventato da John Popper e dai suoi Blues Traveler che molto ha fatto per spargere il verbo delle JAM BANDS negli Stati Uniti) abbia chiuso i battenti o che il suo equivalente nostalgico (il Furthur Festival che ruota intorno a Bob Weir e agli altri Dead) abbia subito uno stop la scorsa estate non ha fatto altro che alimentare le aspettative.

Sempre maggiore è infatti il numero di giovani band che, seguendo la strada maestra tracciata da Grateful Dead e Allman Brothers, fanno dell’improvvisazione e dell’happening il loro credo artistico che si manifesta in maniera compiuta nel corso degli spettacoli live. Così come consistente è il ritorno di coloro che a questo spirito sono tenacemente attaccati da anni (un nome per tutti: Santana) e che proprio in questo periodo stanno ritrovando nuove energie creative e un seguito che sembra essere persino superiore a quello dei loro ‘tempi d’oro’.

Il tutto è efficacemente testimoniato da Dean Budnick nel suo Jam Bands (ECW Press $19.95), un volume di recente pubblicazione, in cui l’autore raccoglie schede esaustive di ben 170 gruppi, con biografie, profili artistici, discografie consigliate e indirizzi web. Il libro è l’ideale complemento del magazine on line che lo stesso Budnick cura nel sito ufficiale www.jambands.com nel quale oltre alla newsletter mensile ci sono aggiornamenti, informazioni e links con le web-site dei principali gruppi.

Nel libro (oltre a una trentina di band vecchie e nuove la cui popolarità ha varcato l’Oceano) ci sono diversi di gruppi già noti agli appassionati più un numero cospicuo di altri ensemble in Europa pressoché sconosciuti. Il lavoro di Budnick è completato da due capitoli dedicati rispettivamente al mondo dei tapers e agli scambi delle registrazioni dei concerti e al club newyorkese Wetlands, uno dei templi della jam music.

La testimonianza migliore, però, rimane quella diretta specie se avete la fortuna di assistere ad uno show negli Stati Uniti. A me è capitato un paio di mesi fa, riuscendo a partecipare ad una delle pochissime Summer Sessions (dieci in tutto) che Phil Lesh (bassista dei Dead) ha tenuto con alcuni dei suoi ‘Friends’ nel mese di agosto.

Luogo dei concerti il mitico Greek Theatre di Berkeley (capienza circa 10.000 persone e biglietti esauriti due mesi prima dello show nel primo giorno di prevendita). Ospiti delle due serate quattro delle JAM BANDS attualmente più popolari negli States: Galactic, Gov’t Mule, String Cheese Incidents, moe.

Già camminando sul viale che porta al Greek Theatre (un grande anfiteatro all’aperto in stile ‘finto-greco’ collocato all’interno del campus della UC Berkeley) ci si poteva sintonizzare sull’atmosfera del concerto. File interminabili di scassatissimi VW van e di school bus coloratissimi parcheggiati sui lati del viale scaricano tanti giovani (e giovanissimi) neo-hippies, molti accoppiati fra loro, quasi tutti con almeno un cane. Questi nuovi ‘figli dei fiori’ riproducono fedelmente l’immagine della Haight-Ashbury del ’67, quella della storica Summer Of Love: negli abiti, nelle acconciature, negli atteggiamenti, nello stile di vita. Hai l’impressione che l’orologio del tempo sia stato riportato indietro di 30 anni buoni. E persino i poliziotti (alcuni dei quali sportivamente a cavallo di mountain bike) hanno lo sguardo buono e sorridente.

All’interno dell’anfiteatro, il clima e le buone vibrazioni sono addirittura enfatizzate. Due fatti colpiscono subito l’attenzione. In primo luogo il settore riservato ai tapers che, già un’ora prima del concerto, hanno piazzato aste, microfoni e tutto il loro armamentario tecnico per documentare l’evento. Saranno tre o quattrocento e sembrano un vero e proprio club. Da sempre infatti (proprio secondo i dettami della filosofia dei Dead) le JAM BANDS non solo non impediscono al pubblico di registrare i loro show ma ne facilitano la realizzazione con biglietti speciali e posti riservati.

Secondo: molti fumano. Sì, proprio qui nel Nord della California dove ormai fumare è considerato un crimine peggiore dello stupro. Dove se tiri fuori una sigaretta anche per la strada vieni guardato malissimo.

Dove i pochi che ormai lo fanno pubblicamente (a parte qualche turista pirla) sono gli homeless di Market Street.

Ma al Greek Theatre si fa un’eccezione: non che manchino le scritte ‘No smoking’ però (come nella migliore tradizione latina) tutti se ne sbattono. Era dal 1974 (concerto di Richie Havens al Palalido di Milano) che non vedevo così tante canne, pipette e aggeggi vari per il ‘fumo’. D’altronde, luogo, atmosfere e musica lo giustificano.

Già, la musica. Inizia puntuale alle 18 con il set dei String Cheese. Suoni belli, tecnica discreta, brani dilatati e grande atmosfera. Il volume è moderatamente basso, quasi appositamente, in modo da facilitare la socializzazione. Le ragazze ballano la wind dance come fossero all’Avalon Ballroom e il pubblico, colorato, carino e rilassatissimo, diventa parte integrante dell’evento. Se entri in quel mood puoi davvero meglio apprezzare l’happening facendoti coinvolgere in questo clima da peace and love. La musica diventa allora quasi un corollario, indispensabile ma pur sempre un corollario. È un’onda sonora che segue le improvvisazioni, si alza e si riabbassa in maniera ciclica. Lo si avverte maggiormente quando salgono i moe (un’ora e mezza di spettacolo e due soli brani in scaletta!!!) o l’ensemble del mitico Phil Lesh. In quest’ultimo caso, le pecche tecniche sono a volte davvero imbarazzanti tanto che è meglio partecipare al tutto senza badare più di tanto a stonature, cali di ritmo e assoli esageratamente strascicati. D’altronde questa è stata proprio la stessa filosofia che ha reso leggendari i Grateful Dead. Non è un caso che quando intorno a mezzanotte, il tutto volge al termine ti aspetti che da qualche parte sopra il palco compaia il faccione bonario e sorridente di Jerry Garcia a impartire la sua benedizione.

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