Quasi tre ore di spettacolo per uno dei concerti più travolgenti che il Tunnel abbia mai visto. Steve Wynn e la sua band (in cui spicca la simpatica e validissima batterista, anche compagna nella vita di Wynn) non si sono risparmiati, quasi che, invece che davanti ai duecento spettatori scarsi, si fossero trovati a San Siro, davanti a 80mila persone. Wynn e soci ci hanno preso gusto in modo inaspettato, cominciando già bene lo show (per quasi tutta la prima parte dedicato ovviamente all’ultima pregevole fatica discografica, Here Comes The Miracles, e ai due precedenti dischi) in modo convinto e robusto, ma mostrando di divertirsi sempre di più fino a una conclusione travolgente, la bellezza di cinque bis a sorpresa, con il pubblico che era già quasi tutto sfoltito, tanto che al momento dell’ultimo bis saremo stati neanche una trentina.
Ma a Wynn questo non importava un fico secco: al grido di “It’s too late to stop now” di ‘vanmorrisoniana’ memoria ha regalato ancora una ultima chicca, una intensa Medicine Show. Già, perché quasi tutta l’ultima ora di concerto è stata dedicata a un revival dei gloriosi Dream Syndicate (con una bellissima resa del classico Boston, cominciata in sordina e terminata in una esplosione elettrica di rara intensità), con evidente piacere di pubblico e musicisti. Anche una chicca dal leggendario album Lost Weekend, quella sorta di supergruppo tra Dream Syndicate e Green On Red di metà anni Ottanta. Wynn e i suoi “tre miracoli” sembravano un incrocio tra Ramones, Clash e Bruce Springsteen: violenti, rabbiosi, pieni di buone vibrazioni, un treno lanciato sui binari del rock’n’roll più verace e sincero, quello che se ne fotte di capacità virtuose ma sa come far sanguinare un’anima.
Un treno che “è troppo tardi per fermarlo, adesso” e che grazie a concerti come questi salva la faccia a tutto un genere musicale.