24/05/2007

Il Giubileo di Perry Farell

Perry Farrell

Ed eccoci tutti qui. Giornalisti italiani e spagnoli, per un totale di otto persone, tutti attorno a un tavolo, in attesa di Mr. Perry Bernstein, meglio conosciuto ai più con il nome di Perry Farrell. E già, Mr. Peripheral (risultato fonetico dell’unione di “Perry” e del suo nuovo cognome, “Farrell” appunto) non aveva tempo da dedicarci singolarmente. Troppe le richieste per intervistarlo? Forse. Chissà.

D’altra parte un personaggio come “Mister Periferico”, un artista di questo calibro, non avrebbe potuto far altro che attirare tutte queste attenzioni. Un personaggio che ha inventato un evento come il Lollapalooza (la Woodstock itinerante della alternative generation degli anni 90), che è stato a capo di uno dei gruppi più importanti del rock alternativo anni 90 (i Jane’s Addiction), che ha firmato, insieme a Dave Navarro (suo compagno di avventura in Jane’s Addiction), dischi entrati nella storia del rock come Nothing’s Shocking o Ritual De Lo Habitual, che è sempre stato al centro della scena musicale di Los Angeles, inventandosi dopo lo scioglimento dei Jane’s Addiction i Porno For Pyros e, nel 1998, i Gobalee, un personaggio così non poteva far altro che far accorrere i giornalisti.

E così oggi, dopo una raccolta di hit, rarità dei Jane’s Addiction e Porno For Pyros e due brani inediti (l’album Rev), Farrell torna in scena con il suo primo disco solista: Song Yet To Be Sung. E noi siamo qui ad attenderlo, in questa lussuosa sala conferenze di un altrettanto lussuoso hotel milanese.

Dopo una decina di minuti di attesa, mi viene da pensare che forse “il nostro” si sia perso nell’attigua sala (dove c’è una presentazione di alcuni modelli firmati Tommy Hilfiger). E invece no. Arriva serafico con una elegante coppa di cristallo da cui sorseggia in modo altrettanto elegante del vino rosso.

La prima impressione è che non sia così in forma come lo mostrano le fotografie ufficiali diffuse dalla casa discografica. Lì infatti appare a torso nudo, abbronzato al punto giusto, con una catena d’oro esotica, simil indiana, da guru di qualche setta tipo Hare Krishna.

A noi invece si presenta come un 44enne (questa la sua età) emaciato in modo preoccupante. Certo, la camicia attillatissima in tinta ‘fluo’ verde pisello, i pantaloni marrone alla Prada e la cravatta kitsch alla Versace confondono un po’ le idee. Ma a guardarlo bene, la sua magrezza fa davvero impressione. Ma tant’è…

Farrell si accomoda su un divano verde scuro perfettamente appropriato al suo abbigliamento odierno (chissà se ha deciso di vestirsi così dopo un sopralluogo nella sala conferenze). Appoggia delicatamente il suo bicchiere di vino sul tavolo. Ha un modo di fare, di muoversi, molto elegante, posato, che stride in modo evidente con quello del Farrell punk e freak dei tempi dei Jane’s Addiction.

Sembra che stia entrando in una parte. La parte del protagonista assoluto di una conferenza stampa. Lui di questo ne è consapevole e tutti i suoi movimenti calcolati fanno intuire un forte narcisismo, un desiderio di essere osservato che va al di là delle parole che pronuncerà.

Dopo aver conserto le braccia, essersi messo in mostra, Farrell ci guarda. Segue una rapida carrellata, quasi stupita, a guardare i giornalisti accorsi al suo show.

Poi il silenzio. Si inizia.

Parto con la prima domanda.

So che Song Yet To Be Sung, per Farrell, è soprattutto un disco denso di spiritualità.

So che il tema centrale di Song Yet To Be Sung è il Giubileo, concetto che ricorre più volte nel disco e che Perry sviscera con pacata passione anche nell’intervista.

Ma sono qui per la musica, per le canzoni, per capire come è nato il disco, perché ha deciso di adottare in modo così deciso, per il suo primo disco da solista, sonorità lontane dal suo background rock come sono quelle che animano Song Yet To Be Sung: le sonorità dell’ambient, del drum’n’bass, del breakbeat.

E allora dico: “Questo è il disco che conferma l’avvicinamento di Farrell all’elettronica. È il tema musicale centrale per capire Song Yet To Be Sung”.

Lui mi guarda dritto negli occhi e con la sagacia di un leader risponde sprezzante: “No. Il tema centrale è il Giubileo”.

Mi vengono in mente storie e aneddoti di precedenti interviste in cui Farrell era stato lapidario, a volte anche scontroso. Ma non è così. Ho solo sbagliato argomento. Quando infatti si parla di ciò che sta dietro alla musica, Farrell, nonostante la sua impressionante magrezza, si illumina di una luce quasi celestiale. I movimenti che prima sembravano fin troppo posati, ora diventano qualcos’altro: sembrano i segni di una persona che, dopo anni di punk, di storie di droga, ha scoperto la gentilezza, la pace interiore.

E allora inizia una sorta di sermone che ci accompagna per tutta l’intervista.

“Il Giubileo è il tempo in cui fermarsi per un secondo e riflettere sui significati di liberazione, redenzione, celebrazione, unione e carità”, dichiara Perry. “Certo, oggi come oggi sono preoccupato per il Giubileo. Il Los Angeles Times mi ha dedicato un lungo articolo quando ho dichiarato il giorno ufficiale di festa del Giubileo, il 10 ottobre di ogni anno. Ma in prima pagina non c’ero io. In prima pagina c’era un articolo sul terrorismo. E finché ci sarà terrorismo, finché in Israele non ci sarà pace, la sorte del Giubileo sarà minacciata.”

Sarà minacciato quel momento di riflessione in cui, chiaramente, c’è spazio per la spiritualità, vero tema centrale del nuovo disco di Farrell. Già, ma cos’è la spiritualità per Farrell?

“Bisogna cercare noi stessi. Non importa chi siamo, che cosa facciamo. La cosa importante è che quando ci si conosce, quando hai capito te stesso, puoi condividere quest’esperienza di conoscenza con gli altri. Nel momento di condivisione è come se fossi parte di un diamante. Un diamante ha 70 sfaccettature. Più facce ha il diamante, più esso sarà perfetto. Allo stesso modo, più condividi con gli altri e sarai un buon fratello, più entri in contatto con gli altri, più io brillerò, perché avrò condiviso le mie esperienze e sarò un uomo più ricco.”

Per brillare, oltre alla conoscenza degli altri, Farrell ipotizza un tempo in cui si organizzino feste in cui stare in armonia con le persone. È anche per questo che ha scritto King Z.

“King Z, che tradotto dall’ebraico sta per ‘il Re sacerdote’, mi ha ispirato perché era un uomo del Giubileo. Visse ai tempi di Abramo. E Abramo, quando perse il suo gregge, andò da King Z chiedendogli se lo poteva aiutare a ritrovare il suo gregge. Quello che fece King Z fu di organizzare una festa. È questo lo spirito del mio Giubileo. È questo lo spirito di Song Yet To Be Sung.”

Musica per stare con gli altri dunque. È questo ciò che ha cercato di fare con il nuovo album. Ma soprattutto, vista l’avversione a parlare della musica, si capisce quanto Farrell voglia usare i suoi dischi per esprimere qualcosa di più elevato, che vada oltre le canzoni in sé. “Credo che oggi la musica sia il media che meglio permette di condividere informazioni. In questo momento però è un media sfruttato male. Quello che sento in giro è un sacco di merda.”

È per questo che, quando si cerca di ritornare sul tema musicale, sull’approccio deciso all’elettronica, Farrell liquidi la faccenda in modo sintetico: “In origine l’uomo ha raccolto un bastone. Davide ne ha fatto un’arpa. Oggi possiamo disporre di un computer. È naturale quindi che si faccia musica con un computer, sapendo comunque che di fianco a noi ci sarà sempre gente con un bastone o un’arpa ad aiutarci”.

L’elettronica dunque è una chiave di lettura per capire Song Yet To Be Sung, ma Farrell ci tiene a farci capire che l’uso del computer non implica un’estromissione dei musicisti. “Metto a paragone la musica elettronica con gli artisti veri e capisco che i musicisti non sono sostituibili. Ti dirò di più: se dovessi per esempio mettere sulla bilancia da una parte Jimi Hendrix, dall’altra, per bilanciare il tutto, non mi resterebbe altro che mettere ancora Jimi Hendrix.”

È anche per questo che, inconsciamente, per rivitalizzare il suo essere artista rock, ha deciso, qualche tempo fa, di riesumare i Jane’s Addiction. “La riunione dei Jane’s Addiction è stata molto casuale. L’organizzatore del Coachella Festival (un evento che si svolge fuori Los Angeles, nda) mi ha chiesto se avevo voglia di fare un concerto con la mia vecchia band. Gli ho detto che ci avrei pensato. Poi ho iniziato a telefonare a Dave e agli altri e mi hanno detto tutti di sì. E allora ho capito che ero nei guai. Da allora abbiamo avuto parecchie offerte per suonare in giro per gli States.”

Ed è anche per questo che ha in mente di rivalutare un progetto da lui stesso assassinato come il Lollapalooza… “Credo che il Lollapalooza, anziché evolversi come avrebbe dovuto, abbia avuto una ‘devoluzione’. Così ho deciso di mettere il progetto in un cassetto. Ma la buona notizia è che ci sono delle nuove idee e il festival, se dovesse rivivere, sarebbe fresco come una rosa.”

Siamo tutti contenti di questo, Perry.

La conferenza finisce. Tutti se ne vanno. Io resto. Mi avvicino a Perry. Ho capito il messaggio che vuole dare con queste interviste. Parlare di spiritualità, non di musica, è il suo obbiettivo. Ma io, che credo nella priorità delle canzoni, dei suoni, rispetto ai contenuti, ai testi, ai messaggi extramusicali, voglio sapere di più sul disco, su cui ha glissato per tutta l’intervista.

Gli esprimo il mio credo. Mi guarda con quella gentilezza e spiritualità che deve avere realmente scoperto in questi ultimi anni e, finalmente, risponde: “Questo disco è nato dopo anni di ascolti di musica elettronica, dopo anni di frequentazioni a rave in cui si ballava psychedelic trance, dopo esperienze come il Burning Man (un evento che si svolge ogni anno nel deserto, vicino a L.A., nda). Quel genere musicale però era troppo distante dal mio background rock. Era difficilmente conciliabile con una vaga idea di canzone. I suoni che ho usato però hanno molto a che fare con la new psychedelia. Ma queste sono cose che alla maggior parte della gente non credo interessino… Molto meglio parlare di un’idea, di spiritualità che non di musica… Non credi?”

Lo guardo. Non sono molto d’accordo. Ma capisco il suo punto di vista. Come lui dice di comprendere il mio. Lo saluto convinto, al di là dei diversi punti di vista da cui vedere la musica, di aver incontrato una persona lucente quanto la musica di Song Yet To Be Sung.

 

 

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