Il 1972 è uno degli anni più creativi e di maggior successo per Lucio Battisti. C’è il cambio di casa discografica dalla Ricordi alla Numero Uno e la pubblicazione in aprile di Umanamente uomo: il sogno con la nuova etichetta. Il disco, «trainato» dal singolo I giardini di marzo / Comunque bella, si stabilisce al primo posto della hit parade rimanendoci per 28 settimane delle quali 13 in prima posizione. Un mese prima la Ricordi ha pubblicato Elena no, un brano inedito, quasi un demo che viene utilizzato per il lato A di un singolo che comprendeva Una, canzone estratta da Amore non amore ( l’ultimo lp ufficiale per la Ricordi), mentre il duo Battisti-Mogol scrive per Adriano Pappalardo È ancora giorno arrivando al secondo posto in classifica. Nel maggio seguente la coppia firma per la Formula 3 Storia di un uomo e di una donna e Sognando e risognando, brano quest’ultimo che darà anche il titolo all’album del gruppo. Subito dopo Battisti produce il primo disco di Alberto Radius sotto lo pseudonimo di Lo Abracek e replica con Adriano Pappalardo con il singolo Segui lui. Anche dall’estero arrivarono per l’artista i primi riconoscimenti. Per la rivista americana Billboard è «la personalità italiana dell’anno» con la seguente motivazione: «Cantante, compositore, editore musicale di fama internazionale, ha elevato il gusto del pubblico italiano e rinvigorito il mercato».
Nel novembre ’72 Battisti va a mixare negli studi EMI di Londra Il mio canto libero, uno dei dischi più venduti in assoluto e uno dei suoi lavori musicalmente più ricchi.
Dell’esperienza inglese disse: «È stato il mio primo e positivo contatto con un mondo che mi ha sempre affascinato. È stata una grande soddisfazione poterci andare a lavorare». Il disco è preceduto dall’omonimo singolo. In verità la canzone scelta per i lato A è La luce dell’est, poi si opta per Il mio canto libero su suggerimento di Ennio Melis, direttore della RCA di allora. Il tema portante dell’album è la libertà dell’individuo, un concetto ricorrente in questi otto brani, raccontato insistendo sui risvolti psicologici del rapporto uomo-donna, con riflessioni amare nei confronti di una società ipocrita e perbenista, con richiami ecologisti. I testi sono al pari della musica una componente fondamentale dell’opera battistiana e in questo album la coppia Mogol-Battisti arriva a una simbiosi perfetta, un’unità d’intenti totale. Il bilanciamento tra versi e musica è così naturale da sembrare frutto del lavoro di un’unica persona. Dice Battisti: «I testi di Mogol hanno avuto un’importanza decisiva nel successo delle mie canzoni. Mogol li scrive sempre dopo, quando c’è già la parte musicale. Mi fa suonare il pezzo alla chitarra, lo ascolta un paio di volte e comincia a buttar giù idee. Non mi dice niente. Dopo qualche giorno mi fa ripetere la canzone, dieci, venti, cento volte per quel lavoro certosino che è l’applicazione dei versi sulle note, parola per parola, secondo la metrica. Solo quando non c’è più da spostare una virgola, mi presenta tutte le parole».
L’uso di questa metodologia di lavoro viene confermata tempo dopo da Mogol: «Lucio scriveva solo la musica, veniva da me e la suonava continuamente per ore, finché non avevo composto il testo. Il mio era quasi un atteggiamento medianico: ascoltavo la musica e rovesciavo fiumi di parole sulla carta. A volte, quando avevo terminato, mi chiedevo: ma dove sono andato a finire? Mi sembrava di essere uscito fuori tema perché ogni testo non era collegato a quelli precedenti. Spesso però era lo stesso Lucio che mi diceva che mi sbagliavo, che avevo scritto grandi cose. Mi ricordo I giardini di marzo: ero convinto di aver perso il filo del discorso e poi mi sembrava di essere tornato senza sapere il percorso che avevo compiuto. Ero stordito, ma fu proprio Battisti, in quel caso, a dirmi che avevo scritto dei grandi versi».
Mogol era anche l’ideatore delle copertine. Solo in Una donna per amico e Una giornata uggiosa non c’è il suo zampino. Per Il mio canto libero fu prevista in origine una busta bianca trasparente in modo da far incontrare graficamente gli avambracci e le mani con le dita aperte del fronte copertina e con le ginocchia e i piedi nudi del retro per rendere l’immagine del bosco con le braccia nude protese verso il cielo alla ricerca della libertà. Si decise poi per un fondo bianco.
In queste canzoni Battisti, da grande stratega della melodia, dà il meglio di se stesso. «Suono per ore finché mi accorgo di aver messo insieme una melodia e attorno a questa trama lavoro finché mi accorgo di aver ottenuto il motivo giusto». In effetti, l’artista era un compositore estremamente prolifico e selettivo. L’introduzione di archi diretti da Giampiero Reverberi apre il disco con La luce dell’est, un brano lirico e sognante strutturato in due parti nel cambio di tonalità, brano che diventerà un momento indimenticabile di tutta la sua produzione. Luci ah è un pezzo dal ritmo moderato arricchito da cori, pause e vocalizzi. Gli arrangiamenti sono di Vince Tempera e vi suonano i Flora Fauna e Cemento. Ci fu un litigio tra Battisti e Tempera a causa di una partitura pianistica un po’ troppo «effettata» che non piaceva assolutamente a Lucio. Dopo un giorno e mezzo di prove Tempera non si presentò in studio e così la canzone fu rifatta con un altro pianista. Cosa stranissima, la versione che si può ascoltare nel disco è proprio quella con il pianoforte di Tempera, anche se nei crediti non compare. Come nel precedente disco, anche qui Battisti recupera un pezzo, L’aquila, già interpretato da Bruno Lauzi l’anno prima e rivisitato da Battisti in chiave acustica con un bellissimo controcanto (esiste anche una versione in lingua tedesca cantata da Bern Stantin). Spiega Mogol: «C’è l’immagine della natura abbandonata, di cui nessuno si curava, perché il mondo correva in un’altra direzione». Da quel momento in poi la coppia Mogol-Battisti non affiderà più canzoni ad altri artisti, l’unica eccezione Patti Pravo con un singolo uscito in contemporanea. Questa scelta fu così spiegata da Battisti: «Fra la canzone che incido io e quella che faccio incidere c’è la stessa differenza che esiste tra un bacio dato e uno spedito per posta o per telefono».
Una gemma poco conosciuta è Vento nel vento, brano tra i più riusciti come amalgama tra testo e musica: «Io e te vento nel vento / Io e te nodo nell’anima ». Battisti ne dà un’interpretazione magistrale mentre la musica raggiunge grandi momenti armonici con improvvise aperture di canto e maestosi arrangiamenti d’archi. Piccola curiosità, lo strumentale di questo pezzo fu ripreso alcuni anni dopo da Francesco De Gregori in La leva calcistica della classe ‘68. Confusione è un rock robusto e moderato con la chitarra di Alberto Radius in primo piano scelto come lato B del singolo Il mio canto libero. Qui ci sono due strumenti particolari, le campane sarde di Reginaldo Ettore e la chitarra hawaiana suonata dallo stesso Lucio. Inoltre c’è una particolare pedaliera.Racconta Radius: «Una volta siamo andati a Londra io, Battisti, Mario Lavezzi e Mogol e siamo passati in centro. A un certo punto eravamo davanti a un negozio di strumenti musicali e notammo una strana apparecchiatura che sotto aveva tre pedali. Incuriositi entrammo a provarla; a me sembrò fantastica e Lucio disse: ‘’Sì, bella però…’’. Decisi di comprarla, ma siccome una volta non c’erano carte di credito dissi che sarei ripassato per acquistarla. Il giorno dopo non c’era più e allora chiesi chi l’avesse comprata. Mi risposero che era venuto a prenderla quel mio amico con cui ero stato il giorno prima. Lucio era andato prima di me a prendersela! Poi l’abbiamo usata in Confusione, aveva cinque o sei effetti particolari, tra cui uno splendido wah wah… Era una macchina molto intelligente che lasciava spazio alla creatività e che ha prercorso tutti gli effetti di oggi».
Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi… è un altro capolavoro dell’album. La strofa lunga che introduce un refrain «classico» ricamato da chitarre acustiche ricalca l’iniziale La luce dell’est; anch’essa è strutturata in tre distinti temi musicali. Dice Mogol: «La vera protagonista di questa composizione è l’esitazione di un uomo il quale si trova di fronte alla possibilità di rivivere una nuova storia d’amore, ma sente ancora sulla pelle le scottature di quella precedente». Il brano fu tradotto in inglese da David Bowie col titolo Music Is Lethal e interpretato da Mick Ronson.
Gente per bene e gente per male è un’accusa al perbenismo, dove si narra la storia di un ragazzo isolato dai suoi coetanei che trova conforto nell’incontro con una prostituta. Una canzone «dialogata» tra voce e chitarra con un finale d’organo di Reverberi. Chiude il disco la title-track, ballata d’impronta gospel. Gli accordi di chitarra iniziali e la sezione fiati inframmezzati da una melodia delicata ed emozionante ne fanno un brano straordinario, al livello dei classici di Battisti, che esprime il coraggio di amare superando i limiti imposti dal pensare comune. Mogol: «È una canzone autobiografica, che si ricollega a una storia che ha avuto anche delle conseguenze in alcune importanti scelte di vita personale (l’acquisto di un mulino e di un vecchio cascinale, nda). Mi ero separato e stavo con una giovane donna. Naturalmente ai miei tempi queste cose venivano condannate dei benpensanti; ho voluto esprimere la pressione della società, perché allora al di fuori del matrimonio era tutto illegittimo e illegale». Da qui i famosi versi: «In un mondo che non ci vuole più / Il mio canto libero sei tu / Nasce il sentimento, nasce il mezzo al pianto / E si innalza altissimo e va / E vola sulle accuse della gente / A tutti i suoi retaggi indifferente ». Battisti farà di questo pezzo una versione in francese, Ma chanson de liberté, e l’album verrà pubblicato nel gennaio 1974 in Germania con il titolo Unser freies lied con testi tradotti da Udo Linderberg, importante cantautore tedesco. Cinque anni più tardi Battisti inserirà questa canzone in Images, intitolandola A Song To Feel Alive.
A livello commerciale l’album fu un trionfo. Arrivò al primo posto il 27 gennaio 1973 e ci restò per undici settimane, rimanendo cinque mesi nelle classifiche italiane di vendita superando The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd. Per forma e contenuti è uno dei passaggi obbligati per capire la canzone italiana.
DISCHI DELLA MEDESIMA VENA ARTISTICA
Formula 3 / Formula 3 (Numero Uno, 1971)
Il gruppo «satellite» di Battisti, una delle sue facce più interessanti come autore. Dopo diversi episodi divisi con un certo tipo di rock progressivo, realizzano un bellissimo album di pop «obliquo» studiato con il manuale di Mogol-Battisti. Qui tutti i brani portano la firma del duo a cominciare dall’hit Eppur mi son scordato di te.
Riccardo Cocciante / Il mare dei papaveri (Virgin, 1985)
Il team Cocciante-Mogol raggiunge, dopo tre lavori a braccetto, il top. A volte sembra un flashback nella memoria, un balzo delle immagini sotto la corteccia di canzoni che fanno parte della memoria collettiva. Ancorato ad una forza melodica sbalorditiva, Cocciante coniuga alla perfezione i bisbigli interiori e le trattazioni emozionali di Mogol con melodie trasparenti e di grande intensità. Questione di feeling con Mina, ad esempio, sembra uscita dalla penna del miglior Battisti.
Mario Lavezzi / Mario Lavezzi (CGD, 1991)
L’incontro con Battisti nei primi anni Settanta non fece che precisare i contorni della sua scrittura e maturazione espressiva. Questo lavoro mette in giusto risalto le doti di Lavezzi come autore d’ispirazione battistiana. Un credibilità artistica che si tocca ascoltando brani come In alto mare, Se rinasco, Dolcissima e il bell’omaggio a Lucio con Le tre verità.