Per anni non si è neppure saputo che faccia avesse, da dove venisse e quando fosse nato. Non una traccia di immagine che ne giustificasse la fama e la sua incredibile vita, un’esistenza al limite della leggenda che lascia trasparire solo pochi e incredibili cenni biografici, quasi sempre avvolti da una nuvola di mito. Per costruire finalmente un quadro plausibile della vita e dell’opera di Robert Johnson c’è voluta la maniacale ricerca di personaggi come Alan Lomax, John Hammond e soprattutto Mack McCormick che, da oltre vent’anni, ha pronto, senza avere il coraggio di pubblicarlo, un libro definitivo sul grande bluesman, Biography Of A Phantom. Le notizie arrivano da interviste con centinaia di persone che dicono di averlo in qualche modo incrociato, ma soprattutto da alcuni bluesmen che l’hanno certamente frequentato, in particolare Johnny Shines, che l’ha accompagnato da ragazzo nelle sue peregrinazioni in cerca di un posto dove suonare, da Robert Lockwood Jr., figlio della donna con cui Johnson ebbe una lunga relazione, e da Son House, il suo maestro riconosciuto.
Dal punto di vista strettamente musicale l’intera opera di Robert Johnson è racchiusa in ventinove pezzi, frutto di due sedute avvenute rispettivamente in una camera di albergo di San Antonio nel novembre del ‘36 e in un magazzino di Dallas, Texas, nel giugno del ’37.
Dall’assemblaggio di queste registrazioni sono nati due storici lp, per molto tempo materiale rarissimo, disponibile solo di importazione e solo successivamente reperibile con relativa facilità anche qui da noi. Il primo, The King Of Delta Blues Singers con sedici pezzi, il secondo, The King Of Delta Blues Vol II, provvisto di altrettanti brani (contiene le già pubblicate Kindhearted Woman, Preaching Blues e Rambling On My Mind). Le pubblicazioni, non particolarmente attente all’aspetto cronologico, presentano blues sparsi appartenenti ad entrambe le sedute. Bisognerà attendere il 1990 per avere a disposizione un cofanetto di due cd che presenti in rigoroso ordine temporale tutto il materiale, con l’aggiunta, addirittura, di una dozzina di outtake (tutte quelle che si sono salvate), The Complete Recordings, appunto.
Spiegare come Johnson sia arrivato a registrare i suoi primi pezzi significa scremare molte delle fantasie che si sono aggiunte alla verità nel corso del tempo e dare credito a quanto Peter Guralnick racconta nel suo celebre libro dedicato a Robert Johnson. Sembra infatti che un certo H.C. Speir, che possedeva un negozio di musica a Jackson, fosse in contatto con alcune etichette di «race records» in cerca di nuovi talenti e che, per conto proprio, si fosse preso la briga di effettuare delle audizioni da passare su acetato in caso di buon successo. Grazie a lui personaggi come Charley Patton, Son House, Skip James e altri ancora avevano già avuto la possibilità di incidere dischi, così quando arrivò Robert Johnson, in un imprecisato giorno del 1936, sembra che la baracca di Speir fosse la meta più ambita dei musicisti del Delta.
Al tempo Robert aveva probabilmente venticinque anni (si dice sia nato l’8 maggio 1911), una consolidata esperienza e soprattutto un proprio repertorio di buona fattura. Il provino andò bene e Speir presentò Johnson a Ernie Oertle, talent–scout della ARC che lo portò a San Antonio verso la fine di novembre. Le prime registrazioni si tennero il lunedì 23 all’Hotel Gunter e fruttarono otto side tra cui le celeberrime Sweet Home Chicago, Rambling On My Mind e Come On In My Kitchen, tutte incise in doppia versione per evitare eventuale perdita di materiale. Nei successivi 26 e 27 novembre furono complessivamente messi su nastro altri otto blues (tra cui Cross Road Blues e Preaching Blues), suonati da Robert, come dice la leggenda, con le spalle ai tecnici perché non potessero copiargli lo stile chitarristico. Don Low, il responsabile artistico di quella session, venticinque anni dopo avrebbe ricordato Robert Johnson come una persona timida e un po’ sprovveduta a cui dovette pagare la cauzione per farlo uscire di prigione, dopo che, in un intervallo della registrazione, era stato arrestato per vagabondaggio e soprattutto provvedere alla famosa richiesta telefonica in cui Robert gli comunicò di avere in tasca solo quarantanove cent e una signorina a fianco che ne voleva almeno cinquanta. Dei sedici pezzi incisi in quella session tre non videro la luce fino alla pubblicazione degli album per la Columbia. Il risultato di quella prima registrazione fu straordinario anche se furono usati mezzi tecnici molto modesti: un solo microfono e dei pesanti tendoni per supplire a un’acustica per niente adeguata. In essa figurano già alcuni autentici capolavori, sottolineati da un superbo modo di suonare la chitarra e interpretare i testi, pezzi destinati a diventare dei classici non solo del blues, visto il successo che avrebbero ottenuto nelle versioni rock di gruppi come Cream e Rolling Stones. Il pezzo che ebbe più successo in quegli anni fu probabilmente Terraplane Blues, un disco che vendette qualcosa come 5mila copie del quale i Led Zeppelin avrebbero utilizzato la tanto discussa frase «Spremi pure il mio limone finché il succo non mi colerà dalle gambe», ma anche Kindhearted Woman, che proveniva dal repertorio del pianista Leroy Carr, Sweet Home Chicago, elaborata dal pezzo di Kokomo Arnold Old Original Kokomo Blues e I’ll Dust My Broom destinata a codificare uno dei riff più famosi del blues di Chicago, hanno contribuito a creare un riferimento importante. Quei dischi finirono nei juke-box di tutti i juke joint del Delta e Johnson divenne presto uno dei bluesmen più acclamati della zona. Il buon successo commerciale convinse inoltre Don Low a richiamarlo l’anno successivo per una nuova session, questa volta da effettuarsi a Dallas. Tra il 19 e il 20 giugno del ’37, chiuso in un magazzino della zona centrale della città, con le finestre chiuse per attutire i rumori del traffico e un ventilatore puntato in faccia per reggere alla torrida calura, Robert Johnson sforna altri tredici pezzi, tra i quali troviamo grandi picchi di ispirazione, ma anche le cose meno originali, come Drunken Hearted Man e Malted Milk eseguite smaccatamente nello stile di Lonnie Johnson, bluesman allora al massimo del fulgore. Molti di questi pezzi, come Love In Vain, Me And The Devil Blues, Traveling Riverside Blues, Hellhound On My Trail e Stones In My Passway sono tuttavia destinati alla storia. I temi trattati sono quelli classici del blues: l’abbandono, la superstizione e il sesso, generalmente espresso con un formidabile doppio senso di cui Johnson si dimostra fin da subito maestro.
La storia discografica di Robert Johnson finisce proprio a Dallas: infatti a poco più di anno dall’ultima session, mentre si trova a suonare nei pressi di Greenwood, viene avvelenato da un marito geloso o per lo meno questa è la versione più accreditata della sua morte, avvenuta a soli ventisette anni. Con appena ventinove brani Robert Johnson pone le basi per lo sviluppo del blues di Chicago e per assurgere a mito riconosciuto e saccheggiato dai posteri
DISCHI DELLA MEDESIMA VENA ARTISTICA
Robert Lockwood Jr. / Hate To See You Go 1950–1960 (Chess, 1970)
Impara il blues direttamente da Robert Johnson e diventa col passare del tempo uno dei bluesmen più completi sia per la tecnica chitarristica, che per l’impostazione vocale. Ha suonato con i più grandi artisti della scena di Chicago.
Johnny Shines / Standing At The Crossroads (Testament, 1970)
Ha accompagnato da ragazzino Robert Johnson durante i suoi vagabondaggi, apprendendo molto della sua tecnica. Ottimo chitarrista sia acustico che elettrico si è poi spostato dal Sud verso Chicago creando una propria band dall’impatto duro e profondo.
Honeyboy Edwards / Walking Blues (Flyright, 1979)
Pur avendo suonato parecchio a Chicago, il suo stile rimane fortemente legato agli stilemi del blues del Delta dove è vissuto fino ai primi anni Cinquanta. Buona parte delle sue registrazioni risalgono al primo periodo della carriera.