IL RITORNO DEL PUMA
di Ezio Guaitamacchi
Sono passati più di quindici anni da quando il ‘piccolo bastardo’ dell’Indiana ha deciso di eliminare il soprannome da felino (“cougar”, puma) che tanta fortuna gli aveva portato ad inizio carriera. Eppure, la sua musica ruggente continua a graffiare oggi più che mai: specie nel nuovo, fantastico album Cuttin’ Heads che sembra avere tutte le caratteristiche necessarie per garantire a questo cinquantenne rocker di razza il tanto atteso ritorno.
L’anno della svolta
Il 2001 per John Mellencamp ha già riservato moltissime sorprese. E quasi tutte positive. Dalla registrazione del nuovo album all’ambito riconoscimento (il Century Award) che la rivista Billboard gli ha voluto tributare rendendo pubblica la scelta a inizio luglio. Ideato nel 1992 (in occasione del centesimo anniversario della rivista), il premio è riservato a quegli artisti il cui lavoro, ritenuto di altissimo valore creativo e artistico, non ha ottenuto i riscontri che avrebbe meritato. Sinora hanno ricevuto il Billboard Century Award, George Harrison (1992), Buddy Guy (1993), Billy Joel (1994), Joni Mitchell (1995), Carlos Santana (1996), Chet Atkins (1997), James Taylor (1998), Emmylou Harris (1999), Randy Newman (2000). Il Century Award verrà consegnato a Las Vegas il prossimo dicembre nel corso di una serata di gala, ripresa dalle telecamere della Fox, e organizzata per la consegna dei Billboard Music Awards 2001.
“John Mellencamp”, ha dichiarato il direttore di Billboard Timothy White, “è il più importante roots rocker della sua generazione. La sua musica descrive con onestà e in modo semplice i problemi della vita di tutti i giorni.”
“Anche se”, aggiunge White nella motivazione al premio, “spesso ci si dimentica di quanta attenzione Mellencamp abbia prestato nel corso della sua carriera alla fusione tra la cultura bianca e quella nera. Nei testi delle canzoni di John tutte le divisioni sociali, razziali o spirituali vengono considerate innaturali e perverse. Mentre, al contrario, ogni tentativo di abbracciare chiunque esprima scelte, culture o religioni diverse viene visto come un momento di grande civiltà. Non vedo, oggi come oggi, nessun artista che più di John Mellencamp meriti questo premio.”
“Siamo sicuri che sono abbastanza vecchio per un’onorificenza del genere?”, ha commentato Mellencamp. “Scherzi a parte, sono molto felice. E orgoglioso. Quando ho iniziato la mia carriera, più di 25 anni fa, mai avrei pensato di poter ottenere riconoscimenti di questo tipo.”
Alle soglie del mezzo secolo di vita, John è un uomo diverso: sposatosi per la terza volta nel 1992 con la bellissima modella Elaine Irwin (che aveva conosciuto sul set fotografico per la copertina dell’album Whenever We Wanted e da cui ha avuto due figli) John sembra essere artista più tranquillo e maturo. Sette anni fa ha avuto un leggero infarto a seguito del quale ha dovuto modificare le sue abitudini. Tre anni fa ha infine deciso di cambiare casa discografica, lasciando la Mercury con cui aveva condiviso 10 album di platino, 21 singoli da classifica tra cui Jackie And Diane, Hurts So Good e R.O.C.K. In Usa; oggi fa parte del roster della storica Columbia Records (gruppo Sony Music) per la quale ha pubblicato John Mellencamp (1998, vedi Jam 48).
Sarà l’età, saranno le coronarie, fatto sta che sul palco Mellencamp si muove poco (anche se con eleganza) e non fuma più. Ma, secondo qualche ben informato, il vecchio vizio non è stato estirpato del tutto, nonostante la recente scomparsa del suo assistente personale Tracy Cowles (cugino di John e come lui fumatore accanito) colpito anche lui da un infarto.
“È successo sette mesi fa. Per noi è stata una tragedia. Tracy era l’unica persona che vivesse insieme a me e Elaine tutti i giorni. Condivideva le nostre suite quando eravamo in tour, si prendeva cura dei nostri bambini, rispondeva alle telefonate. Lui era uno di famiglia. Questo tour è il primo dal 1981 senza Tracy.”
“Il vizio del fumo è una maledizione”, ha dichiarato di recente Mellencamp a billboard.com, “anche se dopo l’infarto del 1994 ho la garanzia che il Dr. Carter Henrich, il mio cardiologo, si può occupare di me in qualsiasi momento.”
Le passioni di John
Chissà se il cuore di Mellencamp sarà in grado di reggere le accelerazioni e le velocità delle auto da corsa, un’altra delle grandi passioni del rocker dell’Indiana.
Quella della formula Indy è infatti la nuova realtà di casa Mellencamp. Elaine è da quest’anno la testimonial/portavoce del campionato automobilistico e il nuovo singolo Peaceful World dai primi giorni di luglio è usato come jingle nello spot radio-televisivo che promuove le gare della stagione 2001. La campagna pubblicitaria multimiliardaria è martellante e il video (nel quale compare velocemente anche un’immagine di John) passa decine di volte al giorno. Lo slogan “Take a ride with us” cita un verso del ritornello di Peaceful World. Il titolo della stessa canzone così come il nome di Mellencamp compaiono anche su una delle auto del campionato, quella guidata da Jeff Ward. Infine, un prototipo della vettura di Ward è presente a tutti i concerti del Cuttin’ Heads Tour, in esposizione per il pubblico nella zona antistante il palco.
Non si sa chi abbia dipinto l’auto: certamente non John anche se la sua passione per le arti visive è pari a quella per la musica. Tanto che, a tutti gli effetti, Mellencamp va ad allungare la nutrita lista di quegli artisti rock, pop e jazz che, a chitarre e pianoforte hanno affiancato pennello e tavolozza: Charlie Mingus, Miles Davis, Ron Wood, Bob Dylan, Joni Mitchell, Jerry Garcia, Grace Slick, Carlos Santana sono solo i primi che vengono in mente. Mellencamp, rispetto a loro, ha fatto anche di più: oltre a finanziare nella natia Seymour un vero e proprio Centro per le arti (vedi box), nel 1998 ha pubblicato un bellissimo libro (Mellencamp: Paintings And Reflections, Harper Collins, acquistabile a $17.50 presso www.amazon.com) in cui vi sono 75 riproduzioni a colori e 25 in bianco e nero dei suoi quadri. La tecnica è quella della pittura a olio e lo stile (a detta dei critici) ricorda quello degli impressionisti francesi; i soggetti sono per la maggior parte amici, parenti e paesaggi.
“So che ci sono almeno un centinaio di pittori che avrebbero meritato assai più di me che fosse pubblicato un libro sui loro lavori”, ha ammesso con onestà Mellencamp, “però, grazie al fatto di essere una celebrità, a me è stata data questa possibilità che ho voluto sfruttare per far capire a tutti quanto possa essere importante la pittura come mezzo di auto-esplorazione e come incentivo per farci incuriosire del mondo.”
Tutti i proventi del libro sono destinati al sostegno di cause umanitarie. E non è certo la prima volta che John si espone in prima persona per promuovere istanze sociali: insieme a Willie Nelson e Neil Young nel 1985 ha fondato il Farm Aid (www.farmaid.com) per aiutare gli agricoltori del Midwest strozzati dai tassi d’interesse delle banche americane e da un sistema governativo iniquo. Sulla sua chitarra acustica ancora oggi campeggia la scritta FUCK FASCISM. La cosa gli ha procurato diversi problemi. Un paio di anni fa, ad esempio, invitato alla Casa Bianca ad un party (ripreso dalle televisioni) indetto dal Presidente Clinton, mentre John sta suonando This Land Is Your Land e Pink Houses con un coro di 50 ragazzini si rende conto di avere quella scritta sulla chitarra.
“Davanti a me c’erano i Clinton e i Gore”, ha ricordato John a un cronista del Hoosier Times di Bloomington, “e ho visto che Hillary ha sussurrato qualcosa all’orecchio del marito che ha annuito.”
Finito lo spettacolo, Clinton si è andato a complimentare con John presentandolo come “Mellencamp, uno che non accetta nessun compromesso”.
“Ma a quel punto”, racconta John, “uno dei segretari del Presidente gli ha comunicato che i telefoni della Casa Bianca stavano impazzendo con le proteste della gente che aveva notato la scritta sulla chitarra. ‘Non rompermi le scatole con queste sciocchezze”, ha detto Clinton, “digli che hanno letto male e che questo ragazzo è ok.’ Da quel momento siamo diventati amici.”
“Clinton”, continua Mellencamp, “è una persona davvero affascinante. Ha un enorme potere di seduzione. L’ho incontrato pochi giorni fa mentre eravamo in Florida per una tappa del Cuttin’ Heads Tour. È stato due ore ad ascoltare il nostro soundcheck. Ma mi ha fatto ingelosire: non ha mai tolto lo sguardo da mia moglie.”
Non è solo Bill Clinton uno degli amici celebri di Mellencamp. Stephen King è forse il primo della lista. Con lui, John sta mettendo a punto un musical che dovrebbe esordire a Broadway all’inizio della stagione teatrale 2003.
“Steve è un amico, una persona brillante e spiritosissima”, ha detto di recente Mellencamp. “È da più di un anno che abbiamo questo racconto. Stephen sta scrivendo i dialoghi, io ho già pronte cinque canzoni, me ne servono una dozzina in tutto. Non si tratta di pezzi rock ma la cosa è davvero interessante. A febbraio ci troviamo per finire il lavoro. Sarà un grande racconto americano.”
Cuttin’ Heads, il nuovo album
“È stato faticosissimo”, dice Mellencamp, “ho dovuto sottostare a moltissime regole che la mia casa discografica ha dettato e preteso. Non appena un pezzo aveva un suono simile a quello dell’album precedente bisognava interrompersi e buttar via tutto. Se un brano aveva un suono rock troppo moderno, non andava bene; se era classic rock non andava bene lo stesso. Ad un certo punto ho deciso di non ascoltare più nessuno e ho agito di testa mia.”
E il risultato, ve lo possiamo garantire, è davvero eccellente.
John Mellencamp, infatti, firma un lavoro finalmente all’altezza della sua fama e che, oltre al bellissimo singolo Peaceful World (vedi box), presenta nove canzoni di grande livello. A voler essere severi, soltanto Same Way I Do (una ballata semi-acustica) è leggermente sotto la media. Per il resto, l’album è fortissimo: il suono è immediato, diretto, freschissimo quasi si trattasse di una registrazione live. Inoltre, raggiunge l’eccellenza sia dal punto di vista melodico che da quello ritmico con una varietà stilistica che rispecchia fedelmente quella dei suoi recenti concerti (vedi box). Così si passa dal trascinante rock sociale, sporcato di blues e rap della title-track, (che vede un impegnato e convincente stacco rap di Chuck D dei Public Enemy) al classico roots rock di Woman Seem che potrebbe competere con Jackie And Diane per bellezza melodica e freschezza lirica. Oppure dalla formidabile Peaceful World, con lo scintillante duetto soul con India.Arie, alla countrieggiante, bellissima Crazy Island.
Allo stesso modo, a momenti intimisti e riflessivi (Deep Blue Heart, affascinante duetto con la country star Trisha Yearwood) viene contrapposto un solido rock blues stile Stones (Worn Out Nervous Condition) nella migliore tradizione del vecchio Cougar, brani sincopati ricchi di ritmi e percussioni (Shy, Just Like You) e rock ballad semiacustiche incantevoli come In Our Lives.
Insomma, in questo Cuttin’ Heads c’è la sintesi del meglio di Mellencamp: la sua semplicità melodica, il suo innato senso del ritmo, le sue influenze black, gli inevitabili riferimenti agli Stones, la sua profonda cultura della tradizione americana, i suoi testi con costanti riferimenti al sociale.
“Negli ultimi tempi ho ascoltato solo Robert Johnson, Woody Guthrie e soprattutto Hank Williams. La semplicità e l’onestà di questi grandi maestri sono ancora per me punti di riferimento imprescindibili.”
Cuttin’ Heads sembra perseguire un obiettivo preciso: la denuncia del razzismo. “Per questo ho voluto al mio fianco Chuck D, uno dei rapper più consapevoli e acuti d’America e la giovane India.Arie, forse il talento più puro del nu soul. Loro hanno una coscienza e un atteggiamento molto più etico rispetto alla maggior parte dei loro colleghi di colore che, nonostante le dichiarazioni, si sono venduti all’industria bianca nel peggiore dei modi.”
“Il brano Cuttin’ Heads parla proprio di questo e dell’uso stupido e controproducente che gli afroamericani fanno della parola ‘negro’. Prima di iniziare questo album ho chiesto alla mia corista Pat Paterson, con me da diversi anni, quale fosse la cosa che le dava maggiormente fastidio nel mondo del music business e lei mi ha confessato che era proprio quello, l’utilizzo del termine ‘negro’ da parte dei fratelli rapper. Sembra quasi che lo vogliano ostentare come fanno con gli orologi d’oro, le catene e gli anelli. Quasi a dire ai fratelli del ghetto: hai visto, ce l’ho fatta e posso permettermi ciò che voglio. Per me questo è un atteggiamento codardo e privo di dignità: da Zio Tom del terzo millennio.”
“Lavoro da sempre con artisti neri”, incalza John, “e ho un sacco di amici di colore: persino mia figlia di 16 anni è fidanzata con un nero. Nel tour di Cuttin’ Heads la mia band è formata per il 50% da musicisti neri. Insomma, è ridicolo. Non posso credere che oggi in America un nero su otto finisca in carcere. L’esempio deve partire anche dai leader afro-americani.”
Il ritornello di Cuttin’ Heads è assolutamente esplicito: “Don’t call me nigga ‘cause you know I don’t like it like that” (Non chiamarmi negro perché sai che non mi piace). “In questo caso devo ringraziare i dirigenti della Columbia”, sottolinea Mellencamp, “perché pubblicando questo brano si sono presi una bella gatta da pelare. Il pezzo ha già fatto di-scutere prima ancora di essere pubblicato.”
Discussioni e polemiche a parte, Cuttin’ Heads è di certo uno degli album più interessanti del 2001 e riporta d’attualità il rock americano che molti avevano dato per morto. “Per me il rock è come il folk”, dice Mellencamp, “non fa più parte del mainstream. E non so neanche quanto spazio ci possa essere sull’attuale mercato musicale per artisti come me.”
Ma per John è pur sempre il mezzo di espressione ideale. Specie in questo momento in cui l’artista mostra ottimismo e una grande voglia di fare.
“Ci sono sempre tanti argomenti di cui scrivere, tanti soggetti da dipingere, tante melodie da arrangiare. Negli anni 80 e 90 credevo che tutte le migliori canzoni fos-sero state già scritte. Oggi forse ho cam-biato idea. Riesco a scrivere anche tre, quattro canzoni al giorno: non dico siano tutte belle.
Dico soltanto che sono in un momento di particolare creati-vità e che oggi gli artisti sono sollecitati da tanti stimoli in più.”
Un ragazzo di cinquant’anni
Tra pochi giorni, il 7 ottobre, Mellencamp compirà 50 anni. Non si terrà il tradizionale Mellen-fest nella città natale di Seymour, Indiana (vedi box); nella vicina Bloomington, nella quale da anni John risiede, si organizzerà tuttavia una festa analoga, il Mellenbash: chi non può partecipare ha comunque la possibilità di saperne di più cliccando su www.mellen-bash.com, il sito degli organizzatori del party che sono pure i webmaster di www.mellencamp.com, il web site ufficiale del rocker dell’Indiana.
“Ancora non ci credo: a volte, guardo e riguardo la mia carta di identità. Poi chiamo Mike (Wanchic, il chitarrista al suo fianco da 25 anni, nda), lo porto davanti allo specchio e gli dico: cazzo, siamo vecchi. Scherzi a parte, sto vivendo un periodo davvero felice. I miei due figli più piccoli (6 e 7 anni) crescono bene. Io e Elaine siamo una coppia invidiatissima e mi piace il fatto che in questi anni riesco a scrivere con grande facilità. Questo non so se dipende o meno dall’età. La nostra cultura, che spesso considera finita una persona che ha più di 40 anni, a volte è crudele ma pure un po’ miope: avete sentito il nuovo album di Dylan? Il ragazzo ha sessant’anni e continua a scrivere grandi canzoni!”
John è effettivamente sulla cresta dell’onda. Prosegue la sua attività di attore (anche se c’era stato chi, dopo il fallimento del film Fallin’ From Grace aveva suggerito a Mellencamp di prendere le distanze dal mondo di Hollywood). Pochi mesi fa è stato presentato al Sundance e a Cannes il film-giallo After Image (regia di Robert Manganelli con la partecipazione di Louise Fletcher) nel quale John recita una parte importante.
Inoltre, nonostante la nota idiosincrasia per gli album dal vivo, Mellencamp ha dichiarato di essere al lavoro su un progetto discografico (un cofanetto?) che si dovrebbe intitolare Nothing Like We Planned e che pare potrebbe contenere alcuni inediti così come versioni dal vivo di alcuni suoi brani famosi.
Senza contare il suo incessante impegno in diverse cause umanitarie e i relativi riconoscimenti otte-nuti, il più recente dei quali è stato il Nordoff-Robbins Silver Clef, per l’importante lavoro svolto come musico-terapeuta a favore dei bambini autistici.
“Continuo a osservare la realtà che mi circonda”, spiega Mellencamp, “e da essa ne traggo ispirazione continua. Senza ambizioni smisurate: cerco di misurarmi con obiettivi vicini, raggiungibili. Tendo ad ottenere quelle piccole vittorie quotidiane che creano stimoli continui. Perché è importante non perdere interesse nella vita come succede ai protagonisti di Jack And Diane. Se no, si è davvero nei guai.”
“Certo, mi chiedo spesso se la nuova canzone che ho scritto piacerà, se il quadro che ho dipinto è bello, se il nuovo spettacolo accontenterà il mio pubblico. Ma non sento pressioni particolari: il fatto di avere delle urgenze è parte del mio carattere. È sempre stato così e non ha nulla a che fare con l’età.”
Nonostante tutto, John Mellencamp considera il rock il veicolo artistico primario della sua creatività, il mezzo migliore per comunicare il suo pensiero sulla società americana.
“Mi sono sempre considerato un folksinger. E i folksinger, per definizione, hanno sempre evidenziato i mali della società. E questo mi sembra, oggi più che mai, un impegno pressoché obbligatorio per tutti gli artisti che abbiano una coscienza civile.”