Correva l’estate del 1987. Un amico, il banjoista Bob Carlin, mi accompagnò alla 26esima edizione del Philadelphia Folk Festival, la più antica e prestigiosa rassegna di musica acustica d’America (dopo Newport). “Stasera alle 10, sul main stage” mi disse “suona una ragazza bravissima prodotta da John Jennings, un chitarrista che conosco da tanti anni. Vedrai, ti piacerà: credimi, sarà la prossima star della nuova country music”. E così, quella sera vidi (e filmai.) la performance di quella giovane cowgirl di Princeton, New Jersey, figlia di una professoressa di liceo e di un capo redattore di Life. Il suo nome era Mary Carpenter ma tutti i suoi amici la chiamavano Chapin, come il padre ma anche come il suo “middle name” che lei vezzosamente aveva deciso di unire al più convenzionale Mary.
Mary Chapin Carpenter non è diventata (come aveva pronosticato Bob Carlin) la “next country music star”. Ma, e su questo il mio amico ci aveva visto giusto, in poco tempo si è affermata come una delle più talentuose cantautrici acustiche della East Coast tanto che molte sue canzoni sono state interpretate da grandi regine del genere, come Joan Baez o Emmylou Harris. A vent’anni di distanza dagli esordi discografici (Hometown Girl, il suo primo disco, è ancora oggi una delizia senza tempo) e a una quindicina da quel Come On, Come On che le è valso vendite multimilionarie, Mary Chapin torna con un album bellissimo, intenso, raffinato e passionale con il quale racconta il suo mondo di donna matura, intelligente e consapevole. Alle soglie dei 50 anni, la Carpenter pennella in modo poetico ed esteticamente impeccabile 13 quadri sonori davvero pieni di fascino. E di messaggi importanti. Dopo aver affrontato a modo suo le crisi dell’America post 11 settembre nel recente Between Here And Gone (suo ultimo album datato 2004) Mary Chapin con The Calling va oltre. E se con On With The Song (deliziosa ballata country-rock) la Carpenter solidarizza con le Dixie Chicks e ne sottolinea la coraggiosa presa di posizione contro le politiche presidenziali anche a rischio della messa al bando da parte dell’establishment, con Why Shouldn’t We (uno dei pezzi melodicamente più incantevoli del disco) insiste sull’importanza delle voci fuori dal coro che, un giorno, “porteranno ad avere persone più oneste, capaci e coscienziose nei posti di potere”. Al tempo stesso (come nella dolcissima e intima ballad Twilight), Mary Chapin si rivolge all’ascoltatore (e soprattutto alle sue ancor più numerose ascoltatrici) come se stesse conversando sul terrazzo della sua casa di campagna sulle Blue Ridge Mountains della Virginia. La sua capacità di alternare pubblico e privato, di cambiare atmosfere anche soniche senza mai far scendere il tasso artistico e il livello di significatività sono davvero ragguardevoli. È sufficiente ascoltare la title track The Calling, che apre l’album in maniera esemplare e ne determina subito il tono, o l’intensa Houston, con il pathos del Woody Guthrie di Deportee, che racconta il dramma della fuga da New Orleans nel post Katrina per capire di cosa stiamo parlando. “Mama’s got her baby / Sleeping in a grocery cart” è il semplice, ma drammatico (ed efficace) attacco del brano che dimostra come, qui, siamo al cospetto di una grandissima, che non sfigura di fronte ai grandi classici della canzone d’autore nordamericana. O di quelli che, come Springsteen, Mellencamp e Cooder, ma anche come Ani DiFranco o Ben Harper, hanno capito che la musica può ridare dignità al sogno americano, a prescindere dalle malefatte di Bush. Il quale, come sostiene l’amico Giorgio Thoeni della RSI (Radio della Svizzera Italiana), una cosa buona l’ha fatta: quella di consorziare e stimolare gli artisti e far sì che il rock sia tornato a essere un veicolo importante di comunicazione tra la gente. Anche in questo senso, The Calling è un album importante, oltre che una pura delizia per le orecchie del cultore e dell’appassionato.
The Calling
We’re All Right
Twilight
It Must Have Happened
On And On It Goes
Your Life Story
Houston
Leaving Song
On With The Song
Closet And Closer Apart
Here I Am
Why Shouldn’t We
Bright Morning Star
Prodotto da Mary Chapin Carpenter e Matt Rollings
