“Con le canzoni di questo album voglio riappropriarmi del raï al 100%.” Così dice Khaled di Ya-Rayi, il nuovo lavoro che per la prima volta presenta un gran numero di canzoni che non porta la sua firma. Il senso di questa operazione è quello di ritornare alla musica che ancora si poteva ascoltare nella seconda metà del secolo scorso nelle piazze e nei caffè della medina Jdida, o nel quartiere arabo di Orano, prima che il termine raï diventasse di dominio pubblico. Sono i ricordi adolescenziali di Khaled, le musiche con le quali è cresciuto e ha potuto parlare di argomenti altrimenti tabù come l’amore, il sesso e la libertà. È la musica che ha accompagnato la liberazione della sua terra, l’Algeria, nel 1962.
Khaled per l’occasione invita due ospiti davvero speciali: Blaoui Houari che è considerato il precursore del raï, il cantante che ha cullato le speranze e i sogni del popolo algerino fin dagli anni Quaranta, e Maurice El Medioni, pianista di origine ebraïca che ha dato l’avvio a una sorta di stile cabarettistico che spopolò a Orano negli anni 50, un mix esplosivo tra boogie woogie, ritmi sincopati latini e naturalmente inflessioni arabe. Con i due maestri Khaled registra Mani Hani e H’Mama, due pezzi straordinari che ci riportano a sonorità classiche magrebbine. Certo, il piano di El Medioni contribuisce a divagare e a rendere più internazionale il repertorio, ma la contestualizzazione è precisa e Khaled, dal canto suo, è fondamentale, con la sua ormai inconfondibile vocalità, per la puntualizzazione di ogni passaggio. Molto belli tutti gli altri pezzi, in particolare quelli in cui intervengono l’Orchestre Chaâbi d’Alger e l’Orchestre du Caire, ensemble di straordinario impatto, capaci di creare con un’esplosione di violoncelli, derbouka, ney e banjo atmosfere di rara intensità.
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Voto: 8
Perché: Khaled che ci conduce per mano negli anni in cui il raï non era ancora raï e le inflessioni arabe assumono divagazioni di preziosa intensità.