11/05/2007

L’eredità di Johnny & June

Mai come negli ultimi tempi, abbiamo parlato di Johnny Cash. E sempre per validi motivi: il film, lo splendido cofanetto The Legend (a proposito, sapevate che ha vinto un Grammy nella categoria Boxset & Special Edition?), la ristampa dei mitici “concerti nelle carceri” (Folsom e San Quintino). C’è sempre stato e sempre ci sarà un motivo più che valido per parlare dell’Uomo in Nero: basta ascoltare una qualsiasi delle sue registrazioni, da quelle con la Sun Record a Memphis negli anni 50 agli epici cavalli di battaglia dei primi anni 60, dai duetti con Bob Dylan o con la seconda moglie June Carter alle imperdibili American Recordings ideate da Rick Rubin negli anni 90, per capire quanto sia indispensabile la sua musica per tutti noi appassionati. Ma anche per ricordarci di quanto triste sia stata la dipartita sua e dell’amata moglie June Carter, avvenuta solo pochi mesi prima di quel fatidico 12 settembre 2003. Eppure, prima di aver ascoltato Black Cadillac (di Rosanne Cash, vedi pagina 83), non avevo riflettuto sulla cosa più ovvia: il dolore della famiglia e dei figli in occasione di una serie di lutti così ravvicinati. Con il figlio di Johnny e June, John Carter Cash, ho avuto di recente una piacevole conversazione telefonica nonostante, nel Tennessee, fosse mattina presto e lui già stressato, alle prese con le doglie della moglie incinta e con il bestiame del suo ranch che aveva scavalcato le recinzioni. Da sempre al fianco del padre, sia come accompagnatore musicale che come producer, John mi ha raccontato alcuni retroscena di Walk The Line, il lungometraggio biografico su Johnny & June.

“È stato papà a volere il film sulla sua vita: ha persino scelto lui l’attore che doveva interpretare il suo ruolo dopo averlo visto recitare ne Il gladiatore pur ignorando che Joaquin Phoenix fosse un suo grandissimo ammiratore. Ero presente quando Joaquin ha incontrato papà e l’ho visto davvero emozionato e piuttosto in soggezione. Anche la mamma aveva chiesto che fosse Reese Whiterspoon a impersonarla. Entrambi gli attori sono stati bravissimi: guidati magistralmente da T-Bone Burnett, hanno preso lezioni di musica e canto per quasi sei mesi. Reese, addirittura, ha voluto imparare a suonare l’autoharp come mamma. Sono orgoglioso della colonna sonora: Joaquin canta I Walk The Line in cinque tonalità proprio come faceva papà ma soprattutto T-Bone è stato grandioso. Il suo gusto, la sua straordinaria pertinenza stilistica e il suo rigore storico hanno conferito al film un profumo e un valore del tutto particolari. Io credo proprio che Johnny e June sarebbero stati felici”. Un po’ meno felice lo è stata certamente Rosanne Cash. Sua madre naturale, Vivian Liberto Cash Distin (morta meno di un anno fa) viene dipinta in modo poco lusinghiero dalla pellicola di James Mangold. Che, come se non bastasse, rende di dominio pubblico anche la difficile fanciullezza della piccola Rosanne. “Non ho nulla contro il film, è ben fatto e onora la memoria di mio padre. Ma ci sono cinque persone che non possono vederlo senza soffrire: io, mia madre e le mie tre sorelle”.

John e Rosanne, pur in modi diversi, portano avanti con orgoglio la pesante, ma al tempo stesso eccezionale, eredità di Johnny & June. John Carter Cash ha prodotto The Unbroken Circle, bellissimo tributo alla Carter Family (Maybelle Carter, mamma di June, era sua nonna) così come il fantastico box set The Legend, togliendo tempo alla carriera solista (ha pubblicato un solo album ma ci pare che il ruolo di producer gli sia più confacente). “Sapevi che Johnny Cash era stato in Italia?” mi domanda John sapendo di darmi notizia curiosa. “È stato nel 1979 e io avevo meno di 10 anni. Siamo stati in vacanza a Roma: ho ricordi bellissimi di mamma e papà durante quel viaggio. Insieme abbiamo visitato la Cappella Sistina e i Musei Vaticani, girato per la capitale e ci siamo divertiti moltissimo”. Non a Roma ma a Parigi si è invece rifugiata, un paio di mesi fa, Rosanne per sfuggire ai media che la tempestavano per avere sue dichiarazioni sul film. “Non ce la facevo più. Ho preferito andar via. Black Cadillac racconta il mio dolore, la mia confusione, il percorso emotivo che ha portato all’elaborazione del lutto. Oggi sono più serena e consapevole. Il ricordo dei miei genitori, la loro importanza artistica e famigliare, la loro eredità, mi sono più chiare. Ho capito che un rapporto fondato sull’amore non finisce nel momento in cui l’altra persona lascia questa Terra”. Il suo nuovo album inizia, d’altronde, in modo inequivocabile. Al fruscio dei vecchi vinili si sovrappone l’inconfondibile voce di Johnny Cash che esorta la figlia: “C’mon Rosanne .”. E altrettanto da brividi è l’attacco del brano musicale, la title-track, che lancia il più bel disco della sua carriera. Come dire, buon sangue non mente.

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