10/05/2007

The House Of Sugar

È persino più bella di come la ricordavo.

La residenza di Zucchero, a Pontremoli, nella tenuta appartenuta al marchese Dosi, è veramente una figata.

Non c’è solo il fascinoso, vecchio mulino ad acqua del Settecento (restaurato con gusto raffinato e perfettamente funzionante) che funge da dimora principale. Da una parte, infatti, c’è una casetta che, originariamente, avrebbe dovuto essere una serra ma che oggi ospita un tour bus americano (oh yes!) con tutti gli optional. Dall’altra, una piccola casa della musica, con palchetto attrezzato per jam session. In fondo, una personalissima house of blues che Zucchero usa come studio per scrivere, comporre, registrare. Il tutto arricchito da memorabilia rock, ammennicoli recuperati nei mercatini americani, arredamento colorato e divertente, strumenti musicali, attrezzature varie. Il suo nuovo album, Fly, è nato qui, nella quiete di quella che lui (con neologismo che unisce due suoi grandi amori) ha ribattezzato Lunisiana Soul.

Ad accoglierci all’ingresso c’è l’amica Marina Testori, da sempre a fianco di Zucchero in qualità di ufficio stampa. Marina, che qui è di casa, è un’ospite squisita. Con lei, è facile sentirsi a proprio agio specie pensando che poter conversare con un artista nel suo rifugio privato (che in questo caso è anche il suo laboratorio creativo) dà tutto un altro senso al nostro lavoro. Zucchero lo sa e, come sempre, si dimostra gentile e disponibile, pronto a condividere pensieri e passioni.

“L’uscita di un album è sempre un’emozione” mi dice mentre ci accomodiamo “e, anche se sono passati più di vent’anni dagli esordi e ho pubblicato tredici dischi, per me è come veder nascere un figlio. Ok, so che può suonare retorico, ma è la verità. Ogni mio album è frutto di almeno un anno di duro e intenso lavoro. Non ho mai creduto all’ispirazione fine a se stessa: sono una persona metodica e un lavoratore indefesso. Sto sopra a un progetto sino a che non si concretizza come ho in mente”.

E, stavolta, cosa aveva in mente Zucchero?

“Di fare un disco diverso dagli altri” specifica. “Non mi piace ripetermi, odio ritornare sui miei passi. Quando ho ascoltato una ballad dei Coldplay in cui si utilizzava l’organo Hammond mi sono detto: finalmente! Questo suono, magnifico e inimitabile, è sempre stato nel mio cuore. Mi sono venute in mente It’s Five O’Clock degli Aphrodite’s Child, A Whiter Shade Of Pale dei Procol Harum, canzoni bellissime impreziosite da uno strumento seducente. Ho cominciato ad accarezzare l’idea che quel suono potesse essere il punto di partenza del mio nuovo lavoro. Pensa che, pur di riprodurlo nel modo più fedele possibile, mi sono preso la briga di andare a scovare Matthew Fisher, l’organista dei Procol Harum, che mi ha mostrato i timbri che selezionava, il livello dei cursori e persino come usava il Leslie! Sono tornato entusiasta”.

L’entusiasmo è la grande forza di Zucchero, il vero motore che spinge le sue avventure artistiche. “Sono orgoglioso di questo disco: suona proprio come volevo. Per questo, devo ringraziare Don Was, il produttore di Fly”.

Già, Don Was, un’autentica leggenda. Sotto le sue mani sapienti, Bonnie Raitt ha vinto quattro Grammy, Willie Nelson pubblicato album leggendari, Bob Dylan, Jackson Browne, Glenn Frey e i Rolling Stones realizzato dischi memorabili.

“Mi ha sempre affascinato quel suo suono ruvido, poco patinato. È stato qui da me al Lunisiana Soul per una settimana. Abbiamo selezionato le canzoni e mi ha capito subito. Perciò ha voluto mantenere lo spirito dal quale scaturivano i pezzi, lasciando, paradossalmente, anche cose leggermente sporche come alcune tastiere o altri strumenti suonati da me, pur avendo a disposizione i musicisti migliori sulla piazza”. Tra questi, Waddy Wachtel, chitarrista icona della West Coast, o Mister Batteria in persona: Jim Keltner. “Sono da sempre uno sfrenato ammiratore di Keltner. Adoro il suo drumming sincopato che ho voluto abbinare a quello poderoso e asciutto, quasi da drum machine umana, di Questlove, batterista di The Roots. La combinazione dei due, classico e moderno, è una delle chiavi di Fly. Per farmi un regalo, Keltner ha rispolverato il set di piatti usato nel tour di Joe Cocker con Mad Dogs & Englishmen”.

Fly contiene meno brani up-tempo e più ballad (perché, mi ha confessato Zucchero, “m’identificano di più, specie all’estero”). Tra queste, Quanti anni ho (dedicata al figlioletto Blu) è la melodia più bella del disco. “È nato tutto da quel pezzo. Provando il suono dell’Hammond, a un certo punto è venuta fuori la linea melodica di Quanti anni ho. È la canzone alla quale sono più affezionato e quella di cui vado più orgoglioso”.

Zucchero ride quando gli menziono una sua (presunta) dichiarazione trovata sul web: “Bevo, fumo, non faccio le prove, eppure invecchiando la mia voce diventa sempre più interessante”.

“Ma davvero ho detto questo? Forse, scherzando, durante una delle tante cene che faccio qui con i vecchi amici. Don Was mi ha convinto a usare una delle prime tre take vocali perché, lo ammetto, dopo tre volte, a furia di ripetere, perdo il feeling”.

In compenso, Zucchero non ha mai perso il suo feeling per New Orleans. Neanche dopo il disastro di Katrina. “Immagini da incubo. Ho la città del Delta nel cuore, trovo abbia tanti rimandi con la mia terra. per questo, io che di solito non amo i tributi, ho voluto scrivere Let It Shine: è la mia dichiarazione d’amore New Orleans”.

Con Fly, Zucchero è davvero pronto per spiccare un nuovo volo (il tour europeo partirà a metà febbraio). “Mi piace volare, in senso artistico. Ma a certe altitudini. Ecco perché, tra il serio e il faceto, ogni tanto mi chiedo: come possiamo volare con le aquile se siamo contornati da tacchini?”.

Questa me la segno. Ma chi sono i tacchini?

“Ognuno di noi ha i propri tacchini. Io, i miei, li conosco bene e. li evito. Lasciamo perdere. Piuttosto, pensiamo a volare: il più in alto possibile”.

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