10/05/2007

Lana Clarkson – L’ultimo ciak

Si chiamava Lana Clarkson. Era una mia amica.

L’avevo conosciuta nella primavera del 1992 quando Lana era venuta in Europa a cercare fortuna. Bella, alta, bionda, atletica, questa ragazzona californiana era stata nel 1985 la protagonista di Barbarian Queen (per la regia di Roger Corman) prima di apparire in Scarface al fianco di Al Pacino e recitare in molti altri film e in numerose serie televisive di successo. La dura legge di Hollywood, però, non l’aveva risparmiata. “Ci sarà sempre qualcuna più giovane, più sexy e più ambiziosa di te” è il monito che, ancora oggi, echeggia nelle orecchie di star e starlette da quelle parti. Lei, che sognava di essere la nuova Lana Turner, per un momento pensò che il Vecchio Continente l’avrebbe apprezzata maggiormente.

L’Italia era stata la sua prima scelta.

“Mi piace tutto del vostro Paese” mi diceva. E non era difficile crederle: corteggiata da dozzine di pretendenti, Miss Clarkson si godeva le sue dolci “vacanze romane” a Milano. Per una decina di giorni, Lana si era trasferita nel mio appartamento: doveva fare un paio di provini per la Rai e girare un’intervista per Nonsolomoda. Fantasticava di un suo futuro professionale da noi, anche se io non perdevo occasione di ricordarle le differenze culturali tra Italia e Stati Uniti. “Qui non siamo a Hollywood” le ripetevo. Ma lei non sembrava darmi retta; nemmeno quando la (lungamente attesa) audizione in Rai non aveva ottenuto gli esiti sperati. Quella sera, Lana era scoppiata a piangere. “Com’è possibile?” singhiozzava. “Io, che ho recitato con le più grandi star hollywoodiane, vengo trattata come l’ultima delle comparse.”.

L’avevo portata al concerto di Crosby, Stills & Nash per tirarle su il morale e per farle provare un po’ di nostalgia per la natia California. Per qualche ora aveva funzionato. Poi l’ho persa di vista.

Una sera, un paio d’anni dopo, il mio telefono squilla. È Lana, mi chiama da Los Angeles, è tornata a casa. Sta girando alcuni spot pubblicitari (Mercedes, K-Mart, ecc), le hanno offerto qualche particina in film di una certa importanza, si vocifera che possa avere il ruolo di protagonista in un action movie. Insomma, è rientrata nel giro e mi sembra contenta. Da allora, non ho avuto più notizie di lei.

Sino all’inverno del 2003.

Alle 2 del mattino del 3 febbraio, Lana Clarkson è di fronte alla porta d’ingresso della House Of Blues sul Sunset Strip: lavora lì da qualche tempo, come hostess della vip room. Oltre che per un dignitoso stipendio, Lana ha accettato quel lavoro nella speranza (credo mai sopita) di fare l’incontro giusto. Che, quella sera, sembra prendere le sembianze di Phil Spector, il più leggendario producer della storia del rock, ma anche uno dei soggetti più stravaganti e violenti che popolano la Città degli Angeli.

Spector, che negli ultimi tempi ha ripreso a bere, offre a Lana un passaggio a casa. Le vuole far provare la sua nuova limousine e, qualora le andasse, anche mostrarle la sua chiacchieratissima villa. Lana è eccitata: Phil Spector, l’inventore del wall of sound, lo scopritore dei girl groups, il talentuoso producer di Ike & Tina Turner, l’uomo dietro la consolle di Let It Be, All Things Must Pass, Imagine e del Concert For Bangla Desh, stasera è lì che scherza con lei. E chi se ne frega se la sua ultima produzione importante è stata quella con i Ramones, quasi 25 anni fa (degli Starsailor manco lui ne vuole parlare): stanotte Lana, che ha appena partecipato alla serata dei Grammy, non intende perdersi la grande occasione. Adriano Desouza, lo chauffeur di Spector, accompagna i due sino all’ingresso del castello e, con fare molto professionale, resta lì, in attesa, sino a nuove istruzioni. Passano due ore. Spector esce di casa in stato confusionale. Si avvicina al suo autista e gli dice: “Chiama la polizia, credo di aver ucciso qualcuno”.

Quando i detective del Lapd giungono a Alhambra, trovano su una sedia il corpo riverso di Lana Clarkson. Le hanno sparato in bocca, è morta all’istante. Spector viene arrestato, ma il giorno dopo il suo avvocato Robert Shapiro (l’uomo che è riuscito a far scagionare OJ Simpson), a fronte di un assegno da un milione di dollari, ottiene la libertà su cauzione. Da allora, puntualmente, ogni tre/quattro mesi Shapiro riesce a rinviare l’udienza in tribunale. Pare che lui e il collegio di difesa siano pure riusciti ad architettare le prove di un “presunto suicidio”. E persino a sostenere che Lana (che beveva solo latte e menta) quella notte fosse piena di sostanze stupefacenti e che “volesse baciare la pistola”. Il prossimo 3 febbraio saranno passati quattro anni dalla morte di Lana Clarkson. Il suo, come dicono lì, è un “open case”. Anzi, forse il più famoso “caso” d’America.

I suoi famigliari, i suoi amici e tutti coloro che le hanno voluto bene non sono in cerca di vendetta. Vogliono soltanto giustizia.

 

 

 

 

 

 

 

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