10/05/2007

La sinfonia della giungla

No one loved gorillas more: nessuno ha amato i gorilla più di lei. È il titolo dell’ultimo libro (autrice, Camilla de la Bedoyere) dedicato alla straordinaria vicenda di Dian Fossey, la celebre etologa californiana che per prima ha studiato i gorilla di montagna. E che, il giorno stesso in cui è stata assassinata, ha annotato sul suo diario questa frase: “Quando ti rendi conto del valore della vita, smetti di pensare al passato e ti concentri per la sua futura preservazione”.

Anche il 26 dicembre 1985 Dian pensava alla salvaguardia di una vita: quella dei suoi gorilla, minacciati dai bracconieri, osteggiati dai piccoli agricoltori, trascurati da governi insensibili, dimenticati dal mondo della scienza. Solo lei, tenace e cocciuta scienziata/ricercatrice lottava per la loro sopravvivenza. Vent’anni prima aveva convinto il Dottor Louis Leakey che avrebbe potuto essere per i gorilla quello che Jane Goodall era stata per gli scimpanzè. Leakey aveva a sua volta convinto il National Geographic a finanziare un reportage della giovane scienziata californiana nel massiccio del Virunga, il Parco Nazionale dei Vulcani diviso tra Congo, Uganda e Ruanda. Proprio sul versante ruandese, tra i monti Karisimbi e Bisoke, la Fossey aveva impiantato il suo piccolo centro di ricerche che, in omaggio a quei due vulcani, aveva battezzato Karisoke. E, superando scetticismo, resistenze e persino le superstizioni dei locali, era riuscita ad avvicinare i gorilla di montagna, farsi accettare, diventare quasi “una di loro”.

Lottando contro tutto e tutti, la Fossey ha difeso strenuamente una razza in estinzione, mettendo la preservazione della medesima davanti alla sua stessa vita. Che le viene tolta il giorno di Santo Stefano del 1985, quando qualcuno armato di un panga (il machete usato dai bracconieri) la massacra nella sua capanna del Karisoke Research Centre. Molte teorie sull’omicidio, ma nessun colpevole. Almeno, ufficialmente. Qualche mese prima, Dian (che qualche detrattore nel frattempo si era divertito a dipingere come una tipa arrogante, un po’ nevrotica, con il culto della personalità) aveva firmato un contratto milionario con la Warner Brothers per un film che raccontava la sua vita. La storia si basava sul suo romanzo Gorillas In The Mist (Gorilla nella nebbia), il cui film omonimo fu, per l’appunto, realizzato poco dopo con una splendida Sigourney Weaver nel ruolo della Fossey.

Lo scorso 30 dicembre, ero lì anch’io, sul Virunga (versante ruandese), a seguire le orme di Dian Fossey. Grazie al suo sacrificio, oggi i gorilla di montagna stanno crescendo di numero. Alcuni gruppi possono anche essere, con cautela, avvicinati dall’uomo. Occorrono un po’ di soldi e molta pazienza per ottenere i permessi necessari; in più, un pizzico di coraggio, un po’ di forza fisica e parecchia determinazione. Il quartier generale del Parco dei Vulcani si trova a circa 2000 metri d’altezza e il tracking può raggiungere facilmente (e a volte superare) quota 3000. Specie se, come me, avete in animo l’osservazione del gruppo di gorilla più numeroso (ma anche più difficile da raggiungere): quello dei Susa.

Dopo un’ora e un quarto di camminata giungiamo all’ingresso della foresta. Qui inizia la parte più impegnativa, tra fango, umidità, aria rarefatta e alte, fastidiosissime ortiche. Dopo un’altra ora di impervio cammino la nostra guida ci annuncia che abbiamo toccato quota 3250 metri, che i gorilla sono a circa mezz’ora di tracking ma che continuano a salire. Quando arriviamo nei loro pressi, dopo aver superato una suggestiva foresta di bambù alti più di 4 metri e con il tronco spesso almeno 15 centimetri, la stanchezza svanisce di colpo.

“Li sentirete, ancora prima di vederli” ci aveva avvisato il ranger. Era già successo un paio di giorni prima, nella foresta pluviale di Kibale, Uganda. Lì, eravamo in cerca degli scimpanzè. Il loro verso, un urlo acuto che cresce di tono e volume, sino a diventare ossessivo, si mescola agli altri incredibili suoni della giungla. Anche la Fossey, la prima volta che aveva avvistato i gorilla, ne aveva raccontato il suono. Per l’ennesima volta, stupidamente, non ho portato con me un registratore. Me lo aveva insegnato l’amico Paul Winter, musicista geniale che (per primo) ha registrato i canti delle balene, l’ululato dei lupi, il barrito degli elefanti per creare, grazie alla sua sensibilità superiore, opere affascinanti. Lo aveva seguito Bernie Krause, uno che nei primi anni 60 prese il posto di Pete Seeger nei Weavers prima di iniziare una sperimentazione elettronica alla fine dello stesso decennio insieme a Paul Beaver. Dagli anni 80 in poi, il Dr. Krause è in giro per il mondo a registrare i suoni della natura. Nel 1989, ha immortalato proprio i gorilla e (con la tecnica del wall of sound di Phil Spector) ha messo insieme l’album Gorillas In The Mix.

Non so se a Dian Fossey sarebbe piaciuto: lei e i sui gorilla, dal 1986, riposano in pace proprio dove sorgeva il Karisoke Rersearch Centre. Là dove c’è sempre nebbia ma dove l’orchestra della giungla non smette mai di suonare.

 

 

 

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