10/05/2007

SERGIO BARDOTTI: UN ADDIO IMPROVVISO

Se n’è andato Sergio, così, all’improvviso con mille cose ancora da fare, mille progetti in cantiere sparsi dappertutto nel suo appartamento-studio sommerso da dischi, libri e dvd. Se n’è andato un amico, un uomo generoso, un poeta anticonformista, bohemien d’altri tempi che odiava le cravatte e le cerimonie e che parlava benissimo cinque lingue.
Pavese, classe 1939, iniziò la sua storia da letterato nei primi anni 60 producendo dischi di poesia con Pasolini, Ungaretti, Quasimodo. Approdò quindi a Roma come autore per la Rca di Via Tiburtina collaborando con Ennio Morricone, Luis Bacalov, Luigi Tenco. Diventò in breve tempo parte della triade dei parolieri italiani insieme a Mogol e Calabrese, quelli che andavano oltre la rima “cuor amor”. Accompagnava al pianoforte Sergio Endrigo e quando nel 1968 ci fu il successo sanremese di Canzone per te tutti capirono che quel pacioso e amabile ragazzo avrebbe avuto un futuro aperto a ogni fortuna.
L’esperienza acquisita negli studi della Rca fu determinante per l’affermazione di Sergio. Sapeva calarsi a meraviglia tra colonne sonore, musical e canzoni senza porsi troppi problemi. Traduttore di Brel, Aznavour, Serrat, ha introdotto in Italia i grandi protagonisti della musica brasiliana di quel tempo, come Vinicius De Moraes, Chico Buarque de Hollanda, Toquinho, Sergio Mendes. Il suo casale a Tor Lupara di Mentana era un rifugio sicuro per tanti artisti che facevano fatica ad emergere dalle secche dell’anonimato: Lucio Dalla, Gianni Morandi, Ron, Dino.
Sergio è stato geniale anche come produttore, realizzando capolavori indiscussi e variegati come La vita, amico, è l’arte dell’incontro insieme a Vinicius De Moraes, Toquinho, Endrigo; Concerto Grosso dei New Trolls, considerato uno dei pilastri del rock progressivo italiano; Non al denaro, non all’amore né al cielo per Fabrizio De André; Ornella e…, dove la Vanoni rivisitava classici della canzone italiana accompagnata da musicisti del calibro di Gil Evans, Herbie Hancock, Steve Gadd, i fratelli Brecker, George Benson.
Mi raccontava aneddoti e segreti del mestiere, e io lì ad ascoltarlo rapito: “Sai che nemmeno Morricone, nonostante fosse l’arrangiatore del pezzo, sapeva chi eseguiva l’assolo in Sapore di mare? Era uno dei massimi sax del secolo, Gato Barbieri”. Oppure: “Quando incidemmo Quella carezza della sera con i New Trolls copiammo alla grande If You Leave Me Now dei Chicago e nessuno se ne accorse, come d’altronde la ritmica di Occhi di ragazza è identica a Everybody’s Talkin’”. Sapeva vivere la vita sempre con emozione e stupore, anche per le piccole cose. Si commuoveva come un bambino quando gli regalavano i sigari cubani che adorava, quando gli portavano finalmente quell’introvabile cd stampato solo in Giappone, quando, dopo una memorabile serata, mi ringraziò per avergli fatto conoscere finalmente Pasquale Panella, di cui nutriva una stima immensa, oppure quando ascoltava I migliori anni della nostra vita del suo amicone Renato Zero.
Il binomio musica-intrattenimento è stato uno dei temi ricorrenti della sua evoluzione artistica. Ha firmato numerosi programmi televisivi, tra i quali Fantastico e Domenica In, e cinque Festival di Sanremo. Ha organizzato eventi importati come il concerto per il Papa a Bologna nel 1997 e il Pavarotti International nel 2001. Nel suo palmares, due vittorie al Festival di Sanremo e un Premio Tenco.
Aveva una sensibilità rara. Ricordo quando andammo a trovare prima Sergio Endrigo in ospedale e poi Umberto Bindi a casa sua, tutti e due malati da tempo, e al ritorno disquisivamo su come la musica aiuta ad affrontare la vita, quella stessa vita che obbliga talvolta al sacrificio e che dovrebbe autorizzare alla felicità.
Che dire ancora? Non voglio cadere nella retorica o nella demagogia del post mortem. Voglio ricordarlo come una stacanovista nel suo lavoro che amava sopra ogni cosa senza mai risparmiarsi, voglio ricordare il suo amore per la vita dal quale emergeva la profonda comprensione che le cose non sono mai garantite e che ci vuole vita per amare la vita, anche quella che con dignità va incontro agli affronti del tempo. Sergio mi ha insegnato che è più difficile afferrare quello che accade a un passo dalle proprie scarpe che l’enormità. Sergio mi ha insegnato che può bastare una bella canzone per accendere una stella e far brillare le cose, perché le canzoni, come le cose della vita, passano, inseguono una fiamma che non è mai la stessa e fanno perdere i sogni più giovani. Ma citando ciò che scrisse insieme a Vinicius nell’album La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria, quando la morte ti chiamerà con un telegramma, senza preavviso, passa per la morte senza paura.
È qualcosa di nuovo a cui abituarmi.
Ciao Sergione.

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!