Nel libretto del primo album dei fratelli Finn c’è una fotografia bellissima, tenera e gioiosa. È stata scattata probabilmente all’inizio degli anni 70. Tim, il maggiore, suona una chitarra Yamaha a 12 corde ed è vestito di tutto punto, non fosse per capelli e barba lunghi da fricchettone. Al suo fianco c’è Neil. Ha sei anni meno di Tim e anche lui indossa giacca e cravatta. È un ragazzino coi capelli a caschetto che si è appena lasciato alle spalle l’infanzia e s’aggrappa a un’enorme chitarra per cercare di assomigliare al fratello. Al suo eroe.
Trent’anni dopo, Neil e Tim Finn possono pensare al passato con evidente soddisfazione e probabilmente anche col senso di vertigine che prova chi fa il conto della strada percorsa. Da quando nel 1977 Neil entrò nel gruppo del fratello, gli Split Enz, i due hanno costituito una coppia affiatata di performer e songwriter (vedi box nella pagina a fianco). Dopo lo scioglimento del gruppo, le loro strade si sono divise: Neil ha fondato i Crowded House ottenendo un clamoroso successo di pubblico, Tim ha inciso come solista restando un artista di culto. I due neozelandesi hanno ricominciato a scrivere assieme nel 1989 nell’ottica di pubblicare un album come duo, che si trasformò invece nel disco migliore dei Crowded House, Woodface (1991). Nel 1995 uscì Finn Brothers, una raccolta di canzoni deliziosamente melodiche incise in modo spartano e con il suono selvatico del produttore Tchad Blake. In tutti questi anni, i fratelli Finn sono stati tra i pochi a tramandare con talento la tradizione della coppia Lennon-McCartney, di cui replicano da anni l’inimitabile gusto melodico.
Anche il futuro dei Finn sembra roseo. Il loro ultimo album in coppia, Everyone Is Here, utilizza il suono pulito e scintillante dei Crowded House – grazie al produttore Mitchell Froom che a tredici anni da Woodface si è riunito coi Finn – per raccontare il mondo di due splendidi cinquantenni che non hanno mai scordato quel che provavano da ragazzi, quando si sedevano uno a fianco all’altro imbracciando le chitarre, uno coi capelli da hippie, l’altro con un taglio alla Beatles. Ecco perché gran parte delle canzoni di Everyone Is Here prendono spunto dalla relazione tra i due, riuscendo così a trasmettere un senso di intimità e di comunanza pacificante.
“Volevamo definire la nostra relazione musicale”, ha dichiarato Neil Finn nel corso di un’intervista distribuita alla stampa alla vigilia della pubblicazione di Everyone Is Here (tutte le dichiarazioni che seguono sono tratte da essa). “E suppongo che, inevitabilmente, cercassimo di definire anche la nostra relazione come fratelli. Quando lavoriamo assieme la posta è più alta perché c’è in ballo un legame famigliare e perciò tutto diventa più intenso.” Secondo Tim, “quando due fratelli lavorano assieme è sempre presente un elemento di tensione, che nel nostro caso dà luogo a buona musica. Siamo affascinati l’uno dall’altro, ma allo stesso tempo siamo molto competitivi”. Per arrivare a questo stadio, i due hanno dovuto lavorare duramente, superando momenti in cui sembrava che non ci fosse un terreno comune su cui collaborare. Alla fine, l’hanno trovato nella loro stessa relazione e nel desiderio di scrivere canzoni particolarmente dirette.
Il titolo dell’album deriva da un verso del singolo I Won’t Give In: “Tutti quelli che amo sono qui”. In queste poche parole è racchiuso il senso del disco. Arrivati a 50 anni d’età (Tim ne ha 52, Neil 46), i fratelli Finn sentono il bisogno di dichiarare l’appartenenza alla propria famiglia, cornice emotiva delle loro esistenze. Neil: “Il brano parla di prendere un impegno davanti ai tuoi amici e ai tuoi famigliari, una cosa che non ci succede spesso perché noi neozelandesi siamo piuttosto riservati. Nostro padre ha 82 anni, io ho un figlio di 21 anni, la minore di Tim ha 15 mesi: in questa fase dell’esistenza la famiglia ha un ruolo centrale”. Non a caso, uno dei brani migliori dell’album, Luckiest Man Alive, è stato scritto da Tim il giorno in cui è nata sua figlia.
Il senso di supporto emotivo sotteso alla dichiarazione di I Won’t Give In emerge in Nothing Wrong With You, un brano costruito assemblando due diverse canzoni: alla strofa cupa e sinistra scritta da Neil è giustapposto il ritornello gioioso e positivo di Tim. “È iniziato pensando a una processione di persone, come dei rifugiati che camminano lungo la strada”, ha detto Neil. Tim ha aggiunto il ritornello vigoroso, nato da uno spiacevole episodio: “Mia moglie è nata in Australia da genitori delle Filippine. Un giorno si trovava in un parco e una donna le ha urlato: ah, le donne asiatiche stanno prendendo il controllo del mondo! Mi impressionò la dignità con cui affrontò quell’incidente: aveva un sorriso triste, ma non era arrabbiata”.
La canzone che meglio esprime il legame tra i due fratelli è probabilmente Disembodied Voices, una ballata dai toni notturni in cui i due, cantando all’unisono, rievocano i giorni in cui, quarant’anni fa, se ne stavano sdraiati in camera a parlare al buio, alla fine della giornata. In quelle occasioni, potevano affrontare come per magia anche i discorsi più difficili. È stato Tim a descrivere la sensazione tramite l’espressione “disembodied voices”, voci senza corpo, perché chi parla è celato dal buio della notte. “Abbiamo continuato a parlare così, al buio, per anni”, spiega Neil. “All’inizio parlavamo di aeroplani e guerra, cowboy e indiani, di tutti i nostri giochi di bambini. Poi ricordo quando Tim tornò a casa dall’università e io avrò avuto 14 anni. Lui mi parlava di quel che accadeva ad Auckland, storie affascinanti e romantiche di marce di protesta, mentre io gli dicevo di Monty Maxwell che a scuola mi picchiava ad ogni pausa pranzo. E ridevamo l’uno dell’altro.”
La perla dell’album – che al momento di chiudere l’articolo è al secondo posto della classifica australiana, all’ottavo di quella inglese e al primo di quella neozelandese – è probabilmente Edible Flowers. Era sul disco dal vivo di Neil Finn Seven Worlds Collide. La nuova versione è arricchita dagli archi arrangiati da Geoff Maddock. Un po’ come Nothing Wrong With You, anche questa canzone vive della contrapposizione tra strofa e ritornello. Tim: “Sei perso in una qualche strada, c’è traffico, piove e la tua immagine si riflette su una vetrina. è una sorta di momento perso, ma poi arriva il ritornello molto positivo di Neil, un momento agrodolce. I veri fan conoscevano già la canzone, ma abbiamo voluto renderle giustizia”.
L’avvolgente sensazione di calore famigliare evocato dalle canzoni di Everyone Is Here non tragga in inganno: anche i Finn, come ogni altra coppia di fratelli – e come qualsiasi coppia di essere umani: marito e moglie, padre e figlio, amico e amico – sono separati da un velo d’incomunicabilità. Per descriverlo, in A Life Between Us Tim utilizza l’immagine di un fiume. Neil: “L’idea è che le due sponde di un fiume simbolizzino ciò che significa essere fratelli, e cioè che per quanto tentiate di avvicinarvi ci sarà sempre dello spazio che vi separerà”. Chiosa Tim: “Non riuscirai mai ad essere completamente vicino a qualcuno, se non per pochi momenti fugaci”.
La foto di copertina di Everyone Is Here è stata scattata sul fiume Waikato che scorre lungo la strada principale che collega casa Finn a Te Awamutu con Auckland. I due Finn l’hanno percorsa centinaia di volte: da piccoli per andare a scuola, da giovani per andare a suonare in città, da adulti per dare l’ultimo addio alla madre, scomparsa quattro anni fa. La storia comune, eppure straordinaria di questi due fratelli scorre sulle rive di quel fiume.