Ci sono film che hanno la capacità, la grandezza, la visione grandangolare per raccontare molto più di una sia pur efficace pagina di cinema. Tra coloro che ce lo hanno insegnato, Robert Altman, regista nato a Kansas City, il quale ancora oggi che ha superato le ottanta primavere dimostra lucidità straordinaria, capacità immaginifica e insieme documentaria tale da elevarlo a testimone privilegiato dei nostri tempi. Il suo ultimo film sugli schermi s’intitola A Prairie Home Companion, tradotto in Italia per comodità e agevolezza Radio America. Giusto per fugare dubbi e riserve fin da queste prime righe, si tratta di un capolavoro, ancor più consigliabile per chi apprezzi o è sufficientemente interessato al mondo della musica country e magari anche a quello spicchio della comunicazione che riguarda la radio. Un film che con ammirevole concisione, con un piglio narrativo sempre brioso e avvincente, grazie a un cast stellare e a una qualità di recitazione da lasciare senza fiato, ci porta direttamente in una realtà a noi completamente sconosciuta, ma di grande rilevanza oltreoceano. Un film, Radio America, che diventa fondamentale, effettivamente “obbligatorio”, per chi ha amato Nashville, l’altro affresco che Altman dedicò ai vizi e alle devianze del girone country. Diversi in questa ottica le similitudini e i parallelismi tra i due film: opere volutamente collettive, in cui ad esempio non spicca un protagonista. In Nashville, uscito nel 1975, tutto ruota intorno a ventiquattro personaggi, che si susseguono sulla scena durante i cinque giorni di svolgimento di un festival, con la vicenda che si intreccia a un comizio per le elezioni presidenziali: si trattò di un lavoro paradigmatico, che metteva a nudo le nevrosi, l’ideologia reazionaria, le piccole miserie di un microcosmo dove facilmente rintracciare i vizi profondi di una società denunciata senza indulgenze.
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Radio America ricalca quello schema, pur con significativi distinguo: innanzitutto la storia è tutta ambientata in un teatro che funge da studio radiofonico, e se la matrice musicale rimane la stessa non c’è più la grottesca copia del Partenone di Atene a fare da sfondo al palco eretto come vetrina-passerella di Nashville (che ricevette cinque nomination agli Oscar, vincendo solo per la migliore canzone, la celeberrima I’m Easy di Keith Carradine). Simile, invece, la quota di canzoni.
Qui si conduce lo spettatore per mano, a visitare, entrando come testimone ravvicinato in un popolare show radiofonico realmente esistente, A Prairie Home Companion, trasmesso in tutto il Paese e settimanalmente seguito da oltre quattro milioni di americani, cui vanno aggiunti gli aficionados che in qualche modo ascoltano via cavo o via satellite in altre parti del mondo. A dirigere il programma, oltre che ad averlo inventato trentuno anni fa, è Garrison Keillor cui, per celebrare degnamente la sua creatura, è stato affidato il compito di scrivere la sceneggiatura e il ruolo di attore-conduttore dello show (eccellente performance, la sua). Per circa cento minuti siamo come calati tra le quinte del Fitzgerald Theater di St. Paul, nel Minnesota, dove, nella fiction cinematografica, va in onda in diretta l’ultima trasmissione, prima che l’edificio venga abbattuto per lasciare il posto a un garage. L’intreccio sotto questo profilo è semplice, perché come i fili di un gomitolo si incontrano e si inseguono gli attori-cantanti del programma.
Humour e asprezze, tenerezza e strappi, come si conviene tra colleghi, sono i sentimenti che emergono dal film, per un percorso che non rinuncia ad alcune intuizioni geniali, come la presenza misteriosa di una “donna pericolosa”, Virginia Madsen, di bianco vestita, che aleggia come suggestivo fantasma nel retropalco.
Amore e morte, invidie e generosità, professionisti della canzone e arte di arrangiarsi: Robert Altman è sagace, a sorreggerne la vena, all’altezza dei suoi giorni migliori, scopriamo l’abilità trasversale degli attori, tutti impegnati nel doppio lavoro, visto che Meryl Streep e Lily Tomlin, le Johnson Sisters, Woody Harrelson e John C. Reilly, il duo degli sboccati, impertinenti cowboy Dusty & Lefty, sono anche chiamati a cantare. Un’ulteriore sfida vinta.
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Sorprende come la compenetrazione tra lo stile di Altman e le figure di fantasia, portate sullo schermo quasi fossero i reali prim’attori di A Prairie Home Companion, sia pressoché perfetta.
“Mia moglie” ha spiegato il regista “non si perde mai una puntata, la sua è un’adesione quasi fideistica, una devozione religiosa. Così anch’io mi sono avvicinato allo show, che nel tempo si è consolidato, per diventare un vero fenomeno mediatico. Mi piace e nel tempo sono diventato un fervente ammiratore di Keillor. Il nostro incontro è avvenuto per ragioni poco più che casuali: abbiamo lo stesso avvocato, che mi ha riferito di un suo progetto e del suo interesse a parlarmene. L’ho fatto volentieri: era la traccia del film che adesso potete vedere tutti. D’altronde la radio ha già in sé un fortissimo elemento di fascinazione: quando ero bambino, negli anni 30 ascoltavo la radio, sdraiato a terra. Da ragazzo il mio idolo era Norman Corwin, colui che ha inventato i drammi radiofonici: è la prima cosa che ho fatto come autore, scrivere per il teatro e drammi radiofonici. Naturale che la radio occupi un posto importante nel mio cuore: lo show di Keillor è una miscela di radio e teatro, una combinazione perfetta ai miei occhi”.
Ai nostri occhi, invece, pur nel suo disegno inappuntabile, in quella architettura esemplare, sfuggirà qualche dettaglio, che al pubblico americano, vuoi per la lingua, nell’edizione originale, vuoi per i continui riferimenti a un programma tanto noto, apparirà un elemento famigliare. In attesa di ritrovare l’uscita in dvd, accontentiamoci allora delle canzoni, che ovviamente rimangono nella versione originale, con i sottotitoli. Se ne contano oltre una quarantina, citate nei titoli di coda: alcune di queste appartengono al panorama tradizionale country & western (Gold Watch And Chain, Red River Valley, Frankie And Johnnie, In The Sweet Bye And Bye), di altre facciamo conoscenza nella circostanza. Sul sito dedicato al film, www.aprairiehomecompanionmovie.com, è possibile ascoltare ampi stralci delle selezioni musicali.
Verrà voglia di tornare a vederlo, Radio America, e magari di rintracciare all’indietro la parabola di Nashville: il collegamento è fisiologico, anche per Altman, che chiosa: “Mentre giravo questo film ho pensato spesso a Nashville. Come in passato, abbiamo avuto molte esibizioni dal vivo, ecco il motivo per cui quel mio vecchio film era sempre con me. Ho avuto spesso a che fare con la musica dal vivo nei miei film (si ricordi anche il maiuscolo affresco jazz di Kansas City, nda), ma devo dire che questa volta le cose sono state incredibilmente semplici per quanto riguarda le esecuzioni musicali. Per me le canzoni erano una forma di dialogo e Rich Dworsky, supervisore alle musiche, ha fatto un lavoro magnifico per integrare la musica con i dialoghi e le battute”.
Radio America è il film del momento: da vedere, da ascoltare, da amare. E da godersi fino all’ultima battuta.