Milano, nella centralissima sede della Sugar in Galleria del Corso, è la classica giornata invernale, nebbiosa e caotica. Loro arrivano in ritardo, e ancor prima di uscire dall’ascensore fanno un gran baccano: gli Avion Travel non sono certo dei ragazzini, ma di sicuro conservano tutto l’entusiasmo e la vivacità dell’essere artista, un po’ per scelta e un po’ per vocazione. Salutano educatamente e poi corrono a spalancare le finestre: dopo pranzo bisogna fumare almeno una sigaretta, non ci sono santi che tengano.
I tre che mi trovo davanti sono in pratica quello che rimane della vecchia formazione: Peppe Servillo (voce), Fausto Mesolella (chitarre) e Mimmo Ciaramella (batteria), a cui va aggiunto l’assente Vittorio Remino (basso). Nell’arco di un paio d’anni la “piccola orchestra” è diventata quindi un quartetto, non per una decisione presa insieme, mi confida Servillo, ma per una condizione maturatasi da sola nel tempo: “Alcuni di noi hanno dato vita ad altre esperienze, che tra l’altro vanno molto bene” dice, riferendosi al progetto Musica Nuda di Ferruccio Spinetti (con Petra Magoni) e all’Orchestra di Piazza Vittorio di Mario Tronco. “Questa occasione, accidentalmente, ci ha messi nelle condizioni di beneficiarne, in qualche modo. Ci siamo trovati di fronte a una sfida, che è diventata doppia nel momento in cui ha preso forma anche questo progetto con Paolo Conte”. Nel frattempo le finestre si chiudono, ci mettiamo comodi e finalmente iniziamo la nostra intervista.
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L’incontro tra il gruppo casertano e il maestro astigiano non è recente. “Ci conosciamo già da diversi anni” comincia a raccontare Servillo “grazie soprattutto a Lilli Greco, che è stato il produttore artistico dei nostri primi album e ha lavorato come produttore per Conte negli anni 70-80, all’epoca gloriosa della RCA italiana con Ennio Melis. Negli anni, lavorando con Lilli, ci sono state diverse occasioni d’incontro con Conte – ai nostri concerti, ai suoi – e di confronto sulle cose che si facevano. Lui si è sempre rivelato una persona molto attenta e disponibile a pesare artisticamente il senso del nostro lavoro. Poi, poco più di due anni fa” continua “c’è stata l’occasione di un nostro concerto ad Asti, a cui l’abbiamo invitato, e da quel momento gli incontri si sono infittiti. Non avremmo mai creduto che alla fine Paolo scrivesse addirittura una canzone apposta per noi (Il giudizio di Paride, unico inedito dell’album, nda)”.
Il disco ha avuto una lavorazione piuttosto lunga: un anno e mezzo circa per scegliere i brani (che all’inizio erano una trentina) e far combaciare gli impegni di tutti, in un continuo rincorrersi tra Milano, Asti, Siena e infine Caserta, dove Fausto Mesolella, che ha arrangiato tutti i brani insieme a Daniele Di Gregorio, ha approntato gli ultimi ritocchi. Un album molto meditato, insomma, nonostante suoni sorprendentemente spontaneo.
Delle dieci cover finite nel disco, ben otto provengono da due lavori di Conte: Aguaplano (1987) e Una faccia in prestito (1995). Quando lo faccio presente, però, dai commenti capisco che la cosa non è affatto premeditata. “Non è stata una cosa voluta” dice Peppe. “Io neanche lo sapevo!” si sorprende Mimmo. “Abbiamo preferito quei pezzi che risultavano scarni in origine, solo pianoforte e voce, perché per noi era molto più stimolante riarrangiare quelli”. Dopo aver fatto sparire completamente il pianoforte (c’è solo una piccola campionatura in Danson Metropoli, che è presa dalla canzone originale), lo strumento che regge l’impianto armonico di tutti i nuovi arrangiamenti è la chitarra di Fausto Mesolella: in Danson Metropoli è acustica e incalzante; in Cosa sai di me è un riff elettrico su un’accattivante ritmica jungle, e finisce con un assolo in stile prog (“alla David Gilmour”, sottolinea il chitarrista); Elisir diventa addirittura un pezzo rock. Le canzoni acquistano nuova freschezza, e l’obiettivo di tutta l’operazione è senza dubbio riuscito: mettere in luce il valore della scrittura perfetta e senza tempo di Conte. Dall’altra parte però penso all’autore, al suo famoso rigore esecutivo e alla sobrietà con cui ha sempre messo mano agli arrangiamenti delle sue stesse canzoni. possibile che sia stato sempre d’accordo con queste scelte? Gli Avion si guardano e sorridono. “Non è che sia andato sempre tutto liscio. ci sono degli incontri che avremmo dovuto filmare per capire com’è andata veramente, per vedere le facce che faceva” scherza Fausto. “Alla fine però lui ha riconosciuto l’essenza delle sue composizioni e ha dato l’okay, e questo è il regalo più grande che abbiamo potuto ricevere come gruppo, perché noi ci abbiamo messo la nostra sensibilità – la nostra poca cultura musicale, anche – e lui alla fine ha riconosciuto che comunque in quel modo è stato rispettato. Diciamo che non ha perdonato, ma ha detto sì”.
Servillo ci tiene a precisare: “Non è stato custode del suo repertorio ma, al contrario, ci ha stimolati a seguire percorsi diversi, alternativi. Questo ci ha messo nella posizione di essere interpreti al massimo livello: penso che espressivamente e musicalmente questo sia il nostro album più libero”.
Gli Avion sono dei tipi modesti – “noi siamo gli scolari artigiani e lui il maestro” – ma è chiaro che, per chi conosce la loro discografia, il risultato di questo esperimento non può che essere di altissima qualità. Questo sound così “contemporaneo” non ha niente a che fare con le furbizie commerciali, per intenderci, ma è una perfetta commistione di moderno e vintage, di strumenti elettrici e orchestra (che qui è l’Orchestra da camera delle Marche, diretta da Daniele Di Gregorio, pianista, arrangiatore e braccio destro di Conte) “arrangiata in stile anni 60”, come dice bene Ciaramella.
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Abbiamo accennato alla presenza di un inedito, un pezzo importante perché scritto e pensato da Conte esclusivamente per il gruppo: Il giudizio di Paride, sospeso tra cabaret e canzone napoletana, è in effetti un brano molto “aviontravelesco”, in cui allo stesso tempo si riconosce subito l’ironia contiana. “La trovo una canzone nobile, perché è una canzone comica” dice Servillo,”quasi una sorta di café chantant o teatro variété. Ma la sua sensualità deriva anche da una certa vena di malinconia. Conte ci accompagna in questo percorso che lui sa per noi essere importante, un percorso di avvicinamento alla canzone napoletana che noi cerchiamo da anni nelle nostre canzoni. Con Paolo abbiamo condiviso delle idee su alcuni progetti per il futuro, e lui sa che noi prima o poi vorremmo affrontare questo discorso”. Un legame e una passione più che comprensibili per dei musicisti di Caserta, un po’ meno se pensiamo alle origini nordiche di Conte, che però nella sua carriera ha scritto più di qualche canzone in napoletano. Di cui Peppe, tra l’altro, è assolutamente entusiasta: “Lui usa la lingua come strumento, e non ha importanza il padroneggiarla dal punto di vista filologico, della pronuncia. Ha una grande padronanza nell’esprimere i sentimenti, le immagini; una cosa che fa, ad esempio, in Spassiunatamente”. Servillo canta in napoletano anche Danson Metropoli (il cui testo in origine è un grammelot di inglese, italiano, spagnolo e varie cadenze mediterranee) e anche qui la scelta suona più che azzeccata. “In questa canzone riconosco personaggi che incontro. L’africano che parla napoletano è molto familiare, ad esempio”.
Nel dischetto, la traccia successiva è la famosissima Max, che gli Avion interpretano in chiave completamente strumentale. Il “colpevole”, naturalmente, è Mesolella: “Al di là di tutto, Conte è un autore di musica, e personalmente penso che sia uno dei più grandi compositori del Novecento. Quindi si può anche estrapolare un pezzo di composizione come se fosse un brano di musica classica: il valore è lo stesso”.
È indubbio che nel tempo il maestro si sia appassionato al progetto: prima cedendo una serie di suoi dipinti per la copertina e il libretto del cd (“È arrivato qui con più di 80 dipinti tra cui scegliere!”), poi partecipando con un piccolo contributo vocale in Elisir. L’unica cosa che non poteva prevedere è che quel piccolo duetto si trasformasse in un terzetto, con un’ospite aggiunta a dir poco insolita: Gianna Nannini. “La cosa nasce dal fatto che io ho suonato in quattro-cinque pezzi dell’ultimo disco di Gianna” spiega ancora Fausto. “Una coincidenza ha voluto che in quel momento fosse a Milano, e così le abbiamo chiesto di cantare; poi, la fortuna ha voluto che ci fosse anche il maestro, perché in quei giorni stavamo facendo proprio gli ultimi ascolti del disco. È stata un’improvvisata anche per lui. Quando gli abbiamo detto: ‘Maestro, voi qua rimanete!’, lui ha borbottato un po’ ma poi ha acconsentito. Due numeri uno nel disco degli Avion – che diventerà il numero uno – a noi ci va bene! (Risate, nda)”.
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“Si suona così, con grazia plebea, le mani che sudano” canta il maestro in Elisir. E qui sta racchiuso anche tutto il mondo degli Avion Travel: la passione e il lavoro duro dell’artigiano della musica, e l’idea di rimanere fedeli a se stessi. “È la frase perfetta per la prossima legge sulla musica” sentenzia Mesolella. “Lì c’è tutto: carica e scarica strumenti e stai zitto. E se hai le mani che sudano non riesci a prendere i soldi, perché scivolano”.