Nu Genea, il report da Locus Festival, Locorotondo
Pienone delle grandi occasioni per i Nu Genea a Locorotondo (BA) per il Locus Festival lo scorso 14 agosto
Da Rio a Napoli passando in Valle d’Itria.
Una sequenza di luoghi, una scia di suoni, suggestioni, profumi; immaginario tascabile che si espande al crocevia tra jazz, funk, disco e world.
L’affollata serata preferragostana del 14 agosto è stata utile non solo per capire la storia e la qualità del Locus Festival, giunto alla XVIII Edizione, ma anche per inquadrare in modo esauriente il fenomeno Nu Genea. Alle orecchie dei più attenti, già dai tempi della partnership afrobeat con Tony Allen e in modo marcato con l’exploit di Nuova Napoli, i riferimenti dei due dj erano inquadrati: da Fela Kuti al Naples Power, dalla house colta – residuo diurno delle nottate trascorse in area clubbing – agli Azymuth. Vedere la celebre formazione carioca in apertura di un loro concerto ha fatto un certo effetto: senza il gruppo fondato da José Roberto Bertrami, tutta la suadente carica funk dei Nu Genea sarebbe stata diversa – e, ricordiamolo, sarebbe stata diversa anche quella dei protagonisti della remix-era che si ritrovarono a giocare con i loro vinili anni ’70.
È significativo il fatto che la serata sia stata ideata sotto l’egida “Invite”: Aquilino e Di Lena hanno individuato gli Azymuth come opening band e Quantic Dj per la chiusura, all’insegna di uno scontro benefico tra musiche e culture, col sorriso e la ricerca. Da questo punto di vista Locus si è rivelato la sede ideale per un dialogo tra vecchie e nuove generazioni in un contesto che sin dagli inizi ha favorito questa connessione: è il festival che ha ospitato sia Gil Scott-Heron che David Byrne, sia Battiato che Robert Glasper o Nils Frahm. Tra i trulli secolari, musiche nel tempo e fuori dal tempo.
Dopo il brillante set dei brasiliani, con i gloriosi Ivan Conti e Alex Malheiros quali unici membri storici, 4500 paganti hanno accolto con entusiasmo i Nu Genea, che hanno risposto nel modo migliore: con un concerto festoso, vivace, dinamico nella scaletta ma anche studiato nell’esecuzione, con una napoletanità esplicita ma mai retorica. Vecchi e nuovi classici tratti da Nuova Napoli e Bar Mediterraneo come Je Vulesse e Tienaté, la popolare Marechià, Fabiana Martone irresistibile nel ruolo di frontwoman istrionica. E per i cultori, Nuova Napoli diventa il momento prezioso di scambi strumentali. Chi segue le vicende sonore di Napoli degli ultimi anni ricorderà la statura degli Slivovitz, possente sestetto rock-jazz che ha portato nei Nu Genea un contributo di musicalità generoso: merito di Marcello Giannini e Pietro Santangelo, il primo chitarrista determinante anche se poco appariscente, il secondo trascinante in prima linea tra sax, flauto e presenza. L’identità del gruppo si manifesta anche attraverso queste componenti.
La frequentazione dei Nu Genea ai festival internazionali ha affinato moltissimo la loro tenuta e ha contribuito a rafforzare la personalità, tanto da poterli immaginare come una sorta di sana e seria risposta ai Maneskin: è possibile che una formazione italiana calchi palchi prestigiosi di mezzo mondo senza dover investire in mossette, tettine, tatuaggini e vestitini. La chiave è nella musica, o meglio: nel suonare.