30/08/2022

Rolling Sponz Review: il report dalla lunga notte di Calitri

Vinicio Capossela e una carovana di amici chiudono il decimo Sponz Fest il 27 agosto

Quello che sono lo porto addosso. 

Quando Vinicio Capossela intona Il Treno, uno dei brani più significativi delle Canzoni della Cupa, la sensazione finalmente è di chiarezza. Di chiusura di un cerchio. Di ripulitura dello strato polveroso di enfasi che ammanta, inevitabilmente, eventi centrati sulla celebrazione del loro artefice, da ‘O Scià di Baglioni al Jova Beach Party. E benché la centralità di Capossela coincida con quella dell’immaginario che ha lentamente ideato e costruito, a volte servono dei passaggi, anche fuggevoli, per comprendere il senso di un’operazione. 

Non ce ne sarebbe neanche bisogno, dopo nove anni di festival e una decima edizione esplicita nelle premesse – quelle dell’incrocio di sapere e territorio, Cultura e Coltura – e negli sviluppi tematici, ambientali e musicali. Eppure riascoltare la filigrana morriconiana e desertica del Treno – l’uccello nero arrivato al mattino con le ali aperte sui binari, quello che ha portato via Tavolone, Peppe Nacca, lo Stracciato, il padre Vituccio con la sua scanata di pane – connette con una vicenda personale che ha dato il via alla riscoperta delle radici e in particolare alla condivisione della loro storia. 

Basterebbe questo per capire lo spirito di un incontro, ma Sponz è fatto di umanità e luoghi, quelli dell’Alta Irpinia sempre più disantropizzati, episodicamente rianimati dalla ricchezza dello scambio musicale. La Decima Edizione del progetto ideato e diretto da Capossela è tutta racchiusa nel pittogramma cornuto del logo, la O e la U che si sovrappongono, come sottolinea il direttore artistico: «Ragionare su cultura e coltura è ragionare su di cosa siamo fatti, su cosa mangiamo e su cosa coltiviamo. Sul rapporto con la terra, con le risorse della terra e anche con le nostre. Su cosa consumiamo e su cosa lasciamo. Su cosa coltiviamo e cosa corrompiamo».

Se la spugna assorbe, trattiene e rimette in circolo, la Regola Aurea dello Sponzare contempla anche il festone finale. Rolling Sponz Review – titolo caro ai lettori di Jam – mette insieme amici e ospiti, un carrozzone che si è fermato sulla Collina di Gagliano, una Woodstock irpina notturna arrivata con gioia sonnacchiosa fino all’alba, in una dimensione nuova, tra il poetico e il dionisiaco. Il filo rosso sono state le performance tematiche di Capossela e la sua band (sempre preziosa la regia di Asso Stefana e Vincenzo Vasi) alternate con generosità a ospiti più o meno sensati e in forma. Come risposta a un inutile Tartaglia e a un Edda che si autosabota nonostante la grazia di tante sue canzoni, segnaliamo una duplice bella scoperta: Davide Ambrogio con la potente ricerca di suoni, ritmi e temi della Calabria profonda – una dimensione ipnotica, quasi rituale – e sull’altro versante la freschezza irish di Pietro Brunello, la cui giovinezza dylaniana ha rotto per un attimo la sottile incrostazione retorica del palco. Tra il carisma di John De Leo e quello di Mara Redeghieri,  menzione speciale per Micah P. Hinson, un dinoccolato Woody Guthrie postumano mosso dalla bellezza dell’introspezione. 

Quando si vive in famiglia si agisce seguendo dinamiche consolidate. La serata finale di festa ha mostrato l’esistenza di una comunità trasversale, intergenerazionale e talora ai pericolosi limiti dello smembramento, ma desiderosa di riconoscersi, anche negli automatismi. Anche nel duetto sanremese di omaggio a De André con Giovanni Truppi, anche negli italo-mariachi lenti e languidi, guardando le stelle nella notte. 

Sponz Fest 2022 - Vinicio Capossela

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