08/05/2024

Storie e cronache di rock italiano

Federico Linossi racconta un pezzo di storia del nostro rock

 

Litfiba, CCCP, Disciplinatha, e poi CSI, Marlene Kuntz, Afterhours, Massimo Volume e tantissimi altri. La storia del rock italiano negli anni ’90 ha toccato vette memorabili, probabilmente mai più raggiunte, e Federico Linossi nel suo libro Storie e cronache di rock italiano (Arcana) ha dato voce a una vicenda individuale, comune a un’intera generazione, quella cresciuta con il nostro rock a partire dal 1993. Ne parliamo con lui.

 

Negli anni ’70 la grande stagione del rock progressivo con PFM, Banco e Area, vent’anni dopo CSI, Marlene e tanti altri. Rispetto all’epoca d’oro degli anni ’70, su quali coordinate si muove il rock italiano che hai raccontato?

Onestamente, per motivi anagrafici, conosco poco il rock progressive però ritengo che una differenza importante con scena indie italiana sia legata a differenze dal punto di vista tecnico e della istintività. Una caratteristica fondamentale del rock italiano, infatti, è sempre stata l’urgenza espressiva, veicolata con grande spontaneità, senza dare troppo rilevanza all’esperienza ed ai virtuosismi. Il motto ideale potrebbe essere una frase pronunciata da Ferretti: «Ci interessa l’anima di chi suona e non la qualità dello strumento».

 

Ogni storia ha delle premesse e nel tuo caso si parte dagli anni ’80, il decennio dei Litfiba pre-El Diablo, dei CCCP, ma anche degli Underground Life o dei Bisca. Che tipo di continuità c’è stata tra i due decenni?

La continuità è molto marcata nei gruppi che negli Ottanta si sono fatti le ossa tra cantine e piccoli club e nel decennio successivo, finalmente, hanno beneficiato di meritata visibilità. In questo senso si può prendere a prestito lo slogan «Il rock italiano mette i denti», usato durante il Festival Rock di Bologna del 1982, per dire che negli anni Novanta la scena è poi diventata matura ed è stata capace di ritagliarsi i propri spazi. Gruppi storici che non hanno vissuto il secondo periodo hanno, comunque, avuto un ruolo fondamentale: molti sono stati protagonisti di nuovi progetti, altri come encomiabili esempi di caparbietà e talento.

 

Gli anni ’90 sono stati probabilmente l’ultimo periodo di autentica creatività per il rock. Basta citare Seattle, Ben Harper, Radiohead, Kyuss e Nine Inch Nails per avere un’idea. E l’Italia? Il rock italiano, secondo te, riuscì a essere competitivo con gli stranieri?

A mio parere il rock italiano è un fenomeno peculiare, difficilmente comparabile con realtà estere. I motivi della atipicità sono molteplici… Anzitutto, l’Italia è sempre stata molto legata alla musica cantautorale e melodica; dunque, le altre forme espressive sono giudicate “antagoniste”: considerate scarsamente appetibili e destinatarie di spazi limitati (sia in termini fisici che nell’ambito della comunicazione). Inoltre il nostro rock è piuttosto atipico perché, sostanzialmente, combina sonorità recepite all’estero ed un innato gusto per lirica e melodia; un aspetto che penso induca gli artisti tricolore a non sentirsi degli “unicum”, mai troppo in competizione con i colleghi stranieri. Quindi penso che il rock italiano abbia una ragion d’essere, principalmente, come fenomeno locale e lo si possa confrontare ad altre scene simili solo in termini di impatto sulla scena culturale e sociale e non da un punto di vista meramente qualitativo o di innovazione espressiva.

 

Anni ’90, anni di concerti. Anche da questo punto di vista fu una stagione irripetibile. Chi erano i principali protagonisti e su quali palchi?

Come raccontato nel libro, vivendo in provincia ho faticato molto per coltivare la mia passione per il rock italiano, e di molti avvenimenti ho dovuto accontentarmi di echi lontani… Fortunatamente, però, negli anni Novanta c’erano TV di settore – come VideoMusic ed MTV – che mi hanno permesso di seguire con continuità band come Afterhours, Diaframma, Litfiba, Marlene Kuntz, Negrita, Ritmo Tribale, Timoria… ma anche di percepire le atmosfere di festival come Arezzo Wave e  Rock Targato Italia o di locali come l’Auditorium Flog, l’Alcatraz, l’Hiroshima mon amour…

Dalle mie parti ci sono comunque state delle realtà molto importanti che ho frequentato con grande assiduità. Anzitutto c’era il Rototom, locale, alle porte di Pordenone che ha ospitato i principali protagonisti della scena rock italiana ricoprendo un ruolo fondamentale a livello divulgativo anche grazie alla presenza di un magazine molto puntuale ed aggiornato. Poi c’era anche la Festintenda, un evento estivo che, nel corso degli anni, ha messo in fila una serie incredibile di concerti: tutti i gruppi del C.P.I. e tanti altri alfieri della scena alternativa. Di recente ho avuto occasione di parlare con molti addetti ai lavori (ex proprietari di locali ed organizzatori di festival) e tutti mi hanno raccontato di aver sempre affrontato grandi difficoltà e di aver ricevuto scarsissimo supporto… tanto da dover spesso attingere a risorse personali.

Quindi dietro le quinte dei principali eventi c’erano impegno, sacrifici e fatica.

 

Vorrei soffermarmi su alcuni gruppi che, più degli altri, hanno segnato la storia. Partirei dai CSI. Probabilmente la vera essenza di quel decennio è nei loro album all’insegna del pathos e anche nella potenza dei concerti, che ne pensi?

I CSI hanno incarnato gli aspetti più raffinati ed intensi del rock italiano. I loro album sono una perfetta sintesi di talento, ricerca e profondità… Recentemente ho parlato con Francesco Magnelli e ricordando l’esperienza nei CSI ha raccontato che nel gruppo c’era un ottimo equilibrio, spesso le canzoni nascevano da spunti individuali, ma venivano poi completate con un progressivo inserimento di successivi elementi espressivi. Una situazione magica considerando il talento e la personalità dei singoli artisti. Anche dal vivo erano straordinari ed attingevano alle esperienze del passato (perlopiù con CCCP e Litfiba) per combinare tecnica, presenza scenica e teatralità. Riascoltando la storia del Consorzio Suonatori Indipendenti è davvero incredibile constatare come siano stati capaci di creare un repertorio molto eterogeneo ma sempre ricercato e coerente. Bisogna, poi, considerare che l’importanza dei CSI è anche legata alle diverse anime che il gruppo in qualche modo ha incarnato (CCCP e PGR, oltre alle carriere soliste dei musicisti), ma anche all’avventura del Consorzio Produttori Indipendenti che ha prodotto un catalogo indimenticabile.

 

La musica e la parola, entrambe elettriche, per niente rassicuranti, porte aperte su nuovi immaginari. L’esperienza dei Massimo Volume. Quanto sono stati significativi?

Ho iniziato ad ascoltare i Massimo Volume dopo aver letto un articolo di Federico Guglielmi, pubblicato sul Mucchio Selvaggio con il titolo “Comunicazione non convenzionale”. Era il 1999, l’anno di Club Privé… quella dei Massimo Volume è stata, e continua ad essere, una espressività decisamente originale, figlia di una straordinaria abilità nel combinare letteratura e ricerca sonora. Emidio Clementi ha splendide capacità narrative e lo ha dimostrato anche nei molti romanzi pubblicati, Vittoria Burattini ed Egle Sommacal sono ottimi musicisti, protagonisti di carriere davvero importanti. L’esperienza dei Massimo Volume è stata illuminante ed ha creato uno stile totalmente nuovo che ha ispirato molti gruppi.

 

Gli anni ’90 vedono ai piani alti delle classifiche i Litfiba, in una versione però votata al rock più sgargiante e aggressivo, ormai lontano dal clima esoterico e visionario del passato. Quanto c’era di nuovo in dischi come Terremoto e Mondi sommersi?

Terremoto è il disco che mi ha fatto scoprire i Litfiba e, di fatto, mi ha iniziato al rock italiano. Si tratta di un lavoro importante e coraggioso, una sorta di concept-album che racconta temi sociopolitici: con testi ironici e taglienti ed un contesto sonoro di matrice hard-rock. Con Terremoto i Litfiba hanno realizzato una credibile evoluzione del loro linguaggio espressivo degli anni Ottanta: estremizzato alcuni contenuti ma mantenuto solide radici con il passato. Per l’Italia è stato un disco importante ed innovativo che ha suscitato clamore ed ha rapidamente conquistato le vette nelle classifiche di vendita; un evento epocale, utile anche per dare visibilità a tutta la scena indie nostrana.

Anche Mondi Sommersi è stato accolto con favore; infatti critica e pubblico sono rimasti subito molto affascinati dalla modernità dei suoni e dalla fluidità delle liriche. Tuttavia, l’interesse si è rapidamente sgonfiato perché la pubblicazione del disco non è stata accompagnata da una successiva, adeguata, continuità di intenti; per le tensioni tra Piero e Ghigo. Le conseguenze sono state molteplici. In primis sul tour, molto debole a causa di una scaletta male assemblata e di sonorità piatte, frutto di scarsa convinzione e della difficoltà a riprodurre sul palco i suoni presenti nell’album. Poi ci sono state delle scelte promozionali alquanto discutibili, come la partecipazione al Festivalbar, che hanno fatto emergere il lato più commerciale delle nuove canzoni svilendone i contenuti. Dopo un paio di anni, Pelù e Renzulli si sono separati e le tante cose buone presenti in Mondi Sommersi sono presto finite nel dimenticatoio…

 

Prima ancora che diventasse un volto televisivo e una figura influente a tutto tondo, Manuel Agnelli era soprattutto il leader degli Afterhours, autori di un paio di album fondamentali per quel decennio. Qual è stato il ruolo della band milanese?

Gli Afterhours hanno davvero segnato un’epoca: la scelta di cantare in italiano e la pubblicazione di album come Germi (1995) e Hai paura del buio?  (1997) sono state delle svolte sia per la band meneghina che per l’intera scena rock italiana. Soprattutto in questi due dischi, i Afterhours hanno dimostrano una straordinaria abilità nel contaminare stilemi musicali restituendo una produzione eterogenea ma profondamente coerente.  Altro elemento di forza erano i concerti: sul palco la band era abile nell’aggiungere ulteriori elementi espressivi, con improvvisazioni e pose teatrali. Ho citato solo Germi e Hai paura del buio?  non per sminuire i dischi successivi (anzi Quello che non c’è continua ad essere, in assoluto, uno dei miei album preferiti) ma perché li ritengo profondamente seminali e capaci di condizionare le successive generazioni di musicisti rock. …  nei primi anni Duemila collaboravo con Rockit e ricordo che molti dei dischi che ricevevo (da band emergenti) erano debitori al sound degli Afterhours: in alcuni casi c’erano solo rimandi, in altri solo una sterile imitazione. Da considerare che Agnelli spesso si è anche cimentato nel ruolo di produttore; quindi, ha ulteriormente rafforzato la sua figura all’interno della scena rock italiana.

 

Cosa resta nel rock italiano contemporaneo della grande lezione di trent’anni fa?

Di getto risponderei: “Davvero poco!”.

E quel poco è soprattutto legato all’effetto nostalgia, visto che dopo tanti anni gli appassionati si trovano ancora a parlare degli artisti del passato, quelli che già furoreggiavano negli anni Novanta… ma sarebbe un commento un po’ troppo cinico e personale, condizionato dall’inesorabile scorrere del tempo che mi porta a ricordare con malinconia il periodo giovanile e le intense esperienza che ho vissuto sotto le transenne. Tuttavia, è pur vero che gli eredi della “leva rock” degli anni Novanta sono davvero pochi e che un cambio generazionale non si è mai, realmente, sviluppato. Bisogna, di certo, considerare quanto il tessuto sociale sia mutato, modificando comportamenti ed esigenze. Negli anni Novanta la musica rock era un ottimo veicolo per evadere, aggregarsi ed esprimersi e, in questo senso, dischi e concerti erano strumenti imprescindibili. Ora, evidentemente, le esigenze ed i canali sono diversi così come la fruibilità, resa più agevole dalla tecnologia, sempre più presente ed invasiva. Attualmente il rock italiano è vivo e presente: ci sono esponenti capaci anche di esprimere nuovi linguaggi; ma la mia impressione e che l’impatto dal punto di vista culturale e sociale sia molto meno significativo rispetto al passato… A prescindere da tutto, comunque, la speranza è che i nuovi virgulti (a prescindere dal loro numero) riescano a rinnovare le esperienze dei “padri fondatori” e possano regalarci nuove scintillanti pagine di musica, ridimensionando la nostalgia per i bei tempi andati…

Linossi - Storie e cronache di rock italiano

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!