Loreena McKennitt, The Mask And Mirror Live
La cantautrice canadese ha ripubblicato lo scorso 14 giugno il suo storico disco che compie trent’anni
A metà tra un’operazione artistica e una scelta sempre più spesso dettata dalla condizione economica in cui verte la discografia si inseriscono progetti come The Mask And Mirror Live, album ripescati dagli archivi del tempo a cui viene concessa nuova vita. Ha sempre il suo fascino rivisitare un vecchio lavoro da un punto di vista nostalgico; sarebbe meglio, tuttavia, se questo non fosse dettato dalle difficoltà dell’industria, che spesso lascia così poco margine di scelta. Unire l’utile al dilettevole, dunque, potrebbe essere la giusta chiave di lettura per considerare operazioni di questo tipo solo dal lato positivo: celebrare un disco di cui ricorre un anniversario importante rimandando a un più o meno prossimo futuro la produzione di un lavoro ex novo, operazione assai più articolata e soprattutto dispendiosa.
Ce lo racconta Loreena McKennitt, eclettica cantautrice canadese che mescola come una sopraffina alchimista pop, folk e musiche popolari dal mondo, artista pluripremiata e inserita, a marzo 2023, nella Canadian Songwriter’s Hall of Fame. Il suo The Mask And Mirror che nel 1994 era stato un fondamentale punto di svolta nella sua carriera – quel viaggio alla ricerca della storia e delle tradizioni dei Celti sparsi in Europa, le tappe in Marocco, la letteratura Spagnola del XV secolo e le affascinanti contaminazioni di religioni diverse come ebraismo, islam e cristianesimo – celebra i suoi trent’anni e torna in una versione live registrata in una delle tappe del tour di quello stesso anno nel suggestivo Palace of Fine Arts di San Francisco. Intanto la aspettiamo in Italia per sei date del tour…
Prima di tutto mi piacerebbe sapere cosa ricordi di quel concerto speciale del 1994 al Palace of Fine Arts di San Francisco…
Mi imbarazza un po’ dover dire che non mi ricordo molto perché è stato un concerto parte di un lungo tour, ma ricordo che il luogo era davvero bello e pieno di eredità culturale. È stato uno dei primi grandi palchi della mia carriera, The Visit (1991) era stato un momento di svolta per me nel Nord America ma The Mask And Mirror lo era stato ancora di più anche in Europa. In quel tour suonavo con un paio di musicisti che sono ancora con me, Brian Hughes (chitarrista, ndr) e Hugh Marsh (violinista, ndr), ma il violoncellista e il bassista erano diversi, quindi non ricordo molto altro.
Perché hai scelto proprio quest’album per questo tipo di celebrazione? È particolarmente importante per te?
Credo sia un sintomo della condizione in cui verte l’industria discografica in questo momento. Quando negli anni Novanta internet non era regolarizzato, siti come Napster e Torrent hanno fatto collassare metà industria discografica, la parte che realizza dischi e che soprattutto li vende. Ad esempio, un’artista come me di solito guadagnava 25 centesimi a canzone su CD o vinile, ora su Spotify, o su altri siti del genere, si può arrivare a 10 centesimi ogni mille riproduzioni; è interessante da sottolineare perché vuol dire che l’industria discografica non ha più motivi di produrre dischi come si faceva una volta, sono troppo costosi. Se penso ai miei The Mask And Mirror, The Book of Secrets o The Ancient Muse, nei quali ho coinvolto musicisti di diverse culture che hanno sviluppato diversi arrangiamenti… insomma non una vera orchestra sinfonica ma comunque un bel gruppo di musicisti. Dunque, vista la difficoltà di realizzare dischi come quelli, gli artisti scelgono di aprire i loro archivi e di pubblicare degli album che celebrino degli anniversari, te lo dico onestamente. Certo, è sempre bello e interessante rivisitare un vecchio lavoro da un punto di vista nostalgico, ma vorrei che non fosse necessario a causa del collasso della discografia. Per la maggior parte degli artisti i concerti sono la principale fonte di entrata economica, e in più lo fanno in formazioni spesso ridotte.
Ti senti “scomoda” nel mondo discografico di oggi?
Devo dire che mi sento fortunata che la mia carriera abbia raggiunto certi picchi in un determinato periodo: in termini di vendite ho raggiunto l’apice nel 1998 con The Book of Secrets, e sembrava che le cose dovessero continuare a crescere, invece internet è stato un vero punto di svolta. Voglio dire, nessuna carriera rimane costantemente agli apici, ma in quegli otto anni, dal 98 al 2006, la differenza è stata enorme, è collassato tutto e siamo stati totalmente inondati da questo tzunami di tecnologia che proveniva dalla Silicon Valley. Tuttavia mi sento fortunata perché quell’apice raggiunto mi permette oggi di essere considerata un’artista che porta con sé una sorta di eredità, sono riuscita a creare una fan base con la quale resto sempre in contatto.
Tornando a The Mask And Mirror, è un disco pieno di influenze di musiche tradizionali, dall’Irlanda all’Europa del Sud al Nord Africa: ti ricordi com’è nato questo progetto nel 1994, e come lo vivi oggi?
Mi sento ancora fortemente legata a questo progetto; è nato dopo un’esposizione a Venezia nel 1991 sui Celti, dove ho imparato che non erano un gruppo folle di anarchici scozzesi, irlandesi, gallesi e britannici ma un vasto numero di tribù sparse in Europa e in Asia Minore risalenti circa al 500 a.C. Quindi ho deciso di iniziare a viaggiare e seguire la storia dei Celti e a scrivere una sorta di documentario di viaggio. Sono partita dal Nord Ovest della Spagna, dalla Gallia, territorio dei Celti, dov’è Santiago de Compostela, il centro nevralgico da cui è partito il pellegrinaggio verso l’Europa e di ritorno verso Santiago, e questa migrazione continua ha influenzato le persone nella musica, nel cibo e nel modo di vestire. Poi questa storia ha incrociato quella delle comunità cristiane, islamiche ed ebree che convivevano, magari non in maniera perfetta ma lo facevano; e ancora la forte influenza proveniente dall’Africa del Nord in termini di agricoltura, architettura, letteratura e musica che ho trovato estremamente affascinante. Non potevo capire tutto questo senza andare in Marocco dove ho passato una o due settimane nel marzo del 1993 a Marrakesh, poi sulle Atlas Mountains e infine nel deserto. Credo che tutto questo faccia parte del mio modo unico di lavorare: ricercare, viaggiare, incontrare persone, ascoltare, odorare e vedere cose nuove, e riportare tutto questo nel mio processo compositivo.
Sei cresciuta in Canada ma la tua famiglia ha origini irlandesi e scozzesi, ricordi quando hai avuto l’opportunità di scoprire questa eredità?
Il mio bisnonno arrivò in Canada dall’Irlanda, quindi di fatto già tre generazioni erano canadesi. Però quella tradizione credo sia sempre stata lì: mi sono imbattuta nella musica celtica a Winnipeg negli anni Settanta, andavo sempre in un club che la domenica sera si riempiva di musicisti irlandesi e scozzesi, ci scambiavamo storie e canzoni che imparavamo lì, quindi la mia fascinazione per la musica celtica probabilmente ha meno a che fare con la mia eredità familiare quanto piuttosto con la musica stessa. Tuttavia, anni dopo, quando lavoravo all’Abbey Theater di Dublino nel 1988, i miei genitori mi hanno raggiunta e abbiamo visitato alcuni luoghi dove avevano vissuto dei McKennitt. È stata una cosa molto bella da fare insieme.
Loreena McKennitt tornerà in Italia a luglio per sei date:
20 luglio – Bard (AO), Forte di Bard
21 luglio – Pratolino (FI), MusArt Festival / Parco Mediceo
22 luglio – Roma, Rock in Roma / Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone
24 luglio – Udine, Castelli
25 luglio – Merano (BZ), World Music Festival / Giardini di Castel Trauttmansdorff
26 luglio – Milano, Teatro Arcimboldi