02/10/2024

Il fenomeno Grunge secondo Matteo Ceschi

Vololibero pubblica il nuovo studio su Seattle dello scrittore milanese

 

Proprio come i Beatles, i Pink Floyd, i Doors e i Queen, la letteratura sul grunge e sui gruppi di Seattle è abbondante. Da poco Tsunami ha pubblicato il testo di Valeria Sgarella sui Soundgarden, non cessano studi e approfondimenti su Nirvana e Pearl Jam, insomma Seattle è ancora oggetto di attenzione da parte dell’editoria. Così scrivere sulla materia è rischioso, a meno che non si adotti un punto di vista meno cronachistico e aneddotico, più storico in poche parole, come quello di Matteo Ceschi. Vololibero ha pubblicato il suo G. Storia ed estetica Grunge. Ne parliamo con l’autore.

 

Quella “G” ha un valore simbolico centrale nel tuo racconto. Soprattutto perché non è solo la lettera iniziale di Grunge. Come mai?

Non trovi che la “G” sia onomatopeica? E sufficientemente rock, grunge e assolutamente pop? Come Nevermind dei Nirvana. Inoltre la “G” che compare nel titolo del libro ha anche una sua funzione grafica resa benissimo da Manuele Scalia, il grafico che ha arricchito e reso copertina uno degli scatti con cui immortalai i Soundgarden nel giugno del 2012 a Milano. Ora che il libro circola, posso rivelare come la sua stesura sia iniziata proprio da una sorta di filastrocca in stile Goonies che mi sono inventato al momento di mettere su carta – ancora mi appunto le idee a mano su fogli volanti – le prime pagine del libro. <G come Goonies. G come Grunge…>

Si, quindi, quella “G” ha avuto un valore simbolico e mi ha guidato nel corso dei sei mesi di ricerca ed è stata anche una sorta di passe-partout per addentrarmi in profondità nella storia della scena musicale di Seattle fin alle origini del grunge nel lontano 1983-84. Non solo. Il suono insistente e persistente di quella “G” nella mia testa ad un certo punto ha perso la “ruvidezza prolungata” del grunge dei primordi e mi ha condotto alle radici dell’anima pop(ular) del genere portandomi a rivalutare con attenzione l’opera di contaminazione pop portata avanti da Kurt Cobain a partire da About a Girl. Al sicuro dietro alla settima lettera dell’alfabeto ho poi scavato a fondo nei miei ricordi recuperando titoli di comic books, film e serie TV e approfondendo il legame imprescindibile tra la fotografia e le diverse anime del grunge. A pensarci bene… quella “G” si può dire che sia la co-autrice del libro.

 

Questo libro arriva da lontano e a mio parere incrocia sia i tuoi saggi su rock ed ecologia, sia il libro sulla canzone di protesta americana. Il grunge come fenomeno prettamente nordamericano, ma quale punto di vista hai adottato per raccontarlo?

Un punto di vista pop. Popular. Forse alla maniera di Andy Warhol.

Per la prima volta da quando mi confronto con la scrittura di libri a tema musicale, ho cercato di raccontare un fenomeno, quello grunge, che ho vissuto in prima persona. Ho lavorato da storico e cronista sonico ma anche da testimone dei fatti narrati. In G. Storia ed estetica grunge c’è davvero molto di me. Ci sono lunghe ore di ascolto e lettura. Ci sono le chiacchierate con amici musicisti come Tiberio Longoni, fondatore dei Peter Sellers and The Hollywood Party, Ferdinando Masi, batterista dei Bluebeaters e degli Uppertones, e Geppi Cuscito dei Casino Royale. C’è il Matteo degli anni Novanta che, scisso tra hip-hop e grunge, mai avrebbe pensato un giorno di ritrovarsi a scrivere di rap, musica di protesta, controcultura e grunge. Inevitabilmente questo nuovo testo, come dici tu, incrocia e trova alcuni spunti, negli altri libri e saggi pubblicati negli anni. Di Pearl Jam e di Soundgarden avevo già parlato. Avevo approfondito il loro impegno a favore dell’ambiente. Ma con questa nuova avventura letteraria-musicale ho ulteriormente allargato il discorso concentrandomi ad esempio sulla spiccata sensibilità di Cobain e di Krist Novoselic a favore delle istanze femministe.

 

Seattle prima di Seattle: tema sempre interessante, soprattutto per i più giovani che partono dal mito di Kurt Cobain, passano a Layne Staley e Chris Cornell, ma spesso ignorano che c’è stato un “pre”. Che città era prima del boom delle camicie di flanella e delle chitarre elettriche?

La Seattle pre-grunge, quella degli anni Settanta, per intenderci, non era più un posto così vivibile come la Seattle degli anni Sessanta con il boom della Boeing e la piena occupazione e dello Space Needle costruito per l’Expo del 1962. Gli eroi del grunge, cresciuti nei Seventies, hanno vissuto in prima persona il crollo del tessuto sociale ed economico della città con situazioni, a seconda dei casi, più o meno borderline. Uno scenario ben dipinto dal reportage della fotografa Mary Ellen Marks a inizio anni Ottanta e dalla graphic novel Black Hole di Charles Burns. Prima del boom delle camicie di flanella – chi realmente le indossava a Seattle? – e delle chitarre elettriche, nella Città di smeraldo c’era tanta disperazione ma anche un grande senso di solidarietà tra gli artisti. Parte di quello che sarebbe nato intorno alla metà degli anni Ottanta si concretizzò proprio grazie a questo precario mix umano appena descritto. Disperazione – vi consiglio di andare sul web a cercare gli scatti della Marks – solidarietà e creatività: questa era la Seattle (e il Pacific Northwest) che ha visto nascere il grunge.

 

Da storico e fotografo, sottolinei il ruolo di figure esterne legate alla musica, dagli autori di straordinarie copertine a giornalisti del luogo. Quanto è stata decisiva la presenza di personalità come, ad esempio, Charles Peterson e Charles R. Cross?

Forse per deformazione professionale o per puro spirito d’indagine storica, ho cercato figure che, pur non appartenendo al mondo della musica tout court, avessero in qualche modo contribuito a definire la scena di Seattle e il fenomeno grunge. Hai citato Charles Peterson, il fotografo a cui il grunge e Seattle devono la propria estetica. I suoi scatti in bianco e nero, capaci di restituire graficamente tutta l’energia dei live, hanno segnato, almeno fino al 1991, l’estetica grunge. Altro che camicie di flanella e jeans strappati! Nelle foto iper-cinetiche di Peterson a dettare lo stile era Chris Cornell in pantaloni corti e anfibi e maglietta o spesso, a petto nudo. Stesso discorso valeva per l’amico e collega Eddie Vedder. Oltre a Peterson, senza fare un eccessivo spoiler, ti potrei citare appunto Charles Cross, editor di The Rocket, da poco scomparso; la giornalista Dawn Anderson, la prima a mettere su carta la definizione del grunge sound; così come il fumettista Peter Bagge, autore di Hate e grande fan dei TAD.

 

Hai utilizzato interviste e hai fatto parlare varie personalità, da Scott Ledgerwood a TJ Martin, che ti hanno raccontato la storia della regina del grunge, scomparsa nel 2012, Tina Bell…

La scoperta dell’esistenza di Tina Bell e dei Bam Bam su un sito di una rivista culturale di Chicago mi ha decisamente cambiato la prospettiva generale sul grunge. A fianco di padrini riconosciuti come i Soundgarden, Mark Arm dei Mudhoney e Neil Young si affiancava una madrina – in realtà le madrine sono due, considerando Susan Silver, la manager dei Soundgarden e degli Alice in Chains. Maggiori informazioni le ho raccolte una volta contattato TJ Martin, regista figlio di Tina Bell e del chitarrista Tommy Martin. Il suo aiuto è stato fondamentale per entrare in contatto con Scott Ledgerwood, il bassista della band, il quale si è reso da subito disponibile per raccontare l’epopea ricca di colpi di scena dei Bam Bam.  Ne è scaturita una lunga e ricchissima intervista che ho inserito nel libro a mo’ di due capitoli firmati dallo stesso Scott. La scelta, sposata dall’editore, mi piace nella misura in cui il racconto di G. Storia ed estetica grunge ha assunto ancor di più uno spirito corale. Oltre a Scott Ledgerwood, nel testo ci sono interventi del già citato Charles Peterson; di Kirk Weddle, autore dell’ormai iconico scatto per la copertina di Nevermind; dei fumettisti Peter Bagge e Chris Bachalo; di Charles Cross; e del nostro Manuel Agnelli.

 

C’è stata qualche band caduta nel dimenticatoio che invece avrebbe meritato un’adeguata esposizione mediatica?

Non ci sono dubbi, i Bam Bam di Tina Bell. Una band che, grazie alle numerose interviste che sto facendo di questi tempi in radio, sta cominciando ad entrare nelle orecchie degli ascoltatori italiani. Se non mi avete ancora intercettato a chiacchierare di grunge per l’etere, andate on-line ad ascoltarvi Ground Zero. È da quel brano che tutto ha preso origine ed è partito. A proposito di Bam Bam: Scott Ledgerwood sta attualmente lavorando con Jack Endino per editare nuovamente tutta la discografia dei Bam Bam, un lavoro che porterà il prossimo anno a trovare sugli scaffali dei negozi di dischi Villains, l’EP d’esordio autoprodotto del gruppo, e altro materiale ormai introvabile. Accanto ai Bam Bam ci metterei anche i TAD di Thomas Andrews Doyle, forse troppo frettolosamente dimenticati con l’esplosione grunge del 1991.

   

Seattle oggi. Il grunge è solo una faccenda museale oppure c’è un’eredità viva e vitale in città?

No, per l’amore del grunge e della musica! Quale museo! Se proviamo a contestualizzare la nascita del grunge inserendola in una sequenza temporale più ampia scopriremo che, come ci hanno insegnato Kurt Cobain e Chris Cornell, tutto è partito da un ascolto approfondito e colmo di passione del repertorio dei Beatles. Poi ci sono stati i Sonics di Louie Louie. E poi altri ancora. Quindi, quando a metà degli anni Novanta il grunge stritolato dalla tragedia di Cobain ha ceduto le armi all’onda di suoni che arrivava dalla “Cool Britannia”, beh, non è scomparso del tutto. Quel tipo di atmosfere à la Twin Peaks dei testi e quei suoni dilatati, che ad ogni ascolto, come ha scritto Dawn Anderson, sembravano prolungare la durata del brano, hanno fatto resilienza e talvolta si sono trasformati in qualcosa di affine come hanno ben dimostrato a suon di album i Pearl Jam e i Foo Fighters degli ex-Nirvana Dave Grohl e Pat Smear. E poi come non ricordare – ora verrò colpito da un fulmine! – i Måneskin che prima della cura X-Factor sostavano in un’area stilistica dalle forti connotazioni grunge?  E Manuel Agnelli che in occasione del compleanno di Germi ha rinfrescato la memoria ai presenti con un paio di classici grunge eseguiti unplugged? Niente musei, please! Il grunge con le sue varie anime pulsa ancora!

Il grunge raccontato in un libro di Matteo Ceschi

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