LaLadra, il nuovo progetto di Federico Poggipollini e Susie Regazzi
Un incontro generazionale tra elettronica, new wave e urgenza della parola
Federico Poggipollini è un puro. Lo è perché da anni attraversa la musica italiana armato di curiosità, coerenza, spirito libertario e una fame costante di nuove contaminazioni, senza mai scegliere la strada più comoda. Poggipollini è un puro perché, a 57 anni, si mette ancora in gioco, cercando quello che non ha mai fatto: lavorare su un progetto inedito tra elettronica, new wave e urgenza della parola. A Federico è sempre piaciuto muoversi su strade proprie al di fuori dei mega show di cui è protagonista da quarant’anni, ma LaLadra non è un semplice side project, è un lavoro al contempo riflessivo e vitalissimo, una dichiarazione d’amore al rischio, all’incontro generazionale e alla forza della scrittura. “Ho provato che quando ti senti troppo nella tua comfort zone non stai facendo qualcosa che vale davvero”, racconta infatti durante l’intervista. LaLadra vede Poggipollini dividere equamente oneri e onori con la giovane Susie Regazzi, che porta con sé testi diretti, metriche impreviste e un’urgenza comunicativa che spinge anche il chitarrista bolognese a restare vigile, mai domo, sempre pronto a lasciarsi sorprendere. Il risultato è un disco coraggioso, dal sound poco italiano, che guarda agli anni Ottanta senza nostalgia e al futuro con l’irrequietudine di chi non si accomoda mai.
Federico, come nasce l’urgenza di metterti in gioco ancora una volta con un progetto nuovo come LaLadra?
È una cosa che sentivo da tempo. Ti dico la verità: ogni volta che mi sono sentito troppo comodo, troppo nella mia comfort zone, ho pensato che non stavo davvero facendo musica. Volevo qualcosa che fosse completamente fuori dalle mie abitudini. L’incontro con Susanna – vicina di casa, tra l’altro – e i suoi testi hanno acceso la scintilla. Abbiamo scritto gran parte del disco in pochissimo tempo, venti minuti a brano, ma con un’urgenza e una libertà che non provavo da anni.
Quali sono state le vere difficoltà nel cambiare rotta rispetto alle cose fatte in passato?
La vera difficoltà è stata proprio non cadere nei cliché della musica italiana. Lavorare con una persona più giovane di me, che ha una scrittura e una visione del tutto diverse, mi ha portato continuamente fuori strada in senso positivo. I testi erano già scritti – eppure avevano una metrica particolare, claudicante, ma funzionavano benissimo così. Io di solito cerco la melodia, qui invece era tutto molto più diretto, a tratti spigoloso. Ho lasciato che la voce di Susanna venisse fuori così com’era, senza aggiustamenti. Il sound poi è volutamente sporco, con basi ipnotiche che richiamano un po’ la new wave britannica, ma con un’identità nostra, mai imitativa.
Cosa c’è dietro questa “purezza” che permea il disco?
Credo sia tutto nella libertà che ci siamo dati. Ne parlavamo spesso anche durante la produzione: ti rendi conto che oggi chi ha la mia età, con questa esperienza, molto spesso preferisce fare da produttore per qualcuno giovane, indirizzare. Io ho voluto esserci in pieno. Nessun compromesso: non volevo un ruolo alla Warhol per i Velvet Underground, per capirci, ma essere parte totale del suono e della direzione. È una scelta senza calcolo, che poteva essere rischiosa – ma mi piace proprio per quello. Sono sempre convinto che la musica più autentica nasca dal buttarsi, dal correre il rischio di sbagliare e anche di essere fraintesi.
LaLadra è anche un disco che parla molto dell’attualità giovanile, anche grazie ai testi di Susie. Che impatto ha avuto su di te questo dialogo generazionale?
È stato dirompente. Alcuni temi dei suoi testi per la mia generazione sono alieni: parlo del rapporto con la solitudine digitale, con l’immagine, con la pressione sociale. Io nella mia adolescenza non avevo i social, non esisteva questa paranoia diffusa sul cibo, sulla dieta, sui problemi del nichel presente negli alimenti, su essere astemi per ansia e non perché non ti piace bere… Susanna scrive su tutto questo con uno stile franco, personale, a volte anche destabilizzante. Ho lasciato massima libertà e questa autenticità ha pervaso tutto l’album.

Dal punto di vista musicale, che influenze avete portato in studio?
Io vengo dal rock, dal post-punk, dalla new wave anni Ottanta – sono un grandissimo fan di P.I.L. e New Order – e resto legato alle influenze di quell’epoca anche nei suoni. Ma con LaLadra non volevamo un disco-nostalgia. Ho lavorato su elettronica, basso, chitarra, batteria, lasciando ampio campo anche all’improvvisazione. Ho affidato il mastering a Daniele Bagnoli, che è un fonico abituato all’elettronica, proprio per evitare il rischio di ricadere nel suono “italiano” tradizionale. Il risultato è un album ibrido, che a tratti è ballabile e a tratti molto intimo, con passaggi quasi da reading. Una roba difficile da definire, e forse è il suo maggior pregio.
Questo progetto ha avuto anche subito una dimensione “dal vivo” e ti ha riportato nei locali “veri”…
Sì, e ci tengo molto. Ho già portato LaLadra in giro per piccoli club, per locali con biglietti “veri”, non concerti sponsorizzati. La risposta è stata fortissima: locale pieno a 18 euro, tutto esaurito a 12 euro già al secondo live. È la prova che la gente ha voglia di novità, di dischi che nascono e crescono anche dal basso, senza passare dai circuiti classici e senza pensare subito al mainstream. L’interazione tra due generazioni diverse funziona molto e cambia anche l’atmosfera sul palco.
Cosa ci sarà dopo LaLadra? Come vedi il futuro di questa collaborazione?
Abbiamo già tanti pezzi pronti che non sono finiti nel disco, c’è fermento: Susie continua a mandarmi testi su WhatsApp, ha un’urgenza comunicativa impressionante. Il bello è sapere che tutto è ancora aperto: i concerti dal vivo stanno funzionando, l’album è uscito anche in vinile (con una piccola etichetta, che ci ha creduto davvero), e per la prima volta da anni sento di essere davvero nel flusso della creatività. Non posso dire quanto durerà o come evolverà, ma è un progetto che vale la pena vivere proprio per la sua imprevedibilità.

