03/10/2011

DAVID CROSBY

Una leggenda in 15 minuti

Lunedì 12 settembre. A Milano sono le 19.20, ma noi di JAM portiamo gli occhiali da sole perché stiamo per fare un’incursione sulla West Coast. Nella Città degli Angeli sono le 10.20 del mattino, dall’oceano spira una leggera brezza che scompiglia i capelli e nell’aria risuonano incantevoli armonie vocali. Sarà il potere della suggestione, sarà il sogno americano, sarà la nostalgia di quei giorni dorati in cui pace, amore e musica sembravano essere le uniche risposte possibili… O forse sarà che abbiamo un appuntamento con David Crosby, colui che insieme a Stephen Stills, Graham Nash e Neil Young ha regalato al mondo alcuni tra i momenti più indimenticabili della storia della musica.
Il mondo nel frattempo è cambiato, in peggio, ma ci sono artisti che non si arrendono e continuano a lottare per trasformarlo in un posto migliore. Sono centinaia le domande che vorremmo fargli, ma il nostro “stargate telefonico” rimarrà aperto solo 15 minuti, nell’arco dei quali tenteremo di abbozzare un ritratto dell’artista maturo e proveremo a scattare un’istantanea all’uomo che si nasconde dietro la leggenda. Poi, frastornati, riprenderemo il cammino… homeward through the haze.
Innanzitutto auguri! Il 14 agosto hai compiuto 70 anni. Come ci si sente ad essere ancora on the road e al top della forma vocale?
«Sono sbalordito (ride, nda). Mi sento magnificamente bene e i miei amici dicono che canto ancora in modo eccellente, quindi non posso che ritenermi soddisfatto».
Al momento sei in tour con Graham Nash, non vediamo l’ora di venirvi a sentire il 30 ottobre al Teatro Smeraldo.
«Credo proprio che vi piacerà, perché abbiamo un’ottima band, siamo molto affiatati e stiamo suonando alla grande».
Stephen Stills e Neil Young hanno riunito i Buffalo Springfield per una serie di date. C’è qualche possibilità che succeda anche ai Byrds?
«Purtroppo no, Roger McGuinn non vuole…».
Puoi svelarci qualcosa sul nuovo, attesissimo album di cover firmato CSN?
«Mmm… con Rick Rubin non ha funzionato… non si è creata la giusta alchimia. Abbiamo deciso di occuparci noi stessi della produzione. In fondo abbiamo prodotto anche tutti quelli precedenti…».
Oggigiorno molte band emergenti vi citano tra le loro maggiori influenze. Ce n’è qualcuna in particolare che ritenete degna di tramandare la preziosa eredità artistica di CSN?
«Certo, ma non mi sembra corretto nominarne una sola. Ci sono diversi gruppi emergenti che stanno facendo un ottimo lavoro e che si dedicano alla musica con grande impegno e passione».
Puoi dirmi almeno cosa pensi dei Fleet Foxes, visto che sono da molti considerati legittimi eredi di CSN?
«Vado a sentirli domani sera… (ride, nda)».
Allora ti piacciono?
«Yesss.».
Ho letto una tua citazione: «I discografici non saprebbero riconoscere una canzone neanche se gli volasse su per il naso e morisse come una mosca». Cosa deve fare oggi un artista emergente per sopravvivere nel music business?
«Tutto ciò che puoi fare è mettere la tua musica in Rete e sperare di riuscire ad attirare l’attenzione di qualcuno. È molto dura. Ormai suonare dal vivo è rimasto l’unico modo per fare soldi e mantenerti in attività. Tutti noi vogliamo continuare a pubblicare i nostri album, in modo che la gente possa ascoltarli. Internet è rimasto l’unico mezzo che ci consente di farlo».
Credi che alla fine la Rete salverà o distruggerà la musica?
«Non lo so, non ne ho idea. Sicuramente la cambierà, ma non sono in grado di dire se finirà per salvarla o distruggerla… So però che la musica e il music business sono due cose completamente diverse. La musica è magia, ha a che fare col genere umano, quando i primi uomini delle caverne hanno iniziato a danzare intorno al fuoco ululando alla luna. Il music business, invece, è tutta un’altra faccenda… non credo di poter fare un pronostico su come andrà a finire, ma sarà interessante scoprirlo».
Sempre parlando di Internet, so che ti piace passare del tempo on line.
«Sì, è vero, mi piace comunicare con la gente attraverso la Rete, lo trovo molto affascinante».
E navigando si possono anche incontrare persone interessanti… È vero che hai fatto amicizia con un tale che ti ha proposto: «Ti faccio volare con il mio aereo per un intero pomeriggio se mi insegni gli accordi iniziali di Carry Me»?
«Sì (ride, nda), è vero… È andata a finire che ho preso il brevetto e per un certo periodo di tempo ho anche posseduto un aereo tutto mio».
Ieri era il decimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle. Sembra incredibile che siano già trascorsi 10 anni da quando New York è stata colpita al cuore. Vorresti condividere con noi un ricordo di quel giorno?
«Ovviamente si tratta di una ferita ancora aperta, ma quel che mi fa stare peggio è ciò che è successo dopo l’11 settembre. La gente che ha partorito quello scempio, chi ha messo i dirottatori su quegli aerei ha ottenuto esattamente ciò che voleva: cioè provocare gli Stati Uniti per fare in modo che interferissero nella politica del Medioriente invadendo i suoi stati. Hanno fornito al mondo musulmano un’ottima ragione per odiare l’Occidente e viceversa. Hanno centrato in pieno il loro obiettivo… è terribile».
C’è qualche giovane artista che ammiri per l’impegno civile e politico, qualcuno che usa ancora la musica per opporsi a questa dilagante military madness, come la chiamerebbe Nash?
«Ce ne sono diversi, ma preferisco non nominarne uno in particolare. Se ti guardi attorno puoi trovare un sacco di splendide canzoni scritte da giovani artisti… Canzoni anti-militariste, anti-nucleari, canzoni contro la guerra, in difesa dei diritti civili o dei diritti umani. Ci sono molti bravi artisti in circolazione che riescono a vedere il mondo per ciò che è realmente, artisti che scelgono di non chiudere gli occhi e dire la verità».
Quindi, secondo te, la musica può ancora essere considerata un punto di riferimento importante a livello sociale? Le canzoni possono ancora fare la differenza?
«Assolutamente sì. Sono sicuro che, in questo preciso momento, ci sono ragazzi in Italia che stanno scrivendo canzoni sul governo, sulla corruzione e su tutto ciò che sta succedendo. Le loro canzoni influenzeranno altri ragazzi, e ognuno di loro potrà fare la differenza sul modo in cui il tuo paese uscirà da questa situazione».
A proposito di situazioni complesse, oggi c’è stata un’altra esplosione, questa volta nella centrale nucleare di Marcoule, nel sud della Francia. Il 7 agosto, allo Shoreline Amphitheatre di Mountain View, California, insieme a Stills, Nash, Jackson Browne, Bonnie Raitt, Doobie Brothers e molti altri artisti hai preso parte al concerto benefico MUSE, Musician United For Safe Energy, i cui ricavi verranno devoluti ad associazioni antinucleari e alle vittime di Fukushima. Puoi raccontarci qualcosa?
«Molti grandi personaggi ritengono che l’energia nucleare non sia la scelta giusta, per questi motivi: primo, gli esseri umani commettono errori, è nella loro natura, e nel caso delle centrali nucleari un solo errore può costare la vita a milioni di persone. Secondo, Madre Natura può prendere a calci nel culo qualunque centrale nucleare in qualsiasi momento… mi riferisco a terremoti, maremoti, ecc… Guarda cos’è successo a Fukushima, e non c’è stato niente che l’uomo potesse fare per impedirlo. Il terzo motivo è che non sappiamo dove mettere le scorie nucleari, non c’è un posto in cui poterle smaltire in modo sicuro. Nessuno lo fa. Bastano questi tre motivi – anche se ovviamente ce ne sono moltissimi altri – per capire che non si tratta di una grande idea. La mia paura è che l’avidità incontrollata delle compagnie che gestiscono l’energia le spingerà a continuare nel loro folle progetto. Continueranno a costruire e utilizzare centrali nucleari finché non succederà un vero disastro: quando un’esplosione raderà al suolo una grossa città causando 2 o 3 milioni di vittime, allora forse si fermeranno».
Tornando a parlare di musica, com’è cambiato il tuo songwriting con il passare degli anni?
«Io credo di essere migliorato, ma staremo a vedere (ride, nda). Sto lavorando a un nuovo album solista e quello sarà l’unico modo per giudicare il mio songwriting. Mi piace comporre in ogni modo possibile. A volte mi viene prima la musica, altre volte le parole, e altre ancora tutte e due insieme. Può succedere in mille modi diversi, e li amo tutti quanti (ride, nda)».
Le barche, da sempre una tua grande passione, sembrano strettamente connesse al tuo songwriting. È una specie di processo magico, curativo comporre tra le braccia dell’oceano?
«Già, proprio così, e la cosa triste è che sarò costretto a vendere la mia barca… non posso più permettermela».
E i CPR, vi vedremo ancora dal vivo?
«I CPR non facevano abbastanza soldi per mantenerli in vita. Al tempo in cui la band era un progetto parallelo a CSNY guadagnavo abbastanza da non dovermi preoccupare se i CPR avessero o meno un ritorno economico. Adesso invece non posso permettermi di continuare a finanziare una band che a malapena copre le spese».
Come ti sei sentito ad avere la possibilità di iniziare una seconda vita, musicale e non, con tuo figlio James Raymond?
«È stato fantastico, James ha un talento straordinario».
Quando suonate insieme, riuscite ad avvertire il legame di sangue che vi unisce?
«Certo, siamo come due radio sintonizzate sulla stessa lunghezza d’onda. Ognuno riesce a prevedere quale sarà la prossima mossa dell’altro. Però James è un musicista molto più dotato di me».
Nella seconda metà degli anni 90 ti sei sottoposto a un trapianto di fegato, è venuto alla luce tuo figlio Django e hai ritrovato James. Il tutto nel giro di poco tempo…
«È stato pazzesco. Mi sono sentito l’uomo più fortunato del mondo, sotto ogni punto di vista. Sono molto grato per i doni che ho ricevuto».
Ripensando al tuo lungo percorso nella musica, qual è il più grande obiettivo che hai raggiunto?
«Spero di aver dato il mio contributo al mondo scrivendo qualche buona canzone».

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