Eric Clapton, il report del concerto al Forum di Assago (Milano)
Un Eric Clapton in grande forma fisica e artistica quello apparso all’età di 77 anni sul palco del Forum di Assago
C’è stato un tempo in cui il suono di una chitarra elettrica era frutto delle caratteristiche dello strumento, dell’interazione dello stesso con l’amplificatore e con qualche piccolo effetto e, che soprattutto si plasmava grazie alle mani e alle dita del musicista. In quel modo la sei corde acquisiva un timbro unico e una voce inconfondibile che si identificavano con il chitarrista stesso.
60 anni dopo, esattamente allo stesso modo, la voce della chitarra di Eric Clapton è tornata a farsi sentire.
Sul palco del Forum di Assago (terza e ultima delle date italiane del suo tour 2022) accompagnato da una band stratosferica (nella quale spiccavano, tra gli altri, i fidi Nathan East al basso e Chris Stainton al pianoforte) il musicista inglese in grande forma fisica e artistica a 77 anni ha incantato il pubblico presente.
Il suono unico della sua Fender Stratocaster, quella voce satura, seducente, grintosa e ficcante al tempo stesso il cui timbro ammaliante che ancora strizza l’occhio (e l’orecchio…) a quello dei suoi eroi B.B King o Freddie King, è rimasto integro, cristallino e impeccabile come quando, nel 1966, sui muri di Londra qualcuno scriveva che “Clapton era dio”. Ma orami da tanto tempo, Eric non è solo una divinità della sei corde ma un musicista completo, raffinatissimo le cui doti vocali sono pari a quelle di compositore come dimostrano ballad struggenti quali River of Tears, Tears in Heaven, Layla (qui riproposta in chiave acustica come nel celebre Mtv Unplugged).
È però il blues il fil rouge della sua vita. La musica che l’ha formato, quella che ha amato, quella che non ha mai tradito e che non lo ha mai abbandonato, quella che ancora oggi lo entusiasma nel momento in cui la suona.
Il repertorio dei concerti italiani lo conferma: classici della musica del diavolo come Key To The Highway o Hoochie Koochie Man, perle dei Cream come Crossoroads e Badge, o persino la Nobody Knows You when You’re Down and Out della imperatrice del Blues Bessie Smith regalata nel corso del siparietto acustico insieme a alla fascinosa Country Boy di Chuck Brown la fanno da padrone.
Non solo. Le svisate solistiche di Clapton (insieme a quelle altrettanto efficaci del texano Doyle Bramhall, chitarrista mancino di straordinaria abilità) che si alternano a quelle del piano di Chris Stainton e dell’Hammond del formidabile Paul Carrack trasudano blues in ogni passaggio. Le immancabili hit Wonderful Tonite o le riletture “claptoniane” di I Shot The Sheriff e della Cocaine del suo vecchio amico J. J. Cale chiudono il cerchio.
Il tempo di un bis trascinante (la High Time We Went dal repertorio di Joe Cocker qui cantata magistralmente da Paul Carrack con ospite la chitarra di Robben Ford, che aveva aperto il concerto) e gli artisti salutano il pubblico dopo circa un’ora e mezza di grande musica che ha lasciato in noi la sensazione di aver assistito ancora una volta a un evento eccezionale. Come le altre grandi leggende del rock, anche Clapton ci fa pensare di essere stati una generazione fortunata. Che ha potuto ammirare su un palco artisti come Eric Clapton, Bob Dylan, Paul Mc Cartney o Rolling Stones paragonabili alle menti più geniali della razza umana. È come aver visto Picasso dipingere, Shakespeare scrivere una pièce teatrale, Mozart suonare o Leonardo inventare. Una cosa da fare invidia ai pronipoti…