Lucinda Williams live a Milano, il report (10.01.2023)
Un inizio complicato, ma poi…
Il Teatro Lirico di Milano, ora intitolato a Giorgio Gaber, dopo la sua lunga forzata inattività per ristrutturazione, riapre ai concerti rock. Lo scorso 10 gennaio, a onorare il palco, è arrivata Lucinda Williams. Tra il pubblico, in gran parte costituito non certo da giovanissimi, c’era grande attesa anche per capire se Lucinda dopo l’ictus, che l’aveva colpita due anni fa, si era completamente ristabilita.
Preceduta dalla band californiana di L.A. Edwards che ha scaldato la sala con il suo repertorio di ballads dal sapore country blues, Lucinda arriva sul palco appoggiandosi al tour manager che ne accompagna la camminata malferma fino al microfono. Ad accoglierla un’autentica ovazione.
Le prime canzoni che propone, Blessed e Protection, sono viziate da un fastidio alla gola che la Williams, visibilmente infastidita, cerca di combattere a suon di spray e sorsate di acqua; poi, poco per volta, magicamente, le cose si mettono a posto e la cantaurice di Lake Charles, Louisiana, infila una ventina di brani in maniera eccellente, con una voce dal tono un po’ più roco del solito, ma sempre evocativo e potente. A sostenerla sul palco, come del resto in sala d’incisione, un gruppo affiatato di musicisti: Doug Pettibone alla pedal steel e alla chitarra solista che si alterna a quella ritmica con Stuart Mathis, David Sutton al basso e Butch Norton alla batteria.
Ci si aspettava una ripresa quasi totale dell’ultimo album che risale al 2020 Good Souls Better Angels e, invece, di quel lavoro ha optato solo per tre pezzi: la bellissima Big Black Train, tenera metafora per parlare di tutti i problemi e le disillusioni che ci opprimono, Pray The Devil Back To Hell, pregna di tutti i fantasmi che si affacciano nella nostra mente, e You Can’t Rule Me, una precisa denuncia del presidente Trump, ancora in carica nel momento in cui uscì l’album: “Tu sei un uomo senza verità / Un uomo rapace / Un uomo di odio / Un uomo di invidia e dubbio / un uomo senza un’anima”. Sullo stesso tema esistenziale e di denuncia è proseguito l’intero concerto che ha poi presentato altri brani potenti come Drunken Angel e Right In Time, tratti da Car Wheels In A Gravel Street, forse il suo album più bello, Are You Down e Essence dall’album omonimo, e poi quella bellissima dichiarazione d’amore che è Stolen Moments e ancora Born To Be Loved, in cui si esprime la convinzione che essere amati sia il vero senso della nostra vita.
Il tempo scorre veloce, le canzoni si alternano una dietro l’altra solo con brevi commenti riguardo alla medesime e si arriva così a Joy che chiude la serata. C’è ancora spazio per tre bis: Hot Blood, Righteously e la mitica Rockin’ In The Free World, presa in prestito da Neil Young, che vede il pubblico alzarsi in piedi a cantare con lei e a ripagarla con così grande affetto per un’esibizione generosa, sicuramente faticosa, ma capace di dimostrare che Lucinda Williams, nonostante tutti i suoi problemi, c’è e non si tira indietro.