31/10/2013

Big Easy Express

Una jam session su rotaie lunga quattromila chilometri. Protagonisti: Mumford & Sons, Edward Sharpe & The Magnetic Zeros, Old Crow Medicine Show

SULLE TRACCE DEL MITO
«E così ero arrivato di nascosto a San Francisco, come dicevo, percorrendo 4800 chilometri da casa mia a Long Island (Northport) in un piacevole scompartimento riservato sul California Zephyr guardando l’America scorrere fuori del mio finestrino-cinema, proprio felice per la prima volta in tre anni […] Su per l’Hudson Valley e attraverso lo Stato di New York fino a Chicago e poi le pianure, i monti, il deserto, le ultime montagne della California, tutto così comodo e come un sogno in confronto ai faticosi autostop di un tempo prima che guadagnassi abbastanza per poter prendere i treni intercontinentali (in tutta l’America i giovincelli delle medie e dell’università pensano “Jack Duluoz ha ventisei anni e non fa che viaggiare con l’autostop”, mentre invece eccomi qui quasi quarantenne, tediato e logoro sulla cuccetta di uno scompartimento riservato che corre rombando attraverso Salt Flat)…».
Così scriveva Jack Kerouac nelle prime pagine di Big Sur, pubblicato nel 1962, pochi anni prima della sua morte. Un uomo «tediato e logoro», in fuga dal proprio mito, si rifugiava nel bungalow dell’amico Lawrence Ferlinghetti per combattere i propri demoni lontano dal mondo e cullato dai suoni catartici dell’Oceano Pacifico.
Quel mito così ingombrante, però, non si consumerà, nemmeno dopo aver nutrito la fame d’avventura di milioni di «giovincelli» a cui Kerouac, con la forza dirompente delle proprie parole, ha regalato sogni e speranze, dimostrando che la libertà è sempre stata lì a portata di mano, fuori dalla porta di casa… sulla strada.
Nella primavera del 2011 Mumford & Sons, Edward Sharpe & The Magnetic Zeros e Old Crow Medicine Show hanno intrapreso un viaggio a ritroso nel tempo per andarla a cercarla quella libertà. E, come Kerouac, l’hanno fatto a bordo del California Zephyr, uno splendido treno d’epoca della AMTRAK (National Railroad Passenger Corporation). Quindici carrozze, sei città, quattromila chilometri da Oakland, California, a New Orleans, Louisiana, percorsi in soli dieci giorni. E soprattutto tanta, tantissima musica dal vivo. Questo il riassunto in cifre del Railroad Revival Tour, un’entusiasmante cavalcata musicale lungo la costa ovest degli Stati Uniti che il regista Emmett Malloy ha immortalato nel film-documentario Big Easy Express. Come se la sarà cavata un veterano dei surf movies su un treno in corsa, alle prese con tre giovani band incredibilmente creative e iperattive? A quanto pare non è stata una passeggiata ma, dopotutto, surf e musica non sono poi così distanti… parola di regista.

Emmett, come sei stato coinvolto nel progetto?
«Grazie al mio buon amico Jack Johnson, col quale collaboro da tempo. I suoi figli adorano Edward Sharpe & The Magnetic Zeros, così quando la band ha suonato alle Hawaii mi ha chiesto di procurargli dei buoni biglietti. Il giorno dello show il loro manager ha raccontato a Jack che stavano organizzando un tour a bordo di un treno e che erano alla ricerca di un regista. Lui ha fatto il mio nome ed è venuto fuori che tutte e tre le band avevano apprezzato molto il documentario che avevo girato con i White Stripes [Under Great White Northern Lights, 2010]. Senza neanche rendermene conto mi sono ritrovato a mangiare un’omelette in compagnia di Alex Ebert [vero nome di Edward Sharpe] e a parlare del film».
Prima di salire a bordo avevi già le idee chiare su cosa e come girare?
«La mia immaginazione volava alta… mi vedevo già approntare scene in cui i Mumford, inseguiti da uno stormo di vecchi aeroplani, saltavano sul treno in corsa. Mi sarebbe tanto piaciuto mettere in scena una grande rapina a cavallo con protagonisti gli Old Crow, o riprendere la tribù di Edward Sharpe mentre suonava sul tetto del treno in un particolare momento della giornata. Purtroppo mi sono reso conto velocemente che c’era un regolamento molto severo al quale attenersi: tutto ciò che ci era permesso fare era caricare e scaricare l’attrezzatura alle fermate programmate. Così ho abbracciato una filosofia del tipo “stiamo a vedere che succede”, cercando di cogliere l’attimo».
Che tipo di attrezzatura avete usato?
«Abbiamo girato in gran parte su pellicola da 16 mm. Poi abbiamo utilizzato delle telecamere Canon 5D e alcune Super8. La pellicola era l’ideale per catturare lo spirito delle band e la magia di quello splendido treno d’epoca».
Com’era l’atmosfera a bordo?
«Ogni carrozza era un’opera d’arte originale, fin nei dettagli. È stato come viaggiare in una macchina del tempo ed essere catapultati all’epoca di Woody Guthrie. Eravamo la bellezza di 150 persone e non ci sono mai stati problemi. In breve tempo la mia troupe è diventata a tutti gli effetti la quarta band. Eravamo spiriti affini. Una cosa del genere non succederà mai più. Mi ha regalato un po’ di speranza per il futuro della musica».
È stata dura girare su un treno in corsa?
«È stato estenuante. Il treno era lungo circa 400 metri e percorrerlo da un capo all’altro richiedeva almeno un quarto d’ora. Ti ritrovavi a barcollare tra le pareti del corridoio, e per passare da una carrozza all’altra dovevi aprire quattro pesanti porte. Come se non bastasse la carrozza che conteneva la nostra attrezzatura era posizionata dalla parte opposta rispetto a quella dove succedevano le cose più interessanti; e non avendo delle radio per comunicare, percorrevamo il treno avanti e indietro a caccia di immagini».
L’uso del bianco e nero alternato al colore è molto efficace…
«In questo tipo di film devi escogitare qualcosa per dare una sensazione di movimento e catturare l’attenzione dello spettatore. Ho discusso a lungo con il direttore della fotografia Giles Dunning su quale fosse il formato più adatto a catturare al meglio ogni tappa del viaggio: per esempio la tecnica del color reversal si è rivelata perfetta per le scene di Edward Sharpe nei campi di Marfa, Texas. Direi che abbiamo fatto le scelte giuste».
Guardando il film è impossibile non pensare a The Last Waltz e, soprattutto, al tour su rotaia del 1970 con Janis, i Dead, The Band…
«Il documentario Festival Express ha avuto una grande influenza sia su di me che sulle band. In questo senso Big Easy Express è un passaggio di testimone, un modo per tramandare quell’esperienza alla nostra generazione. The Last Waltz, poi, è un’influenza costante, in ogni mio film».
Anche i film sul surf girati con Jack Johnson saranno stati d’aiuto. Il surf, come la musica, è un’eterna ricerca…
«Hai colto l’essenza della questione. In quel caso siamo partiti dalla sensazione che la gente sarebbe stata affascinata non solo dalle onde, ma anche dai lunghi viaggi intrapresi per andarle a scovare. Ho applicato la stessa filosofia a Big Easy Express».
C’è qualche legame con il film sui White Stripes?
«Sono facce della stessa medaglia: Under Great White Northern Lights è più introspettivo, Big Easy Express più estroverso. In entrambi i casi si tratta di band particolarmente creative alle prese con esperienze/luoghi inediti. Se il primo film ha catturato lo scioglimento di uno dei miei gruppi preferiti di sempre, girare Big Easy è stato come dare una sbirciatina al futuro della musica».
A proposito di sbirciare, c’è qualche scena che ti hanno chiesto di tagliare?
«L’unica è la funzione religiosa officiata la mattina di Pasqua, sul treno, dal padre di Ketch [Secor] degli Old Crow. È uno dei ricordi più belli, ma abbiamo preferito tenerlo per noi».
Il film si chiude sulle note di una splendida train song…
«Desideravo che quest’avventura fosse impreziosita da un brano originale. Durante il viaggio ne ho parlato con Alex [Ebert] e lui ha scritto Train In The Sky. Sono felice di averglielo chiesto».
C’è stata una tappa per te particolarmente significativa?
«Ognuna ha avuto la sua bella dose di ansia. Il treno degli hippie veniva sempre per ultimo… eravamo continuamente soggetti a cambi di rotta e lunghe attese per dare la precedenza ai treni merci e a quelli di linea. Rispettare la tabella di marcia è stata una vera impresa… gli Old Crow spesso e volentieri saltavano direttamente dal treno al palcoscenico. Probabilmente la tappa più memorabile, per me, è stata quella di Austin perché ci siamo fermati un po’ più a lungo in città, abbiamo avuto la possibilità di coinvolgere la Austin High Marching Band… e la visione delle nuvole apparse durante l’esibizione di Edward Sharpe rimarrà per sempre scolpita nella mia mente».

BOUND FOR GLORY
Il vecchio treno avanza sferragliando attraverso le montagne. Jade Castrinos (cantante di Edward Sharpe & The Magnetic Zeros) esce da una cabina. I capelli rossi raccolti da un nastro, un vestito leggero a fiori e uno zainetto in spalla. Mentre scorrono i crediti iniziali, avanza di carrozza in carrozza, presentandoci i protagonisti di questa coinvolgente jam su rotaie. I Mumford & Sons ci accolgono intonando Banjolin Song. In un vagone ristorante trasformato in sala prove, gli Old Crow Medicine Show si scatenano sulle note di John Henry mentre un barman prepara dei cocktail. C’è chi ammira il paesaggio fuori dai finestrini, chi prepara da mangiare in una piccola cucina. Nel vagone occupato dalla comune hippie di Edward Sharpe la band, disposta in cerchio, sta suonando If You Wanna. Jade si unisce a loro, mentre Alex Ebert – scalzo, giacca bianca, cappello bianco e mutandoni lunghi stile western – ci spiega il senso di questa avventura: «Circa 160 persone a bordo di un treno diretto a New Orleans… faremo musica. A chi ci chiede perché, rispondiamo “Niente di speciale, vogliamo solo suonare su un treno attraverso il Paese”. In realtà suoneremo musica su un treno con il Paese, attraverso il Paese, per guardarlo con gli occhi di chi lo guardava più di cento anni fa, quando noi eravamo dei bambini sognanti… Per elevare noi stessi e il mondo con cui veniamo a contatto… e ritrovare l’antica magia».

«Qualunque talento tu abbia sei il benvenuto in questo tour, la jam è aperta a tutti», dice Marcus Mumford. Questi musicisti hanno suonato senza inibizioni e senza sosta per quattromila chilometri, utilizzando qualunque strumento gli capitasse a tiro, dividendo gli stessi palchi e lo stesso treno. Gli scintillanti vagoni del California Zephyr hanno trasportato questa neverending jam dalla California giù fino in Louisiana, attraversando Arizona, New Mexico e Texas sulle note di This Train Is Bound For Glory di Woody Guthrie, scelta come inno del «tour dei nostri sogni», come l’ha definito Winston Marshall dei Mumford & Sons.

Le immagini di Big Easy Express rievocano la magia di Festival Express, ma anche della Rolling Thunder Revue dylaniana. Sul treno puoi sentire di tutto, da K. C. Moan di Tewee Blackman a Cantaloupe Island di Herbie Hancock. E ad ogni tappa, sul palco, si rinnova la magia: gli Old Crow Medicine Show impartiscono affascinanti lezioni di storia della musica americana; l’impeto emozionale dei Mumford & Sons galvanizza la folla e i riti sciamanici di Edward Sharpe & The Magnetic Zeros la mandano in trance.
Una volta giunti a New Orleans, la magica Big Easy, la jam esplode in una spettacolare versione corale di This Train Is Bound For Glory, e i titoli di coda scivolano sulle note di Train In The Sky: «La fine è arrivata dolcemente / Nella notte un cerchio dorato ha mostrato la sua luce / Anche se ci diciamo addio / Facciamo in modo che questa amicizia non finisca mai / E faremo per sempre dolci sogni sul treno che sfreccia nel cielo».

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