26/07/2015

Luca Masperone, Giochi Di Maschera

La sua positività lo porta a comunicare a 360 gradi in ambito musicale. Noi lo abbiamo intervistato perché da poco ha anche pubblicato il suo primo album solista
(foto di David Schivo)
 
Il primo singolo estratto dall’album è Chi Ci Crede. Il video del brano, girato nel ponente ligure in una location ispirata al film Blade Runner di Ridley Scott, vede la partecipazione della ballerina Margherita De Pieri, alla produzione Eugenio Ripepi, alla regia Andrea Languasco e alla fotografia Fabio Zenoardo. Il discorso della nostra intervista inizia però dalla copertina del nuovo disco: «Il concept dell’artwork è legato a Genova e infatti, come puoi vedere, c’è proprio la cartina, oltre alla mia foto – dice e poi aggiunge: E ci sono anche alcune vecchie vie della città… Sul cd pure continua la cartina e poi vedi, qui si completa».
Appare molto orgoglioso Luca Masperone già nel momento in cui parla appunto della copertina del suo primo album solista Giochi di Maschera.
Classe 1983, Luca è un cantautore e un chitarrista. La sua attività nell’ambito musicale si estende anche in altri ambiti come quello di giornalista per la rivista Strumenti Musicali.
 
Avviciniamoci però un po’ alla volta alla sua positività che lo porta a comunicare a 360 gradi in ambito musicale…
 
Di chi è stata l’idea della copertina?
L’idea è stata di David Schivo, un fotografo di Roma. La foto davanti è “invecchiata”, “seppiata”, poi suono una Fender Stratocaster Vintage, riedizione di un modello del ’68, e anche il vestiario è evocativo, con il cappello in stile Lucio Dalla ecc.
Un po’ di rock, un po’ di cantautorato…
 
Prima dell’album hai suonato in cinque stati in una tournée americana. Com’è andata?
Bene. Lì però ho suonato con i Clark Kent Phone Booth, trio creato da Emanuele Dabbono, adesso anche autore di Tiziano Ferro che nel disco ha partecipato anche al brano Non verrò mai, e con Santo Florelli, batterista italiano che vive negli Stati Uniti. Con loro avevamo fatto un disco elettrico e un disco acustico, proprio nel senso preciso del termine e in riferimento agli strumenti usati. Gli album sono usciti uno dopo l’altro ed entrambi sono andati nelle top ten rock di iTunes. È un trio senza basso e quindi se Emanuele suona la chitarra più bassa, io faccio cose più in alto e viceversa. I cinque stati nei quali ci siamo esibiti sono: New York, New Jersey, Massachusetts, Ohio e Pennsylvania. Poi, dopo la tournée, ho iniziato a dedicarmi a Giochi Di Maschera.
 
Quando hai conosciuto Bob Callero e Marco Cànepa?
Bob Callero ha suonato tra gli altri con Battisti, Battiato e Finardi. L’ho incontrato la sera fuori da un locale e, dopo che ci siamo conosciuti, gli ho fatto ascoltare i miei pezzi voce e chitarra. A lui poi sono piaciuti e ha voluto suonare il basso. Bob ha suonato il basso in tutti i pezzi e ha suonato anche il chapman stick. Pensa che su uno dei due stick suona con un’accordatura ideata dallo stesso Emmett Chapman di cui lui stesso non si ricorda più nulla e di cui nessuno dei nuovi dell’azienda ha mai saputo niente! Lui è co-arrangiatore dei pezzi e per quattro mesi abbiamo fatto il lavoro insieme.
Marco Cànepa è arrivato immediatamente dopo. Bob mi ha presentato Cànepa ed è stato lui il produttore artistico del lavoro, oltre che l’ingegnere del suono. Marco ha suonato anche in Song For Pat, uno dei due pezzi strumentali.
Poi Stefan Noltemeyer, tecnico che lavora pure per la Sony tedesca, ha masterizzato il disco a Berlino. Questa cosa è arrivata grazie a Cànepa. Stefan è stato paziente e mi ha anche masterizzato un paio di pezzi in due versioni alternative con sfumature minime che solo io che li ho registrati riesco a notare. Poi ovviamente in entrambi i casi ho scelto le versioni che ritenevo migliori.
 
Parliamo dei due brani strumentali, Lo Specchio e Song For Pat, e magari partiamo proprio da quest’ultimo, visto che ne hai fatto cenno poco fa…
Beh, Pat è Pat Metheny. Mi ha sempre affascinato il suo modo di usare la chitarra acustica. Accordata in maniera particolare, suonata in maniera particolare, veramente suggestiva. Lui non suona in modo melodico, suona in modo ritmico. È un treno che passa, un fiume in piena e io ho voluto fare un pezzo in cui suono col plettro e metto un’idea in omaggio a Pat Metheny. C’è anche la parte elettronica fatta da Marco e tutta l’atmosfera intorno proprio perché non doveva essere una brutta copia di un pezzo di Metheny. Il pezzo è stato registrato al volo.
Lo Specchio è un brano completamente diverso. È molto arrangiato, studiato e pensato e ci sono molti strumenti diversi. Già io ne Lo Specchio suono chitarra classica, acustica ed elettrica…
 
Come nascono invece i tuoi testi?
Ho più modi di scrivere. A volte prima la musica e poi il testo, altre volte il contrario. Per esempio Chi Ci Crede era una riflessione sul tema della sincerità, su Giochi Di Maschera volevo esprimere l’idea che a volte abbiamo maschere oppure non le abbiamo e siamo condizionati dal fatto di doverne scegliere una a tutti i costi. Questi brani sono nati tutti dall’idea di Giochi Di Maschera. Sono tutte storie diverse per arrivare a una conclusione, non proprio una morale ma una conclusione. Ogni brano sviluppa un’idea da comunicare.
 
Il brano Giochi Di Maschera poi riprende anche il teatro-canzone di Giorgio Gaber e Sandro Luporini…
Sì sì, e se dovessimo fare un video dovremmo seguire proprio la storia, diversamente da quello di Chi Ci Crede che segue più la musica. Quest’uomo si sveglia nudo e cerca di capire quale maschera indossare. Sicuramente c’è molta ironia nella canzone, è anche un po’ autoironica. Le immagini sono un po’ particolari e il personaggio veste vari stereotipi, per poi rigettarli in qualche modo. Alla fine decide quindi di restare nudo e di non indossare nessuna maschera.
Idealmente in Chi Ci Crede la persona è la stessa rimasta nuda alla fine di Giochi Di Maschera. I due brani sono collegati.
Ma anche essere totalmente sinceri può creare problemi: soprattutto si rischia di risultare troppo sopra le righe e di non essere creduti fino in fondo, come accade appunto in Chi Ci Crede. Il personaggio che interpreto in Giochi Di Maschera invece è antipatico, vanesio ecc. mentre ne L’Incontro è più romantico, più sognatore…
 
L’album nasce invece da Tenco
Certo, Tenco ha dato il via a tutto.
Quando è nata l’idea di Tenco, si è pensato a uno spettacolo teatrale. Allora ho scritto le parti e da lì è nato un programma di radio teatro con Basilio Santoro andato in onda su Radio LifeGate, dove lui recitava parole vere di Tenco. Per cui ho fatto una lunga ricerca sulla sua storia e tutto ciò che è successo nella vita e poi nelle prime ore del 27 gennaio 1967, quando poi è stato ritrovato il suo cadavere a Sanremo. Allora abbiamo fatto lo spettacolo teatrale dove c’erano già Tenco, Lo Specchio e Chi Ci Crede e Basilio recitava alcune parti. E io raccontavo quindi la storia di Tenco da quando è partito per Sanremo fino al momento della morte. Poi mi sono dedicato al disco e ad altri progetti, ma vorrei riprendere questo spettacolo, ampliarlo anche grazie all’album e farlo diventare itinerante e quindi farlo diventare uno spettacolo da portare in giro.
 
Sono tanti anni che suoni anche in contesti differenti (Clark Kent Phone Booth o col maestro della chitarra milanese Pietro Nobile) e sei anche autore di un libro su Pietro Nobile. Era un percorso necessario prima di arrivare al tuo primo disco solista?
Sono tutte strade parallele. Serve tutto per avere più consapevolezza. Lavori con Pietro Nobile e impari cose, suoni negli Stati Uniti e impari cose, suoni con Callero e Cànepa e impari cose. Tutto ti porta a fare cose con un senso, con una ragion d’essere…
Io ho conosciuto Pietro nel 2010 e abbiamo iniziato a lavorare insieme nel 2012 per un festival.
Pietro è uno dei capiscuola della chitarra acustica e del fingerstyle.
Il libro è suddiviso in tre parti principali: una più narrativa con un taglio quasi da romanzo, poi una parte didattica e più legata alla tecnica e infine una parte compositiva.
Io stesso, facendo il libro, ogni settimana scrivevo brani nuovi, tra idee complete e altre meno complete. Sono soprattutto pezzi strumentali che mi rigioco dal vivo…
 
… Magari pure con qualche pedale particolare, visto che sei endorser MAMA pickups, Martino Guitars ed F-pedals Eddie Kramer Series…
Sì. A proposito soprattutto degli F-pedals Eddie Kramer Series, beh, Eddie Kramer è lo storico produttore di Jimi Hendrix e non solo… e lui insieme a Francesco Sondelli ha creato due pedali stupendi e veramente belli, poi piccolissimi. Tre distorsioni diverse in un pedale che è grande la metà dei pedali normali.
Dal vivo spesso mi esibisco da solo e quindi con le chitarre e la loop station. Sicuramente lì posso spaziare molto a livello di suono e con la loop station faccio un po’ di cose. Poi la chitarra acustica con la distorsione dei pedali da elettrica è bellissima!
 
Bene. Adesso faccio una domanda al Luca Masperone chitarrista/cantautore, ma anche a quello giornalista musicale: dal momento che sei di Genova, esiste ancora la cosiddetta “scuola genovese”?
Secondo me la “scuola genovese” era costituita da una serie di artisti diversissimi che avevano personalità e idee. In questo senso loro hanno aperto la strada ai cantautori che ci sono stati dopo. Uno che fa la copia di De André non è della “scuola genovese” per dire… chi fa una roba, che ne so, “dance-cantautorale” è più della “scuola genovese” secondo me! Io da un certo punto di vista mi sento parte della scuola per il legame, per le radici…
Qualche giorno fa ad esempio ho intervistato Jack Savoretti e lui mi parlava proprio del suo legame con Genova, perché, pur facendo musica diversa, ha preso la personalità dei cantautori italiani e quindi in questo senso ha dato ancora un seguito alla “scuola”. La “scuola genovese” per me è: personalità, idee e “segui la tua strada”. Non è un problema di arrangiamenti. Ad esempio Tenco era anche uno sperimentatore, amava il rock ‘n’ roll… Fossero nati oggi questi cantautori, avrebbero fatto cose diverse.
 
Difficile spiegare tutto quello che fai in ambito musicale o semplice se pensiamo che ti occupi di musica a 360 gradi. Come concili però il fatto di essere chitarrista/cantautore e giornalista musicale?
Bellissima domanda! La vivo traendo “consigli ed esperienza” da una parte e dall’altra. Per esempio il libro su Pietro Nobile, fatto in quel modo lì, bello o brutto che sia, poteva farlo solo un musicista.
E comunque quando faccio musica, mi do consigli da giornalista e quindi attingendo da quello che ascolto intervistando i vari artisti. Quando faccio il giornalista, attingo dal mio lato da musicista.
Secondo me aiuta anche in senso critico proprio. L’idea secondo me è quella lì…

 
 

 

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