04/07/2018

Johnny Marr

Ispirato dalla sua autobiografia, l’ex Smiths ripercorre il post-punk dei primi anni ’80 nel terzo album da solista
L’ex chitarrista degli Smiths è giunto ormai al terzo album da solista, dopo gli ottimi tentativi di The Messenger (2013) e Playland (2014), all’interno dei quali c’era abbastanza materiale per un unico grande album di esplorazioni post-punk e in cui ha mostrato di poter essere un frontman, con una voce a metà tra l’ex compare Morrissey e Bernard Sumner (New Order).
Call The Comet rappresenta un ulteriore passo avanti, ispirato dalla recente scrittura della sua autobiografia (Set The Boy Free, uscita nel 2016). Nel libro trovavamo un giovanissimo Marr che tra il 1981 e il 1982 lavorava ancora in un negozio di vestiti a Manchester, sognando di diventare un musicista come i gruppi che vedeva nei locali della città, tra cui la storica Haçienda. I suoi riferimenti erano il glam rock di T-Rex e Bowie, il punk e soprattutto tutto il fermento successivo con band come Magazine, Siouxsie and the Banshees, primi Simple Minds ed Echo & The Bunnymen.
 
La scrittura dell’autobiografia deve aver fatto tornare in mente a Marr la fervente atmosfera dei primi anni ’80 inglesi, che ci restituisce abilmente nel disco. Il primo brano Rise traccia subito le coordinate, un inno imperioso a metà tra una colonna sonora e il futuro distopico di Diamond Dogs. La successiva The Tracers aumenta ritmo e intensità, rievocando i magici momenti in cui il pop gotico dominava la scena di metà anni ’80, tra New Order, Banshees, Killing Joke e Sisters of Mercy. Per il momento più “nostalgico” di tutto l’album bisogna attendere Hi Hello, con un tappetto di chitarre e una melodia vocale che fanno subito pensare agli Smiths dove manca solamente la voce di Morrissey.
 
Marr in tutto il disco sembra voler sperimentare con molte più sonorità rispetto al passato ed è il caso del krautrock di New Dominions o delle splendide atmosfere acustiche di Day In Day Out. Gli oltre sei minuti di Walk Into The Sea colpiscono l’ascoltatore grazie a linee di pianoforte misteriose e parti di chitarra che sembrano uscire da una colonna sonora inquietante. Tornano i suoni meccanici e glaciali dei colleghi di Manchester Joy Division (in Actor Attractor), il rock da stadio à la Simple Minds (Spiral Cities) e la brillantezza dei Banshees (My Eternal).
Marr completa così questa prima trilogia di album solisti; se The Messenger ripescava le sue ambizioni da ragazzo e Playland offriva critiche al 21esimo secolo, in Call The Comet lo troviamo sognare un futuro migliore. Insieme al collega Paul Weller, Marr continua a guardare avanti, rifiutandosi di vivere di rendita pensando al suo glorioso passato.
 

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