23/09/2019

Kaiser Chiefs

Il quintetto di Leeds torna con il settimo album che ci riporta (a tratti) ai suoni dei tempi di gloria
I Kaiser Chiefs tornano con un nuovo disco, il settimo della loro quasi ventennale carriera. Se fossimo un Bignami, la loro storia si potrebbe riassumere così: un esordio di grande successo, un secondo album all’altezza delle aspettative create, una successiva serie di dischi sempre meno interessanti a livello di contenuti sonori fino ad arrivare a Stay Together, che forse più di tutti ci aveva fatto storcere il naso e pensare che i “veri” Kaiser Chiefs, arrivati a quel punto, non li avremmo più sentiti.
 
Quando la band di Leeds ha annunciato dunque l’uscita di un nuovo lavoro discografico, ci siamo sentiti divisi in due: da una parte la paura di rimanere delusi ancora una volta, dall’altra la speranza (che, ormai lo sappiamo, è l’ultima a morire) di vederli rinascere come delle meravigliose fenici dalle ceneri dei loro stessi dischi che in più di qualcuno ha bruciato senza pietà, e sentirli suonare e cantare nel modo che quattordici anni fa ci ha conquistato, quel tocco di new wave e di punk rock che ha contraddistinto il loro esordio.
Le speranze non sono state del tutto disattese: quelle stesse impronte di brit-rock e post-punk che si sono trasformate in uno spudorato pop da classifica nel corso degli anni, tornano a fare timidamente capolino in Duck, questo il titolo del nuovo lavoro, un disco che quantomeno ci fa riconoscere il DNA dei Kaiser Chiefs che per l’occasione tornano a lavorare con Ben H. Allen, con loro anche in Education, Education, Education & War, affiancato da Iain Archer (Jake Bugg, James Bay).
La voce del quintetto Ricky Wilson ha ammesso in più di qualche occasione che i commenti negativi degli ultimi anni non hanno certamente favorito la creazione di nuova musica; sembrerebbe quasi che la sua esperienza televisiva come vocal coach di The Voice UK abbia spinto il gruppo a darsi nuove priorità e a sfruttare la strada più semplice per accendere di nuovo su di sé i riflettori.
Hanno cercato, trovato e sviluppato un nuovo suono che mischia l’elettronica sperimentata negli ultimi anni alle chitarre finalmente ritrovate, una commistione che si impone già dai primi secondi della traccia di apertura, People Know How To Love One Another, un ritornello che si infila nella testa e che mette di buon umore, nel singolo Record Collection e nella successiva The Only Ones; assolutamente convincenti nell’up tempo di Wait, che ci riporta ai bei tempi di gloria, e piacevoli quando rallentano il ritmo, in Target Market e, soprattutto, in Lucky Shirt. La chiusura è affidata al personale tributo di Wilson a due dei più famosi nativi di Seattle, Kurt Cobain e Frasier Crane, personaggio immaginario di una serie televisiva, in Kurt vs Frasier (The Battle For Seattle).
Duck è un disco fresco, nei suoni e nella resa, un inno di positività che ci spinge ad essere meno severi nel giudizio di un lavoro semplice e orecchiabile, ma che ci riporta – a tratti – alla vera natura dei Kaiser Chiefs.
 
 

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