02/03/2015

Noel Gallagher’s High Flying Birds

Nel secondo album solista l’ex Oasis unisce il suo britpop tradizionale con influenze nuove dal jazz alla psichedelia
Chiamare un album “inseguendo ieri” può essere rischioso, soprattutto se il tuo “ieri” è un passato glorioso da autore di pressoché tutte le canzoni memorabili degli Oasis. Devi essere sicuro di non cadere in un revival della tua stessa carriera, accontentando certo i fan di vecchia data, ma fornendo anche elementi nuovi che rendano la musica ancora rilevante. Noel Gallagher sembra esserne consapevole e sforna il secondo album solista, naturalmente con molti elementi di continuità con il suo passato, ma anche con alcune novità.
 
Prima di tutto la strumentazione: per la prima volta sperimenta suoni e atmosfere diverse, a tratti psichedeliche, con sezioni strumentali spesso dilatate e a tratti più jazzate, con tanto di sax. Questo cambio di sonorità è evidente già dalla prima canzone, Riverman, che parte come una classica ballata in stile Gallagher, ma già dopo il primo ritornello evolve in un intermezzo particolare, con assoli di chitarra e, appunto, di sax.
Atmosfere ancora più di fusione tra jazz, psichedelia, soul e blues le troviamo nel terzetto di canzoni centrali (The Dying Of The Light, The Right Stuff, While The Song Remains The Same), brani che sotto lo strato di fiati e tastiere psych-jazz hanno l’ossatura classica del britpop, guidato dalla chitarra acustica e dalle melodie vocali di Noel, ma che si dilatano in parti strumentali trippy e fusion quasi alla Primal Scream. È un trio di brani che sembra fluire naturalmente uno nell’altro, dalla più orecchiabile Dying Of The Light al blues-jazz di Right Stuff, fino alle atmosfere psichedeliche di While The Song Remains The Same: quest’ultima, d’altronde, sembra avere un titolo che la descrive perfettamente, dato che la canzone rimane effettivamente quasi “la stessa”, con stesso ritmo e cadenza della precedente, ma con diversa linea melodica.
Queste tracce sembrano il risultato ultimo del processo di songwriting di Noel, passato dai riferimenti classici di Beatles, Kinks, Who e Stones dei primi Oasis a influenze più psichedeliche e moderne presenti già in Dig Out Your Soul ad esempio (ultimo album della band prima dello scioglimento).
C’è spazio comunque per canzoni più classiche, sulla scia del precedente album solista del 2011, come The Mexican o i singoli In The Heat Of The Moment e Ballad Of The Mighty I: quest’ultima sembra proseguire proprio sul solco del “vecchio” singolo A.K.A. What A Life, impreziosita però dalle inconfondibili linee chitarristiche di Johnny Marr. Anche The Girl With X-Ray Eyes ricorda a tratti The Death Of You And Me dell’album precedente, ma risulta comunque uno dei brani più orecchiabili e immediati dell’album.
Noel sembra rincorrere il suo yesterday in Lock All The Doors e You Know We Can’t Go Back, ma solo nel senso che sono i brani più simili allo stile dei vecchi Oasis.
E infatti non a caso la prima delle due è una canzone che risale proprio al 1992, non è mai stata registrata dalla band, ma è stata eseguita dal vivo prima ancora che esistesse il repertorio di Definitely Maybe. Ed è una grande tirata rock con intro che riporta la memoria a Morning Glory e il ritornello più potente dell’album.
You Know We Can’t Go Back, invece, non avrebbe stonato come B-side dei vecchi Oasis ed è il brano dal ritornello più allegro e da singalong, che non può non far pensare a come verrebbe cantato da Liam.
 
A proposito: dall’altra parte della barricata, lo stesso suo fratello Liam ha sciolto i Beady Eye e si ritrova senza un gruppo, mentre Noel si è addirittura offerto di scrivergli dei brani. Che sia il preludio a un ritorno degli Oasis? Difficile dirlo, anche perché in questo secondo lavoro da solista Noel dimostra di saper ancora scrivere grandi melodie e ritornelli, ma di saperli coniugare e adattare ormai anche a nuove influenze…
 
 

 

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