03/05/2013

Steve Martin & Edie Brickell

Da una strana coppia attore-cantautrice una brillante ipotesi di reinvenzione della tradizione

Che Steve Martin, attore e regista cinematografico e prima ancora uno dei comici americani di maggiore talento (e popolarità) dei ’70, facesse sul serio col banjo era chiaro da tempo. Il banjo è stato da sempre al suo fianco sin da quando, dai club di San Francisco, iniziò l’ascesa ai network televisivi e a Hollywood. Allora era semplicemente un modo, certamente non convenzionale, di intercalare le battute dei suoi corrosivi monologhi, oggi è lo strumento con il quale ha compiuto la sua ennesima mutazione, musicista bluegrass a tutto tondo, con due album e un Grammy all’attivo.

Ciò che incuriosisce di questo album è la partnership con Edie Brickell, oggi signora Paul Simon, ieri una hippie folker texana, capace nel 1988 di sbancare con il singolo What I Am le Top Ten sui due lati dell’Atlantico. La Brickell era tornata sulle cronache discografiche un paio di anni fa con due album pubblicati in contemporanea e il progetto collettivo pop jazz Gaddabouts, giunto lo scorso anno al secondo capitolo discografico. Tutto molto lontano dal bluegrass di Steve Martin e dalla sua scrittura musicale nella quale, invece, dimostra di muoversi con rara sensibilità. Suoi i testi delle tredici composizioni di Martin, evocative e cinematiche: sue, soprattutto, le interpretazioni vocali, misurate e mature, nelle quali riappare la folker texana degli esordi.

Lo spettro delle canzoni che Martin ha scritto privilegiando (e non poteva essere altrimenti) l’antica qualità di complemento narrativo dello strumento sacrificandone il moderno protagonismo solista mantiene, pur nelle differenti velocità e ambientazioni sonore, una coesiva qualità pittorica. Canzoni che trascendono il tempo, sia che abbiano gli echi remoti e immaginifici di Sarah Jane And The Iron Mountain Baby, con pochi accordi di violino e un coro a dialogare con il banjo, di Yes She Did, per le sole voci di Martin e Brickell, di When You Get To Asheville, che apre l’album dettandone le coordinate emotive. Così come trascendono i confini stilistici, come in King Of Boys, una superba ballata pop arricchita di riverberi jazz, o in Sun’s Gonna Shine, che guarda ai giorni di Edie Brickell & The New Bohemians.

È riduttivo liquidare questo album nella categoria bluegrass. Con un banjo si può fare altro, oltre a frequentare la tradizione popolare. Si possono raccontare storie buffe ad esempio, o provare, quella tradizione, a reinventarla.

Nella sezione video del sito è possibile ascoltare l’album per intero.

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