29/08/2016

Kamasi Washington

Un rito estatico tra il silenzio sacro e il sax profano
(Foto di Masahiko Cubo)
 
Un ingresso “imponente” quello di Kamasi Washington e della sua famiglia musicale al Magnolia di Segrate (MI) giovedì 25 agosto.
 
Le anime di Sun Ra e Snoop Dogg sono piombate nello stesso momento nell’immaginario del pubblico. Poi il protagonista della serata si avvicina al microfono, ringrazia i suoi seguaci e chiede un minuto di silenzio per le vittime del terremoto; del resto è nel nel silenzio che risiede la forma più nobile della preghiera: il silenzio in cui nasce l’ascolto, il silenzio in cui la musica nasce, lo stesso in cui la musica finisce.
E in questa sacrale dimensione di preghiera collettiva che ci accoglie Kamasi Washington prima di riempire qualunque vuoto emozionale con il suono della sua musica. Ad aprire le danze è Intro con la voce di Patrice Quinn che muove il corpo e le corde vocali come se fosse in un perpetuo stato di estasi. Un’estasi che non abbandona neanche il pubblico, preso com’è da quell’impeto onirico di cui The Epic era la promessa.
Un disco, tre cd, centosettantatre min minuti di musica, che per molti hanno segnato inesorabilmente il modo di concepire il jazz. Una musica, che i puristi hanno da sempre delimitato entro certi confini, è stata liberata da un giovane losangelino che non perde occasione per portare sul palco un astrolabio egiziano, tuniche africane e tutto il groove possibile per ricordarci le sue origini black insieme alla sua devozione senza distinzione di genere per Coltrane, Stevie Wonder, Herbie Hancock e Pharoah Sanders. Insieme a lui sul palco gli amici di sempre, musicisti e fratelli che si sono scambiati virtuosismi estremi, senza mai oscurarsi vicendevolmente. Memorabili il trombone di Ryan Porter in Change The Guard, lo spazio lasciato alla performance del contrabbasso di Miles Mosley con il suo pezzo Abraham, e il dialogo tra le batterie di Ronald Bruner Jr. e Antonio Austin. Ma i cuori più sensibili hanno sorriso soprattutto all’ingresso di Rickey Washington, padre di Kamasi nonchè il maestro di tutti presenti sul palco. Kamasi lo presenta al pubblico con grande rispetto e con la complicità che trova perfetta realizzazione nella performance di Re Run, il brano dedicato a sua nonna, in cui Rickey suona il flauto prima di impadronirsi di un sax soprano per il resto del concerto.
Un climax di groove e frequenze ancestrali che hanno lasciato spazio, quasi per prendere fiato, alla più melodica The Rhythm Changes in cui Patrice Quinn conquista definitivamente il pubblico.
Nella sua data milanese il giovane Washington ha saputo stupire non senza l’eco di sapienti citazioni musicali ma con un fortissimo attaccamento al presente. Un presente che vuole rimettere in discussione un certo jazz che ha bisogno di morire per rinascere e svincolarsi definitivamente dalle costrizioni di definizioni, per sentirsi libero di trovare nuove forme ma soprattutto nuove orecchie e nuovi seguaci pronti a coglierne la continua evoluzione.
 
Un approccio spiritual e groove da vendere: epico.
 

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