21/03/2007

David Gilmour

L’isola felice di David Gilmour

E’ un sessantenne pacato e appagato. Vive in una tenuta di campagna in un’abitazione vecchia di 500 anni. Possiede uno studio di registrazione su una casa galleggiante sul Tamigi costruita nel 1911. Non è il tipico eroe della chitarra, ma quando tocca lo strumento riesce a produrre una “voce” unica. Ha una presenza scenica anonima e una faccia comune: potrebbe mischiarsi al pubblico dei suoi concerti e passare inosservato – la cosa, a quanto pare, è effettivamente accaduta. Impiega parte dei suoi guadagni milionari in attività benefiche. Dà alle stampe dischi con cadenza decennale. Scrive canzoni con la moglie e le incide con alcuni tra i migliori musicisti sulla piazza. È stato un membro dei Pink Floyd, adesso è “solamente” David Gilmour.

Il chitarrista di Comfortably Numb e di Shine On You Crazy Diamond esce allo scoperto dopo una decade vissuta rasoterra, all’insegna del profilo basso, impegnato com’era in progetti a corto raggio, in collaborazioni estemporanee, nel mestiere di padre. On An Island non è solo il suo primo lavoro solista dai tempi di About Face del 1984, è anche la prima raccolta di nuove canzoni firmata dal chitarrista dai tempi di The Division Bell dei Pink Floyd del 1994. È, perciò, la cartina di tornasole della salute artistica del musicista che il 6 marzo compie 60 anni tondi tondi e li festeggia con un album che sta a Wish You Were Here come le opere soliste di Waters stanno a The Wall. Accusato d’essere l’anima leggera della band di Dark Side Of The Moon, con alle spalle due album solisti non esattamente memorabili e alcune collaborazioni decisamente pop, Gilmour si riappropria in On An Island dell’eredità sonora dei Floyd, dimostrando d’essere un musicista dal gusto sopraffino e un inconfondibile stilista della chitarra. L’incipit strumentale drammatico fornito da Castellorizon, il passo lento e il sound arioso del singolo che dà il titolo al cd i cui cori pinkfloydiani sono opera di Graham Nash e David Crosby, le note di chitarra tenute di The Blue, certi crescendo lenti e suggestivi rimandano dritti ai dischi dei Floyd di metà anni 70. Pur pescando copiosamente dal vecchio gruppo, Gilmour dissemina l’album di particolari sonori e di atmosfere che rappresentano piccole variazioni di un copione che i fan conoscono fin troppo bene e che rimandano in parte alle esibizioni soliste del 2002 alla London Festival Hall. Il passo blues di This Heaven (contenente un campionamento di Jack Johnson), il suono gracchiante del corno e i vocalizzi gutturali di Robert Wyatt in Then I Close My Eyes, il suono della chitarra (resofonica?) e il mezzo falsetto di Smile, l’orchestrazione romantica di Where We Start, la costruzione anomala di A Pocketful Of Stones, sono elementi che concorrono a creare un’atmosfera di serena intimità estranea ai dischi più celebri dei Floyd, continuamente attraversati da tensioni e inquietudine. Se quelli erano progetti grandiosi e a volte decisamente magniloquenti, questo è decisamente intimo e a misura d’uomo. On An Island sono i Pink Floyd formato famiglia, un’immagine che calza perfettamente all’attuale profilo di Gilmour. La produzione dello stesso chitarrista (che suona il sax in Red Sky At Night) con Phil Manzanera dei Roxy Music e col mago di Abbey Road Chris Thomas è impeccabile, la scelta di timbri e suoni favolosa. Le orchestrazioni arrangiate dal polacco Zbigniew Preisner e l’uso di strumenti quali arpa, violoncello, glass harmonica (una serie di “bicchieri” di varia grandezza che fatti vibrare producono un suono che nel XVIII secolo si diceva portasse alla pazzia), corno, contrabbasso, organo, donano al lavoro un aspetto raffinato e “adulto”.

Chi ha il coraggio, adesso, di considerare Gilmour solo la spalla di Waters?

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Un luogo comune dice che Roger Waters scriverebbe due testi su una stessa musica (cosa che in un certo senso ha fatto), mentre Gilmour scriverebbe due musiche per il medesimo testo. Un altro modo di dirla è che il chitarrista ha bisogno di una spalla per scrivere testi interessanti. In sei brani del nuovo album la sua co-autrice è la moglie Polly Samson, con cui è sposato dal luglio 1994. Londinese, classe 1962, giornalista, amante dei testi di Ray Davies e di Leonard Cohen, spronata dallo stesso Gilmour ha scritto racconti (sono raccolti in Lying In Bed) e un romanzo (Out Of The Picture), oltre ad avere partecipato alla stesura delle parole di The Division Bell dei Floyd. Dal punto di vista dei testi, On An Island è in tutto e per tutto un disco della coppia Samson-Gilmour. Al centro c’è la descrizione di piccoli momenti di intimità, gioie quotidiane, sentimenti delicati, sullo sfondo di scenari naturali concilianti che appaiono nella narrazione anche sotto forma di rumori di fondo. Emergono pagine diaristiche, riflessioni sulla felicità e sui valori famigliari, sentimenti di nostalgia e serenità. Sebbene privi di dignità letteraria, i testi rendono con efficacia i sentimenti di appagamento e pace esistenziale. L’isola evocata dal titolo dell’album è Castelrosso, nel Dodecanneso. Di proprietà prima dei francesi (che la chiamarono Castellorizo) e poi degli italiani, fa oggi parte della Grecia sebbene disti pochi chilometri dalle coste turche. L’isola, che oggi si chiama Meyísti, è stata resa famosa dal film di Gabriele Salvatores Mediterraneo. La title-track ambientata a Castelrosso racconta una giornata passata con gli amici in uno scenario irreale, desolato e disabitato: la contemplazione della natura, i sogni condivisi, e poi la partenza, la tristezza per l’abbandono, la nostalgia, la vicinanza spirituale che colma la distanza fisica. L’unico testo del lavoro a fornire immagini drammatiche è Take A Breath, dai suoni rock slabbrati, in cui l’immagine di una persona che annega diventa metafora esistenziale. Le liriche più significative sono probabilmente quelle di This Heaven e Where We Start. Nel primo brano Gilmour e la Samson descrivono il luogo in cui vivono, e per estensione la loro esistenza, un “paradiso in terra”, uno “stato di grazia”, cedendo a un luogo comune quando scrivono che “non puoi comprare la vita coi soldi, quando vedo la fede negli occhi dei miei figli”. Nel secondo, che chiude il disco su una nota sentimentale, Dave descrive una piccola escursione vicino al fiume, presso il quale i due si accucciano e accendono un fuoco: “Il giorno è finito, il sole tramonta, ripieghiamo la coperta, è ora di andare. C’incamminiamo pigramente, a braccetto. Torniamo nel crepuscolo, di nuovo a casa”. Il finale è particolarmente romantico e rende molto bene l’atmosfera intima e incantata dell’intero lavoro: “Balliamo un valzer al chiaro di luna mentre arde la brace: così tanta strada alle nostre spalle e ancora tanta da fare”.

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L’estemporanea reunion dei Pink Floyd lo scorso luglio per il Live 8 ha acceso le speranze dei fan, alimentate in seguito da alcune dichiarazioni di Roger Waters improntate al non-si-sa-mai. È stato lo stesso Gilmour ad escludere per l’ennesima volta una rimpatriata. In un’intervista concessa a Repubblica ha ripetuto quel che ha detto più volte negli ultimi tempi: “Ho 60 anni. (…) È molto più confortevole lavorare per conto mio”. L’impossibilità di una reunion, ha precisato, non è causata dai contrasti con Waters: “Anche senza di lui non ho voglia di andare avanti come Pink Floyd. Sono felice della mia vita, fare cose come Pink Floyd è un affare troppo grande per me, ora. Quando ti muovi come gruppo è tutto gigantesco, le attese sono enormi, le pressioni altissime”.

Mentre sono confermate le date di Roger Waters (all’Arena di Verona il 4 e 5 giugno, allo stadio di Palermo il 6, all’Olimpico di Roma il 16 e a Lucca il 12 luglio; il bassista presenterà dal vivo per intero il disco The Dark Side Of The Moon), il tour primaverile di Gilmour è quanto di più vicino a una reunion dei Pink Floyd ci sarà concesso vedere. Toccherà l’Italia tra il 24 e il 26 marzo, le prime due date al Teatro degli Arcimboldi di Milano, la terza all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Ad accompagnare il chitarrista vi saranno Richard Wright, Guy Pratt (bassista dei Floyd ai tempi degli show di A Momentary Lapse Of Reason), Jon Carin (tastierista sia coi Floyd che con Waters solista) e Dick Parry (il sassofonista che suonò su Money e Shine On You Crazy Diamond, tra le altre), oltre a Phil Manzanera dei Roxy Music e a Steve DiStanislao, batterista dell’ultima tournée di Crosby & Nash. I biglietti per i concerti italiani, che costavano fino a 120 euro più spese di prevendita, sono andati esauriti in due settimane. Il mito non ce lo si perde, costi quel che costi. Probabilmente Gilmour delizierà i fan con un campionario dei suoni per i quali è diventato celebre: l’eco che rende ogni singola nota un tuffo nello spazio profondo, il caratteristico bending, l’effetto sustain usato con delicatezza e persistenza, magari anche il suono dolciastro della lap steel e quello delle chitarre acustiche che ha dimostrato di sapere maneggiare con padronanza. Di sicuro porterà sul palco l’effetto speciale più pregiato: le sue dita. Secondo il suo assistente Phil Taylor, non è possibile copiarne il suono anche utilizzando il medesimo equipaggiamento. Per dirla con le parole del produttore Bob Ezrin, “nel caso di David l’attrezzatura è secondaria rispetto al tocco. Potrebbe prendere un ukulele e farlo suonare come uno Stradivarius”.

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