02/10/2007

EDDIE VEDDER

Mother Nature’s Son

Lo ritraggono tutti come un tipo intenso, un ribelle guidato da un ferreo codice morale e posseduto da una forma estrema d’idealismo. Un soggetto intelligente e atletico, un potenziale vincente che alla competizione per il benessere antepone la ricerca del senso ultimo delle cose. Uno guidato da una forza vitale contagiosa, una persona conviviale e socievole che occasionalmente si chiude in se stessa, con la mente altrove, impenetrabile.
Sebbene calzi alla perfezione a Eddie Vedder, il ritratto è quello di Chis McCandless, il protagonista del nuovo film di Sean Penn Into The Wild. È quindi facile credere al regista quando afferma che la pellicola reclamava un commento sonoro scritto da Vedder. Chi meglio di lui ha saputo cantare negli ultimi quindici anni il maestoso, potente e salvifico richiamo del selvaggio? Chi meglio di lui ha descritto con accenti estatici la fuga nella natura come estremo rimedio alla follia della vita moderna? Nella sua voce, oggi irruvidita da lievi screziature di sabbia e terra e greto, se uno vuole ci sente i grandi spazi americani, quegli stessi paesaggi che fanno da sfondo della pellicola di Penn. E la musica dei Pearl Jam svela occasionalmente una spinta verso la trascendenza che la differenzia da quella dei musicisti loro contemporanei. Come se non bastasse, mentre il cantante scriveva di questi argomenti apprendeva che il fratello era (momentaneamente) sparito in Sud Africa.
Il film – nelle sale americane dal 21 settembre, in Italia probabilmente in inverno – è la trasposizione del best seller di Jon Krakauer Into The Wild, uscito per Rizzoli col titolo Nelle terre estreme. Pubblicato nel 1996, scritto con uno stile a metà strada tra romanzo d’avventura e ricostruzione giornalistica, racconta la storia vera di McCandless, un ventiduenne fresco di college, brillante e intraprendente, proveniente da una buona famiglia. Infatuato da Thoreau, Jack London e Tolstoj, scioccato da una rivelazione circa il passato della sua famiglia, lascia alle spalle i genitori e la sorella, le comodità, la civiltà tutta, per vivere da pellegrino a contatto con la natura selvaggia. Il “viaggiatore estetico” (la definizione è sua) fa sparire le proprie tracce e vaga apparentemente senza meta per il grande Ovest americano, da San Diego a Seattle, dal South Dakota all’Oregon. È un gesto estremo, il suo: devolve in beneficenza i soldi del conto corrente, brucia i pochi contanti che ha in tasca, si libera di ciò che possiede, automobile compresa. In testa ha un sogno carezzato da una vita, l’avventura definitiva ed estrema: sopravvivere cibandosi solo di ciò che la terra offre nei territori estremi dell’Alaska, un desiderio che si rivelerà fatale e che gli frutterà fama postuma e una valanga di critiche sulla sua presunta dabbenaggine e mancanza di adeguata preparazione.
È una storia che ha a che fare, come nota Krakauer nell’introduzione del libro, con la presa che la natura ha nell’immaginario americano, col fascino che il pericolo esercita sulle giovani menti, col rapporto complicato e a volte inestricabile tra padre e figlio, col valore terapeutico e spirituale dell’autoesilio, con la necessità che a volte si ha di provare con gesti estremi quel che si vale. È tutto dentro il disco di Vedder che non è, com’è stato scritto, “il primo album solista del cantante dei Pearl Jam”. Into The Wild è un dischetto folk piccolo piccolo, per nulla pretenzioso, brevissimo (circa mezz’ora) e legato a doppio filo allo spirito del film, che Penn ha confessato di avere sceneggiato in forma affine alla musica, avendo apprezzato come i due elementi si fondevano in vecchie pellicole come Harold e Maude e Il laureato. Vedder l’ha composto in due settimane perché la parte difficile, ha detto a Time, “è stata 25 anni fa, quando ho passato le stesse cose di quel ragazzo”. Eddie veste i panni del folksinger, un aspetto che a partire dai rally a favore di Ralph Nader è diventato sempre più importante e che ha affiancato e s’è intersecato regolarmente alla sua attività coi Pearl Jam: chi conosce le partecipazioni alle colonne sonore di A Brokedown Melody, Dead Man Walking e I Am Sam, o anche solo tracce dei Pearl Jam come Soon Forget e Thumbing My Way, sa perfettamente cosa aspettarsi. Alle prese col ruolo inedito di “one man band” che suona praticamente tutti gli strumenti di tutte le tracce, Vedder dà voce all’anima in fermento di McCandless, interpretandone con grande credibilità i (presunti) pensieri. E pensare che quando Sean Penn ha contattato l’amico per proporgli di comporre la colonna sonora, Vedder non conosceva il libro di Krakauer. Dopo averlo letto, ha risposto che doveva essere coinvolto nel progetto, che aveva già parte della colonna sonora composta da Michael Brooke e Kaki King. C’è un’affinità naturale tra il personaggio di McCandless e quello messo in scena dal rocker in oltre quindici anni di carriera, a partire dal terreno comune del conflitto col padre, del dolore e della spinta che da esso deriva. Comporre queste musiche, ha detto Vedder, ha smosso quel terreno. Ma c’è dell’altro. A partire dal 1996, i temi dell’elevazione spirituale, dalla ricerca di sé e della fuga nella natura hanno costruito il naturale contraltare alle canzoni più politiche dei Pearl Jam, con le quali si sono infine saldati. È una strada verso una lucida consapevolezza quella che porta da In My Tree, che ritraeva il cantante in ritirata lontano dal mondo non per fuggire ma per trovare se stesso, a Soon Forget, ritratto ironico dell’avidità dei Bill Gates di questo mondo. E che cos’era Gone, dall’album del 2006, se non l’ennesima fuga da una società in cui “la benzina nel serbatoio è come un conto in banca”? E quella citazione di Pete Townshend, “nulla è tutto”, cos’era se non l’affermazione che per trovare un nuovo sé bisogna lasciare ogni cosa dietro le spalle?
Sono gli identici umori di Into The Wild, in cui Vedder rumina sul significato e sulle conseguenze dell’abbandono di sicurezza e conformismo sociale a favore di un’esistenza randagia per “sentirsi parte di ogni luogo”, uno stato d’animo intonato con la ricerca di nuove esperienze che ha sempre caratterizzato la sua, di esistenza. In tutto sono sette nuove canzoni (di cui una, Long Nights, è inclusa anche nella colonna sonora del documentario Body Of War), due strumentali (l’arpeggio acustico di Toulumne e The Wolf, una specie di Arc meno riuscita) e due pezzi altrui: Hard Sun è la traccia più immediata del dischetto, ma anche quella che consuma il suo fascino più velocemente, una canzone del 1989 del canadese Gordon Peterson alias Indio con le armonie vocali di Corin Tucker delle Sleater-Kinney; meglio ancora è Society, un pezzo nuovo di zecca del folksinger californiano Jerry Hannah, che affianca Vedder alla chitarra, un j’accuse alla voracità del capitalismo di cui Eddie offre una versione lucida e amara, da brivido, una Working Class Hero per gli anni Duemila.
Accompagnandosi con chitarre, mandolino, ukulele, qualche accenno di jingle-jangle, una slide in sottofondo, un organo a pompa, un’atmosfera incantata che solo in Setting Forth e Far Behind assume un piglio più rock, Vedder ha modo di dispiegare la sua voce, e di usare come “colore” inedito quel po’ di rocaggine che gli anni gli hanno lasciato. Riesce a sembrare più “leggero” che coi Pearl Jam senza rinunciare alla sua proverbiale intensità.
Into The Wild è un disco piccolo piccolo, si diceva, composto su commissione e con la necessità di far combaciare la narrazione sonora con quella visiva. Vedder non tenta mai di trascendere la natura ancillare della musica rispetto alle immagini, né si cura di strutturare le canzoni, alcune delle quali appaiono come irrisolte nella loro laconicità. È un dischetto che amplifica una storia talmente particolare da essere unica, eppure dice cose grandi sulla nostra società e sui nostri desideri, sull’intensità e la ragionevolezza del dissenso. Sulla ricerca di autenticità e sulla mancanza di compromessi tipica della giovinezza, di cui Eddie cantava già nel 1994 in Not For You. In definitiva, sull’accezione positiva della fuga, “non per scappare dalla realtà, ma per cercarla”. E dice tutte queste attraverso la voce di quello che è tuttora uno dei grandi cantanti del nostro tempo.

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