29/10/2008

IVANO FOSSATI

LA MUSICA (MODERNA) CHE GIRA INTORNO

Il Volatore è tornato e, a questo punto, sarebbe fin troppo facile e scontato attribuirgli attività divinatorie che, con molta probabilità, lui rifuggirebbe come la peste. Perché il personaggio di cui stiamo parlando si chiama Ivano Fossati e, in questo periodo di crollo assoluto delle certezze (e del sistema bancario internazionale), potrà pur sempre vantarsi – ma state tranquilli che non lo farà – di aver scritto nel lontano ‘78 un brano intitolato, esplicitamente, La crisi. L’album, giusto per la cronaca, era quel La mia banda suona il rock che è stato per anni croce e delizia del cammino del cantautore genovese e i versi incriminati facevano esattamente così: «C’è la crisi e per Natale cosa mi regalerò? / Avevo un bel figlio e un bel televisore mangiati dalla crisi». Ecco, sarcasmo a parte, è abbastanza curioso che un artista “avanti” quale è sempre stato Fossati, da un paio di dischi a questa parte abbia deciso di rivoltare la sua icona per tornare a giocare gioiosamente con le note. Non si spiegherebbe, altrimenti, la leggerezza (solo apparente) di un album come l’ultimo arrivato, quel Musica moderna che trovate recensito su questo stesso numero di JAM (vedi pagina 93). Così come il cronista di turno, al momento dell’intervista, fa fatica ad interfacciarsi con la normalità – ecco, normalità è proprio la parola adatta – di questo neocinquantasettenne che, dopo lo split coi Delirium (era pressappoco il ‘72/73) ha passato il resto della vita a dare dignità a quella formula melodica fatta di armonie e incastri chiamata canzone. E di canzoni memorabili (per non parlare di album semplicemente perfetti) Fossati ne ha composte tante nella sua carriera, restando però sempre fedele a quell’immagine pubblica fatta di umiltà e riservatezza, carattere e poesia. Sorriso e zona d’ombra. Uomo complesso, l’Ivano, oppure, molto più prosaicamente, artista tenace che – quasi per sbaglio, direbbe lui – si è ritrovato in vetta con un compito ben preciso: suonare e cantare portando rispetto alla lingua e al pentagramma. Perché, citandolo, la sua sarà pure musica moderna, «ma la dobbiamo imparare».
Se accetti una provocazione, ascoltare il Fossati attuale e paragonarlo a quello di Macramè e La disciplina della terra è come prendere i Beatles di Please, Please Me o Love Me Do è immaginarsi che un giorno avrebbero sfornato il White Album e Abbey Road…
«Sì, come paragone ci può stare. Eppure non c’è niente di misterioso e bizzarro nel fatto che, da Lampo viaggiatore in poi, mi sia riappropriato di una certa semplicità compositiva visto che, ben prima di Macramè, uno come me veniva già dalla cosiddetta musica leggera e dalle canzoni commerciali in generale. Sai, quando ho apposto l’ultima nota a La disciplina della terra mi sono accorto che per me era terminato un ciclo cominciato addirittura ai tempi di Lindbergh e che dovevo necessariamente cambiare qualcosa».
Forse ti sei sentito come quello che, a furia di verniciare il pavimento, si è ritrovato con le spalle al muro. Schiacciato nell’angolo…
«Già, solo che io ho cercato di andare nella stanza accanto (ride, nda). A parte gli scherzi, album come L’Arcangelo e quest’ultimo mi hanno permesso di mutare il mio approccio alla materia musicale senza però cambiarne la sostanza. In definitiva quello che canta sono sempre io: non ho avuto né sentito il bisogno di tramutarmi in un altro».
Scendendo nello specifico, mi illustri le tempistiche che ti hanno portato a realizzare Musica moderna? Quando componi un disco, ad esempio, scrivi tutto ex novo?
«Beh, le primissime idee per Musica moderna mi sono venute circa tre anni fa quando ero ancora in piena “fase Arcangelo”. Ho appuntato quel poco che dovevo scrivere ma poi ho preferito concentrami completamente su quell’altro mio lavoro in corso… Quindi sì, scrivo tutto ex novo, ma allo stesso tempo conservo una linea che non si deve mai spezzare. Il filo comune, stavolta, poteva essere una certa schiettezza testuale. Un dire le cose senza girarci troppo attorno».
In effetti fa un po’ impressione sentire uno come te – che ha scritto La costruzione di un amore, Confessioni di Alonso Chisciano o Iubilaeum bolero – cantare frasi tipo «M’hai fottuto un’altra volta» o «Per il figlio di puttana non è normale essere diversi» come accade in questo cd…
«Io cerco semplicemente di essere netto. Le parole, quando usate con intelligenza, non hanno mai offeso nessuno. Sono i vocaboli gratuiti, al massimo, quelli che non mi piacciono. Il turpiloquio fine a se stesso, messo giù solo per fare spettacolo…».
Pensi che Musica moderna sia una perfetta sintesi del canzoniere fossatiano?
«È normale diventare più bravi con l’esperienza e il tempo che passa. E per me la bravura coincide soprattutto con il saper dosare i concetti all’interno di un album. Al giorno d’oggi, infatti, sarebbe impensabile scrivere un’opera totalmente di denuncia oppure comporre un intero disco di canzoni d’amore. Fortunatamente in Musica moderna c’è quella varietà che solo una lunga gavetta può darti».
Mi anticipi qualcosa del tuo nuovo tour che parte a novembre e proseguirà per buona parte del 2009?
«Per ora ho concerti al chiuso fissati fino a febbraio, poi dopo vedrò… Perché non mi piace fare progetti a lunga scadenza né tantomeno esibirmi d’estate».
Anche tu come Bruno Martino? Vale a dire un altro che odiava l’estate…
«Non mi ritengo così drastico. Anche se, ad essere sincero, la mia dimensione ideale è sempre stata quella del teatro perché c’è molta più concentrazione, sia da parte della band che di chi siede in platea. Nella stagione estiva, invece, magari ci si diverte di più ma spesso manca la location adatta e ci si ritrova a suonare in ambienti più dispersivi… Come dici? Sorprese in scaletta in previsione della tournée? Beh, sicuramente tornerò a fare Discanto e La costruzione di un amore dal momento che sono troppi anni ormai che non le eseguo più dal vivo».
Se invece ti fornissi una sfera di cristallo, cosa vedresti meglio nel tuo futuro? Un nuovo album dal vivo (sarebbe a questo punto il Volume 4 di una serie inaugurata nel ‘93) oppure una seconda parte del tuo progetto strumentale Double Life?
«Mamma mia, che dilemma (risate, nda)! Beh, col tempo necessario realizzerei molto volentieri entrambi quei progetti ma, al tirare delle somme, è probabile che esca prima un mio nuovo album di inediti… Un dvd dal vivo? Quello effettivamente è un tassello che ancora mi manca, me lo chiedono da più parti e forse sarebbe il caso di cominciare a metterlo in cantiere».
Ti andrebbe di tornare a fare l’autore per altri artisti? E per alcuni addirittura il produttore come già facevi all’inizio degli anni 80?
«Ultimamente ho ricominciato a fare qualcosa con Tiziano Ferro e con qualche altro mio collega… Però la mia filosofia di partenza resta la solita: se un artista mi piace, non è che poi ci devo per forza lavorare assieme… Di solito mi godo il suo disco e tanto mi basta. Poi, logicamente, se ricevo una telefonata dal diretto interessato, prendo la cosa maggiormente in considerazione. La produzione per conto terzi, invece, è un’esperienza che mi piacerebbe ripetere; negli ultimi tempi mi è stato impossibile visto che ero impegnatissimo con i miei lavori solisti ma, di sicuro, dedicarsi alla musica altrui senza metterci di mezzo la faccia è una situazione infinitamente più rilassante di un tour o di un album fatto in proprio».
A distanza di anni possiamo finalmente svelarlo: ma il Fossati della “Cascina Americana” – il tuo buen ritiro nel basso Piemonte dove hai inciso Macramè e buona parte di Anime salve con Fabrizio De André – è stato il più sperimentatore di tutti?
«Retorica a parte, quello è stato uno dei momenti più forti di tutta la mia carriera. In quel cascinale, infatti, c’era una vera circolazione di idee che, successivamente, hanno generato il disco con Fabrizio o la stessa colonna sonora de Il toro per Carlo Mazzacurati. Casualmente è successo lì, alla Cascina Americana, dove ci incontravamo di notte per registrare e sperimentare in assoluta libertà. Ma non ho mai saputo spiegarmi il perché. Anche se, a onor del vero, quel posto aveva un’acustica fantastica».
Ultima domanda: ci consigli qualcosa di memorabile da leggere e da ascoltare?
«Per quanto riguarda il libro, direi La donna giusta di Sàndor Màrai: non è un romanzo facile ma, alla fine, paga lasciandoti col sospetto di aver letto un vero capolavoro. Dischi? Beh, qualsiasi cosa incisa da Ry Cooder; così vado nettamente sul sicuro».
Anche perché consigliare l’uomo di Santa Monica a un lettore di JAM è come predicare a un convertito. Oppure dire che nel cuore di un genovese, assieme al Faber, ci sarà sempre spazio per il Volatore…

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