09/11/2017

Kraftwerk

Un pezzo di storia in 3D: i Kraftwerk al Club To Club di Torino per “Catalogue 12345678”
Alle Officine Grandi Riparazioni di Torino lampeggia solo il numero 8. È l’ultima delle quattro date in cui i Kraftwerk hanno eseguito ogni sera due dei loro album in ordine cronologico.
Quattro date al Cheek To Cheek, diciassettesima edizione del Festival Club To Club, in cui hanno ripercorso una carriera che di certo non è passata inosservata. Martedì sera è stata la volta di The Mix e Tour De France, rispettivamente 1991 e 2013.
 
Entrambi i set si aprono al buio, con una voce metallica che preannuncia Computer World, manifesto e satira al contempo. La musica si arricchisce di luci, video e proiezioni, il cui minimalismo cresce e decresce a servizio della musica.
Sul palco Ralf Hütter, Henning Schmitz, Fritz Hilpert e Falk Grieffenhagen sono fermi, indossano camicie nere a quadri dai contorni fosforescenti, sono dei veri e propri “men machine”.
Il loro non è un vero e proprio concerto, è un’esperienza audio-visiva. Con gli occhiali 3D l’impressione è un po’ quella di stare al cinema e vedere un film dove al posto dei dialoghi, sullo schermo compaiono parole chiave, testi in diverse lingue, che hanno un po’ l’aspetto e il suono di sentenze, di dichiarazioni, di messaggi in codice. Ogni brano si snoda su bpm scanditi da un’elettrocardiogramma e le variazioni ritmiche hanno un po’ il sapore della storia. Una storia in cui la posizione dei Kraftwerk assume i toni di una profezia. L’angoscia di un futurismo nel quale vivono morte e rinascita è quasi epifanica nelle scritte che compaiono su Man Machine che recitano “Man Machine – Semi Human Being – Super Human Being”.
Il pubblico è seduto, ma spesso tiene il tempo irrefrenabile e si esalta sul clackson che introduce Autobahn, in cui gli storici suoni di autostrada, seguono il percorso del tempo, da una macchina in corsa, da uno specchietto retrovisore, da uno schermo esterno per poi fluire da un autoradio in forma di minime e seminimine che l’effetto 3D fa cadere sul pubblico. Il minestrone generazionale ha altre occasioni per ringraziare i Kraftwerk: i raggi gialli e rossi che si dipanano su Radioactivity, le pillole colorate che vanno incontro al pubblico su Vitamin e le quattro biciclette stilizzate bianco su nero sullo sfondo di un mantra ansimante che precede Tour De France, durante la quale un gioco di luci riproduce i colori della bandiera francese, coprendo i portici di una location davvero suggestiva.
L’ex deposito ferroviario diventa così parte delle installazioni al punto da essere menzionato nelle proiezioni che con giochi prospettici riproducono una geolocalizzazione mapsiana dall’Universo alla Terra, all’Italia e poi a Torino, sino a chiudersi con una vista dall’alto prima sulla Mole Antonelliana e poi davanti all’ingresso delle Officine Grandi Riparazioni.
Nelle due ore di performance c’è spazio anche per un cambio scenografico. Sull’esplosione minimale di Trans-Europe-Express si chiude il sipario, ma delle lucine rosse e suoni striduli e deliranti dimostrano che non è così.
Delle sagome in camicia rossa e cravatta nera, in perfetta iconografia Kraftwerk eseguono The Robots, e sul finale, i quattro tornano sul palco in carne ed ossa per una chiusura “in stile” con Musique Non-Stop che una voce robotica continua a ripetere in loop, a sipario chiuso, luci spente, dopo che i quattro pionieri della musica elettronica hanno lasciato il palco, uno alla volta, con un inchino.
 
Musique Non-Stop: è proprio vero, la musica muore per rinascere in altre forme, in altre luci, in altre dimensioni, come le dimensioni dei Kraftwerk che ancora oggi dopo 40 anni vogliono ricordarcelo.
 

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